La rassegna inizia con Mon père, inventare - tutto esaurito per la matinée del 26 e 27 ottobre, replica il 28 ottobre ore 18 (c/o Istituto Francese, piazza Ognissanti, ingr. libero) - monologo autobiografico scritto e interpretato da Grumberg in omaggio al padre morto in un campo di sterminio. Si prosegue con due spettacoli messi in scena dalla compagnia THEATRE 2000, con la regia di Frédéric Tessier. Il 27 ottobre ore 21 Dreyfus (c/o Teatro Studio Scandicci, in francese con sovratitoli, ingr.
10 e 8 euro): siamo nel 1930, in una Polonia ricreata dai racconti di famiglia, con una piccola compagnia di teatro amatoriale che cerca di montare uno spettacolo a partire da “L’affaire Dreyfus”, famoso e emblematico episodio di antisemitismo nella Francia di fine ottocento.
Giovedì 28 ottobre ore 21 Grumberg ci accompagna nel luogo per lui più familiare, quello in cui è cresciuto: L’Atelier (c/o Teatro Studio Scandicci, in francese con sovratitoli, ingr. 10 e 8 euro). In una piccola sartoria in Francia, tra il 1945 ed il 1953, si impara a vivere di nuovo dopo la tragedia.
Ognuno ricomincia a modo suo, compiacendosi nel dolore dei propri ricordi o al contrario cercando di cancellare la memoria per fare spazio ad una nuova vita. Si tratta di un’opera autobiografica, in cui Grumberg narra la propria infanzia con la madre: non una storia ma la narrazione del quotidiano, comico e commovente, con una certa leggerezza che ci convince che è possibile rinascere.
Premio César per la sceneggiatura di «Amen» di Costa Gavras (di Truffaut aveva invece sceneggiato «L’ultimo Metrò») e premio Molière (Oscar del teatro) per «L’Atelier» e «Zone libre», Jean-Claude Grumberg è l’unico autore vivente ad essere rappresentato alla Commedie-Française.
Scrittore per il teatro, il cinema ed anche di testi per ragazzi (20.000 copie vendute con «Le Petit Violon») ha da qualche mese pubblicato «Mon père, inventare» (ed Seuil), testo autobiografico scritto in memoria del padre, deportato a Drancy e mai più tornato.
Nato nel ‘39 a Parigi in una famiglia ebrea, Grumberg ha costruito la propria opera ricordando la sua famiglia e la sua gente durante la tragedia della shoah; ha iniziato a scrivere per raccontare la sua storia, sottraendosi ad una tradizione familiare che lo avrebbe voluto sarto di atelier.
I suoi testi, pieni di umorismo - quello che Grumberg definisce “tipica ironia yiddish” - sono privi di compiacimento o giudizio storico; raccontano storie di gente comune, debole, spensierata o coraggiosa. Non ci sono buoni e cattivi ma solo persone che ci fanno ridere e insieme ci commuovono; non c’è ricerca documentaristica, ma piuttosto impressioni, suggestioni, ricordi di ciò che lui – bambino di pochi anni – ha potuto vivere direttamente, o ricostruire attraverso i racconti di altri, di quegli anni.