di Marco Filippeschi
Anche in Toscana il dato del 42% dei voti a “Uniti nell’Ulivo” è significativo: si tratta di una grande forza. Non si raggiunge per poco la somma dei voti delle politiche del 2001: in percentuale si arretra di due o tre punti, secondo come si valuti il peso dell’Sdi, come nella media del risultato della circoscrizione del centro – ma va anche detto che in Toscana il risultato delle elezioni politiche vide una tenuta migliore rispetto a quella delle altre regioni.
Va sottolineato il risultato dei nostri candidati: per l’elezione di Guido Sacconi – una buona prova per lui e un obiettivo raggiunto per il partito toscano –, per il successo di Monica Giuntini e per quello di Massimo Toschi, che voglio ringraziare per come, da indipendente, ha contribuito al successo della lista unitaria nella sua città e ben oltre. Ad ascoltare le discussioni sul voto fatte nel partito in queste settimane, non pare difficile vedere alcune ragioni politiche del risultato, le propongo alla discussione e anche all’analisi degli altri relatori.
Visto il numero dei voti, si può dire che il progetto della lista unitaria non è stato contraddetto, anche se la sua immaturità e un difetto di leadership ne hanno frenato la capacità espansiva. Dopo la convenzione del 13 e 14 febbraio del Palalottomatica, la proposta si è appannata e ha subito la difficoltà delle indecisioni e di alcune contraddizioni, in particolare riguardo alla vicenda della guerra in Iraq. Sono stati tre mesi difficili: io credo che questo si sia pagato in termini di qualche cessione di consensi verso sinistra, soprattutto nelle regioni dove l’elettorato è particolarmente connotato e i sondaggi fatti in Toscana prima del voto annunciavano questa tendenza.
Naturalmente, qui si tratta di una ragione politica, che non si può trascurare anche per il futuro. Poi ci sono ragioni più legate alla campagna elettorale, molto breve, un po’ schiacciata dalla preparazione e dallo svolgimento di quella per province e comuni (il dato di Lucca e di Massa-Carrara, come vedremo, è significativo in questo senso). E dunque c’è stata una difficoltà all’atto del voto a riconoscere il simbolo, come emerge dall’esperienza degli scrutatori e dei rappresentanti di lista e dalle differenze tra voto europeo e provinciale – voto provinciale che mostra una forza d’attrazione dell’Ulivo per gli elettori di centrodestra, in virtù della nostra più affidabile offerta di governo.
Credo che sommando gli effetti di queste ragioni si possano spiegare i nostri risultati con equilibrio e senza grandi incertezze. A mio avviso, dunque, anche il voto in Toscana non contraddice le ragioni del progetto politico proposto da Romano Prodi. La lista unitaria nasce per rispondere alle domande di unità e di semplificazione dell’offerta politica, di riduzione della frammentazione, ancora fortissime tra gli elettori. Certo, il progetto si sostiene volendo essere conseguenti rispetto all’evidenza data dalla comparazione tra la nostra offerta, quella del centrosinistra, e quella di altre democrazie europee.
Sta in piedi se ciò che è patologico, un’alleanza fatta di una decina di partiti di cui il partito più grande ha meno del 20% dei voti, è riconosciuto come tale e dunque se proviamo a immaginare uno scenario di prospettiva diverso, proiettato al futuro più che al passato. Non abbiamo sottovalutato le ragioni di una spinta venuta alla politica da parte di movimenti e forze sociali: Fassino ha rappresentato un partito che fa il suo mestiere, che ascolta e risponde e che cerca di attrezzarsi per anticipare le domande.
In Toscana quella spinta l’abbiamo accolta, aprendoci e marcando così il nostro profilo, e non c’è da tornare indietro. Questa spinta dunque è valsa a dare alcune risposte che mancavano, su grandi temi della politica che s’imporranno sempre più. Penso alla globalizzazione e all’impegno per la pace, per un nuovo governo del mondo: è di ieri la conclusione del Meeting di San Rossore, organizzato dalla giunta regionale, quest’anno centrato sul problema essenziale del cambiamento climatico, che ha avuto uno straordinario successo.
Penso ad altri versanti. Ma credo illusorio e pericoloso – e molto politicistico –, pensare irrilevante lo spostamento del baricentro della coalizione, nei rapporti con una parte decisiva del paese – di centro politico e sociale, potremo dire – e visti i problemi irrisolti che dovremo affrontare, quasi che vi siano due recinti invalicabili o un “effetto Berlusconi” che garantiscano comunque la coesione del centrosinistra. Oggi, invece, è proprio la crisi della destra e del berlusconismo, di Berlusconi come baricentro e collante politico di un alleanza, a rendere possibili le nostalgie neocentriste.
