Firenze, 7 ottobre 2004 – Crisi di vocazioni per l’artigianato fiorentino. Le grandi firme sono al sicuro, ma camiciai, calzolai, bottai, intrecciatori di paglia, guantai, intagliatori, ebanisti, restauratori, ricamatrici ecc rischiano l’estinzione in attesa di un ricambio generazionale che tarda a manifestarsi. “Non si tratta di mantenere in vita a tutti i costi mestieri fuori mercato, ma di tutelare le attività che costituiscono un deposito di conoscenze, magari con azioni specifiche a cavallo tra la valorizzazione culturale, turistica ed artigianale” afferma Ovidio Montecchi, Presidente di Confartigianato Firenze.
“Si pensi alla produzione dei cappelli di paglia – prosegue – in base ai dati della Camera di Commercio (aggiornamento al 2° trimestre 2004) solo 8 imprese a Firenze lavorano la paglia e non necessariamente per fare cappelli. Gli artigiani che producono i cappelli fiorentini doc, veri e propri pezzi unici con treccia a 13 fili e tesa a 25 giri, sono quasi inesistenti, nonostante la domanda estera soddisfatta da poche manifatture con trecce preconfezionate importate dalla Cina”. Accanto al rischio estinzione il lavoro sommerso, come nel caso delle ricamatrici: in città ne rimangono solamente 16, ma innumerevoli sono le signore, spesso anziane, che continuano a lavorare a casa in nero.
Paradossalmente in pericolo anche mestieri meno fiorentini dal reddito più che buono: elettricisti, tapparellisti, antennisti ed idraulici. “Ma l’emorragia si può bloccare creando, in conformità con la protrazione della scuola dell’obbligo, scuole e Facoltà di Mestieri ed Arti che riconoscano titoli di diploma professionale o laurea breve e, a livello locale, rivedendo la Legge n° 58 della Regione Toscana” conclude Montecchi. La Legge, nata nel 1999 per tutelare l’artigianato, prevede che la formazione sia appannaggio di maestri artigiani riconosciuti tali dalla Camera di Commercio dietro l’accertamento di predeterminati requisiti, tra cui “l’aver avuto alle dipendenze apprendisti artigiani portati alla qualificazione di fine apprendistato” (art.10).
“Una legge anacronistica che non tiene conto ne’ degli stage, ne’ dei contratti d’inserimento (ex formazione), che spesso proponiamo ai giovani in alternativa all’apprendistato, cercando così di allettarli con una retribuzione maggiore“ spiega Riccardo Bianchi, rappresentante dell’Artigianato Artistico di Confartigianato Firenze. “Ma stage, contratti d’inserimento e corsi tenuti in università non sono sufficienti, così come non basta un solo apprendista, almeno per quelle Camere (Firenze è tra queste) per cui il plurale è d’obbligo e che, interpretando alla lettera l’articolo, non concedono la qualifica se non con un minimo di due apprendistati conclusi” prosegue Bianchi.
Al danno si aggiunge però la beffa poiché la formazione che i maestri artigiani (scarsissimi in provincia, nonostante i riconoscimenti nazionali e internazionali tributati all’artigianato locale) dovrebbero effettuare nelle loro botteghe scuola non è mai iniziata per la mancata nascita dei Consorzi di tutela previsti dalla legge 58 (art. 3) proprio per riconoscere i laboratori autorizzati alla formazione.