Firenze- La giunta regionale ha deciso di ricorrere alla Corte Costituzionale contro il cosiddetto decreto “taglia spese” (la legge 191/2004 su "Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica"). Questa decisione giunge dopo la richiesta avanzata all’unanimità dal Consiglio delle autonomie locali della Toscana - da parte di tutte le amministrazioni di qualunque colore politico - al presidente della giunta regionale Claudio Martini. “Si tratta di una legge che colpisce senza motivo l’autonomia degli enti locali riducendo la loro capacità di spesa, gestionale e di programmazione - spiega Martini - Inoltre pregiudica sia il principio di pari dignità tra le istituzioni che il principio di buona amministrazione.
In questo modo sono abbattuti i limiti della competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica”.
L’iniziativa è stata proposta dall’Anci nazionale che ha invitato tutti i Consigli delle autonomie a proporre alle rispettive Regioni di presentare, in loro vece, ricorso alla Corte costituzionale. La legge infatti non consente ai Comuni di presentare istanze alla Consulta.
Le motivazioni che hanno portato il Consiglio delle autonomie toscano a chiedere alla Regione di fare il ricorso sono varie ed articolate.
Se da una parte mancano i criteri giuridici che tutelino le autonome scelte di programmazione e di bilancio delle autonomie regionali e locali, dall’altra la legge 191 pretende di stabilire le specifiche categorie di spesa sulle quali gli enti devono operare, senza possibilità alcuna di effettuare scelte autonome all'interno dei propri bilanci. Con ulteriore arbitrarietà il decreto consente inoltre di superare il limite di spesa in casi eccezionali solo per le missioni all’estero, le spese di rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni ma non per altre categorie normalmente più attinenti agli obiettivi strategici degli enti, restringendo così ulteriormente l'autonomia degli enti stessi.
Intervenendo solo sull’esercizio in corso e non sui prossimi inoltre, il decreto appare senza logica stravolgendo così tutti i criteri di programmazione in atto.
Ancora: la manovra applica un parametro rigido, il 10%, indiscriminatamente a tutti gli enti, senza tenere conto delle loro effettive disponibilità finanziarie né dell'andamento delle entrate e delle spese. Un’altra motivazione del ricorso alla Corte Costituzionale riguarda la previsione del vincolo, non giustificata dal rispetto del Patto di stabilità interno ma che si somma ad esso, producendo una doppia penalizzazione a carico degli enti più virtuosi. (cl)