In questo senso è rischioso proporre più o meno esplicitamente una riunificazione della sinistra – riformista e radicale – trascurando per di più il fatto che in quasi tutti i paesi europei, insieme a grandi partiti riformisti, socialdemocratici, di centrosinistra, convive una sinistra più radicale. Nei mesi passati l’abbiamo fatto organizzando vere e proprie campagne regionali, promosse e coordinate dall’Unione regionale, che hanno avuto un buon successo: quella contro il carovita e quella per la scuola di base.
Naturalmente sono due temi da riprendere: quello del carovita, in particolare, è stato e sarà decisivo per l’orientamento di tanti elettori, non dobbiamo mai dimenticarlo; e sulla scuola c’è da preparare, insieme alla Sinistra giovanile, un’iniziativa diffusa alla ripresa dell’anno scolastico. Propongo altri due temi, per due nuove campagne regionali: quello delle politiche per la salute, della valorizzazione del modello toscano, delle innovazioni che stiamo costruendo e della difesa del nostro sistema sanitario pubblico – ne abbiamo discusso il 29 marzo, in un’iniziativa regionale che ci ha indicato un campo vastissimo d’iniziativa; e quello delle politiche per l’infanzia, parte fondamentale di un capitolo più ampio, quello delle politiche per le famiglie, per il consolidamento, l’estensione e l’innovazione del welfare regionale. Si tratta di due grandi temi che possono essere parte di una battaglia politica nazionale – di campagne nazionali –, d’opposizione e di proposta, e, insieme, possono costituire un contributo a “Toscana Democratica” e al percorso per la costruzione di programmi e alleanze in vista delle elezioni regionali.
Inoltre, sono temi che incrociano l’iniziativa che i comuni, le province e le regioni stanno promovendo contro i tagli decisi dal governo con l’ultima manovra e annunciati in vista della prossima legge finanziaria, che scaricano la crisi finanziaria sempre più grave sulle autonomie locali, sulle finanze regionali già al limite e contro i bisogni sociali essenziali. Martedì prossimo i sindaci manifesteranno davanti a Montecitorio, come ha annunciato Leonardo Domenici e serve un movimento molto vasto, che proponga iniziative incisive, come quelle proposte qui a Pisa dell’Anci toscana. Il disagio sociale di cui parliamo tocca anche la società toscana.
La crisi di competitività segna i nostri distretti e alcuni grandi poli industriali. L’orizzonte a cui si guarda si è ancora allargato: Cina, India, Europa dell’Est sono in cima alle riflessioni di tanti. Dobbiamo dare le nostre risposte. Ne discutemmo già un anno fa nella nostra convenzione programmatica di Firenze e mi pare che l’elaborazione che proponemmo in quell’occasione resti largamente valida. In vista delle elezioni regionali, dobbiamo fare un passo in avanti: per valorizzare in modo più visibile i risultati del nostro governo e del lavoro di Claudio Martini – che già vedono nei sondaggi che abbiamo fatto giudizi molto positivi dei cittadini toscani – e per rendere incisive, comunicabili le proposte nuove.
In questo quadro va ripresa anche un’iniziativa che aiuti a far valere il “Patto per lo sviluppo” sottoscritto tra la Giunta regionale e le forze sociali, primo esempio nel paese di una concreta e innovativa ripresa delle concertazione e possibile matrice di patti di sviluppo locali. “Toscana Democratica” ha deciso di darsi a fine settembre un’occasione di confronto per enucleare prime proposte. Insieme dovrà procedere un confronto con Rifondazione comunista, a partire da quello sugli atti fondamentali programmazione che contrassegneranno in tutti i campi decisivi l’ultima fase di lavoro del Consiglio regionale.
Tanta parte delle possibilità di un’intesa stanno, com’è naturale, in un esito positivo di questi passaggi. Il nostro intento è chiaro da tempo. Tutta “Toscana Democratica” oggi è disponibile ad un confronto serio, che per la maggioranza non può prescindere dall’esperienza in corso né può prendere vie tortuose o astratte che allontanino dalla necessità di dare riposte di governo ai problemi della nostra regione. Dai grandi temi alle politiche regionali, così chiaramente alternative a quelle del governo, abbiamo costruito un habitat ideale per fare intese – è evidente e questo si doveva e si dovrebbe riconoscere senza fatica –, a patto che si vogliano fare intese per governare, intese di governo con programmi chiari, operativi, non contraddittori. 4. Le elezioni amministrative sono state un premio alla nostra esperienza di governo e all’affidabilità della nostra offerta.
