E’ davvero un momento duro per i produttori toscani di frumento, ed in generale per i cerealicoltori. Scelte concomitanti, infatti – da quelle dell’industria pastaria a quelle governative sull’applicazione della riforma della Pac – stanno colpendo al cuore il comparto delle commodities cerealicole, che rappresenta una bella fetta dell’agricoltura toscana, soprattutto nelle province di Siena, Grosseto, Arezzo, Pisa e Livorno.
Proprio in questi giorni il Ministero per le politiche agricole e forestali (Mipaf) ha reso noto che il premio comunitario supplementare alla coltivazione del grano duro (campagna 2003/4) è stato drasticamente ridotto, in conseguenza dello sforamento della superficie massima garantita per le zone tradizionali.
A livello nazionale, infatti, nel corso del 2003 sono stati seminati a frumento duro 1.951.793 ettari, rispetto al milione 643.000 di ettari autorizzati.
“Questo, per la Toscana – sottolinea Luciano Rossi, direttore di Toscana Cereali - che è una regione ad alta vocazione cerealicola, ha significato una riduzione del contributo/ettaro ai cerealicoltori del 38,38%, passando dai 313 euro a 192”.
Anche la situazione di mercato è drammatica. I prezzi del frumento duro nazionale, infatti, sono passati da 180 euro/tonnellata dello scorso anno ai 125 euro/tonnellata attuali, con una drastica riduzione dei ricavi dei produttori. Contemporaneamente, il mercato internazionale è rialzista in conseguenza degli acquisti di grano canadese, australiano e americano.
“Questo stato di fatto, che penalizza fortemente i nostri produttori – aggiunge Rossi – è conseguenza diretta delle scelte sbagliate dell’industria pastaria nazionale. I pastificatori, infatti, acquistano grano estero perché ha un più alto contenuto proteico, e penalizzano il nostro grano che ha un migliore contenuto glutinico, fondamentale perché la pasta tenga la cottura. Essi giustificano questa scelta, sostenendo che devono mantenere costante a 12.5 punti percentuali il contenuto proteico della pasta.
Si tratta però di un ragionamento sbagliato per almeno due motivi: intanto la legge italiana prevede che le proteine non possano scendere sotto il 10.5%, e quindi non c’è motivo di mantenere stabile la soglia del 12.5% e di non tenere conto degli esiti climatici di ogni campagna. Poi, è importante utilizzare grano nostrano, perché garantisce un ottimo apporto glutinico, fondamentale per la qualità della pasta, ai fini della tenuta della cottura. La Tosca quest’anno avrà le proteine al 12.0%, ed è un prodotto che valorizza la cerealicoltura toscana e non teme confronti sotto il profilo qualitativo.
In definitiva il gioco dell’industria pastaria non vale la candela, perché si mette in crisi a livello nazionale un settore produttivo importante, non ritirando il prodotto. E chiaro quindi che occorre legare il prodotto al territorio, promovendo una Dop che valorizzi la filiera e riportando sulla confezione la provenienza della materia prima”.
L’ultimo problema, ma di grande rilevanza, riguarda le scelte del Mipaf nell’applicazione della riforma della PAC in vista della prossima campagna.
La scelta di applicare l’Articolo 69 in una recente riunione della Conferenza Stato Regioni – relativo al premio qualità Pac – non ha dato i risultati sperati. La decisione di definire un regime provvisorio, e di garantire il premio qualità sia a chi utilizza sementi certificate, sia a chi sceglie le pratiche colturali della rotazione, hanno di fatto indebolito l’efficacia della riforma che puntava sul disaccoppiamento. “Una volta deciso di disaccoppiare gli aiuti comunitari – conclude Rossi – si è tornati indietro in modo surrettizio, riaccoppiandoli di fatto come conseguenza di scelte tecnico-amministrative sbagliate.
La regolamentazione del premio alla qualità varrà solo un anno, e al plafond del premio potranno accedere tutti indistintamente: sia chi usa sementi certificati, sia chi adotterà pratiche colturali di rotazione almeno biennale. Per questo la qualità delle produzioni non sarà incentivata, ed a tutti quanti, esattamente come prima, toccherà un premio che oltretutto sarà una miseria: dai 30 ai 50 euro/ettaro. Una cifra che non varrà le spese per l’istruzione della pratica amministrativa.
Questa situazione paradossale è conseguenza delle scelte sbagliate del Mipaf, che ha sentito solo le Organizzazioni professionali dell’agricoltura ed ha ceduto alle pressioni degli industriali sementieri, che hanno imposto tutti i tipi di varietà di seme possibili e immaginabili per ottenere il premio qualità. Il governo non ha nemmeno consultato l’Unione seminativi, i consorzi agrari, i consorzi e le cooperative dei produttori. Per Toscana Cereali – conclude Rossi – la strada maestra da percorrere era quella di collegare il premio al rispetto di precisi disciplinari.
Queste vicende lasciano l’amaro in bocca agli operatori del settore, soprattutto perché manca una seria strategia che coinvolga la filiera ed aiuti i produttori a programmare il proprio lavoro”.
============================================
“La mosca olearia rischia di pregiudicare la qualità dell’olio nuovo”. A lanciare l’allarme contro la ‘Bactrocera oleae’, l’insetto che depone le sue uova all’interno delle olive, è il dr. Simone Tofani, agronomo responsabile dell’Area tecnica della Cooperativa di Legnaia.
“Questo è l’ultimo periodo utile - spiega Tofani - per effettuare i trattamenti contro la mosca olearia. Il tempo di carenza, cioè l’attesa dopo l’irrorazione delle piante con i prodotti contro la mosca, è di 21 giorni e a inizio novembre inizierà la raccolta. Il 2004 si preannuncia come un anno ottimo per la qualità e quantità dell’olio, a differenza del precedente, rovinato in parte dalla gelata di aprile, e sarebbe un peccato comprometterlo”. A rischio sono molte zone della regione.
“L’insetto colpisce soprattutto le zone litoranee - prosegue Tofani - , ma anche quelle della Toscana centrale. Si salvano le aree collinari più alte, quasi al limite per la coltivazione dell’ulivo, come per esempio Reggello. La prima cosa da fare è verificare la presenza della mosca con trappole a base di feromoni sessuali che richiamano i maschi. Questo permette di avere una fotografia abbastanza precisa della situazione e, i più zelanti, potrebbero anche verificare se le uova deposte sono fertili o meno, aprendo delle olive a campione”.
I trattamenti permettono un’eliminazione massiva degli insetti. “In genere si ricorre all’irrorazione sulle chiome – ammette il responsabile dell’Area tecnica della Cooperativa di Legnaia -, con insetticidi ad hoc, diluiti in acqua. Per le coltivazioni biologiche c’è anche la possibilità di usare, a fianco delle trappole a feromoni sessuali per i maschi, anche quello fragoattraenti per le femmine. I risultati sono buoni”. Il rischio per la qualità dell’olio non è tanto legato alla larva della mosca, che si dissolve durante la frangitura, ma all’ossidazione dell’oliva.
“Il problema è la galleria – ricorda Tofani – nella quale la larva si nutre e che rimane vuota dopo la sua uscita. L’oliva, una volta colta, subisce un processo di ossidazione accelerato e dovrebbe essere franta nel giro di poche ore. Già un giorno di attesa sarebbe eccessivo. L’olio perderebbe le sue caratteristiche qualitative, risultando difettoso all’assaggio”.