Hanno dimostrato che sappiamo interpretare bene le regole elettorali maggioritarie. Nonostante il ricambio vastissimo dei sindaci e dei presidenti di provincia, e dunque con coalizioni che spesso ripartivano da un sostanziale azzeramento, abbiamo garantito l’unità dell’Ulivo dappertutto e raddoppiato gli accordi con Rifondazione comunista, con l’eccezione significativa d’importanti comuni e province. Tutti i presidenti di provincia sono stati eletti al primo turno, con trentamila voti in più al nostro partito rispetto al 1999.
Cresciamo quasi del 3 per cento sulle politiche del 2001. Nelle elezioni provinciali abbiamo respinto il tentativo d’indebolirci delle liste personali e localistiche – a Pisa e Siena, dove c’erano liste civiche, abbiamo guadagnato un consigliere provinciale in più – e, in generale, il tentativo di colpirci, anche con campagne mirate, per tanti versi senza precedenti, come quella sulla legge elettorale e il superamento della preferenza, è andato a vuoto. La distanza tra centrosinistra e destra non è mai stata così grande e conquistiamo più comuni di quanti già avevamo.
Vinciamo bene a Firenze, al ballottaggio, con un risultato positivo di Leonardo Domenici e, anche in questo caso, superiamo una prova difficile, vista la frammentazione di candidati sindaco e liste e i tentativi evidenti di condizionarci e ridimensionarci. Sono risultati di grande valore, costati molto impegno dei nostri militanti e dei candidati. Perché in ogni caso i Ds sono stati il perno delle alleanze. In questa occasione ringrazio tutti e tutte di cuore: sono gli stessi compagni e compagne che ora stanno facendo le feste de l’Unità – che dovranno raccogliere le firme sui referendum per l’abrogazione delle norme sulla procreazione assistita – e che da settembre saranno impegnati nella campagna congressuale e nella preparazione delle elezioni regionali.
Con questo voto per i Ds e per Toscana Democratica si è chiuso un ciclo triennale positivo di elezioni locali. Abbiamo cambiato gli equilibri nei comuni di Lucca e Grosseto, governati dalla destra da due mandati, ribaltato la situazione all’Isola d’Elba, conquistato due comuni importanti come Capannori e Pescia. E’ un duro colpo alla destra che sarebbe stato durissimo se avessimo riconquistato Arezzo. La destra ha dimostrato di non essere un’alternativa credibile perché portatrice di parole d’ordine e di politiche estranee e ostili alla Toscana, perché dove ha governato non ha dato buona prova di sé, dimostrando una concezione proprietaria delle istituzioni e perseguendo uno sviluppo privo di qualità.
E il risultato di Portoferraio e dell’Elba e quello di Capannori sono significativi anche perché dimostrano che il Toscana c’è un argine ancora alto contro la degenerazione della politica. E’ un fatto molto significativo che tra i primissimi atti di governo del dopo voto vi sia quello sulla pianificazione urbanistica unificata per l’Isola d’Elba, obiettivo nostro e della giunta regionale, oggi concretizzabile per il prevalere del centrosinistra. In questo quadro e più in generale, stona il voto di Arezzo: è stata un’occasione persa, anche se la prova era difficile in partenza per la forza del sindaco uscente.
Ma dal voto di Arezzo viene una lezione per tutti: per la coalizione, per il nostro partito e anche per alcune forze sociali. Nei comuni difficili, dove c’è una competizione vera al centro dello schieramento sociale, non si può andare al voto senza una politica verso questa parte della società. Non basta la sommatoria di liste, né è utile uno sbilanciamento a sinistra, che coinvolge una parzialità di soggetti: è accaduto talvolta, bisogna riconoscerlo, pur valutando il contesto e il momento, con i forum, i laboratori.
E’ accaduto anche ad Arezzo. E’ l’Ulivo a dover stabilire un’interlocuzione con tutti i soggetti sociali, nella distinzione dei ruoli, con i patti di consultazione e le altre forme di collegamento che abbiamo sperimentato e promosso (nella Convenzione svolta proprio ad Arezzo): la parzialità dei coinvolgimenti e la confusione dei ruoli non hanno dato buona prova e spesso, sembra un paradosso, hanno portato a prendere le decisioni fondamentali, quali quelle delle candidature, in sedi coalizionali assai ristrette, con percorsi tutt’altro che partecipativi. Poi c’è una regola aurea che si dovrebbe osservare nelle coalizioni, facendola valere sempre, sopra gli interessi di partito e personali.
Nei casi difficili si deve candidare il candidato più forte. Ad Arezzo, alla fine di un percorso troppo lungo e complicato, noi abbiamo scelto una candidata forte, Monica Bettoni, che ha fatto una forte campagna elettorale, con un risultato personale di rilievo. Ma sappiamo che non è stato possibile discutere di un’altra proposta molto forte, espressione del centro nella nostra coalizione e ciò per diversi motivi. Di fatto ci siamo ritrovati non sufficientemente attrezzati su un lato decisivo della contesa e si è pagato un prezzo al primo turno, quando sono mancati pochissimi voti per vincere – e comunque abbiamo preso 20 consiglieri su 41 –, e al ballottaggio, nello scontro diretto, quando il candidato della destra ha sfondato soprattutto su quel lato.
Per ultimo, ma non ultimo, il problema delle regole per le coalizioni e per il partito: scegliere tra opzioni diverse in sedi ristrette, dopo percorsi confusi che celano differenze destinate comunque ad emergere, e decidere alla fine con maggioranze neppure ampie, può portare a lacerazioni che lasciano il segno: in questi casi per scegliere servono le primarie e dunque servono regole fatte in anticipo – ed era possibile e lungimirante darsele, anche ad Arezzo. Regole che rendano possibile una selezione partecipata delle candidature, quando si deve scegliere tra più di una proposta.
Quegli indirizzi politici che pure avevamo proposto per tempo al partito (e anche alla coalizione, dovendo subire un evidente ostruzionismo) nell’ambito delle regole statutarie esistenti non sono stati sufficienti e ciò si è visto ad Arezzo e in altre realtà. Dunque vanno aggiornate le regole, con una decisione di valenza congressuale e statutaria che sancisca la soglia per cui una qualificata minoranza possa chiedere un allargamento della platea per le decisioni. Anche il fenomeno delle liste civiche, più consistente in questa tornata elettorale, al di là dei personalismi estremi e dei casi particolari ci pone innanzi tutto un problema di regole, di forme di partecipazione e di comunicazione e anche, in qualche modo, di etica politica.
Perché sono cambiate via via alcune condizioni di base della politica locale. Faccio alcuni esempi: c’è una minore rappresentatività e capacità d’integrazione sociale delle organizzazioni di partito; c’è una personalizzazione più spinta; si vede uno schiacciamento della politica nella dimensione locale sulla presenza nei governi locali e nelle assemblee elettive – per debolezza, nel nostro caso, più che per scelta –; si crea, talvolta, una distanza tra gli amministratori e le organizzazioni di base dei partiti che lascia un vuoto rischioso quando si deve cambiare il candidato sindaco; c’è un miglioramento dello status degli amministratori pubblici – dei sindaci, degli assessori, di chi è chiamato ad incarichi in aziende a partecipazione pubblica – che ormai ha un suo peso; ci sono cambiamenti della struttura sociale, aree di sofferenza, che vanno riconosciute e affrontate; i cittadini sono più esigenti, a volte anche più egoisti, ma in ogni caso vanno ascoltati e coinvolti con forme di comunicazione permanenti.
Avremo di che discutere verso il nostro congresso regionale e dovremo dare delle risposte insieme ai nostri alleati. Se il risultato di Arezzo non va archiviato, anche altri risultati meritano attenzione. Mi riferisco soprattutto alle elezioni comunali dove, in un risultato comunque positivo delle coalizioni, si è visto un risultato dei Ds che ha abbassato, seppure di poco, la nostra percentuale nei comuni sopra ai 15 mila residenti, con una cessione di voti andata innanzi tutto alle liste civiche.
Empoli, Certaldo, Sesto Fiorentino, Collesalvetti, Massarosa, Colle Val d’Elsa, Poggibonsi, Pescia, Follonica: sono casi da non archiviare. Lo stesso vale per quanto è successo in alcuni comuni più piccoli, da analizzare federazione per federazione. I risultati vanno spiegati e devono vederci capaci di dare riposte positive. In generale, anche in Toscana ogni vicenda comunale ha sempre più una storia particolare, che può anche essere eccentrica alle tendenze generali. E la crescita della frammentazione è essa stessa una tendenza generale.
Per queste ragioni non possiamo permetterci di mancare l’occasione dei congressi per dare risposte nuove a problemi nuovi. Concludo con un’ultima sottolineatura. Un altro risultato molto positivo è quello di aver candidato e eletto sindaco e consigliere molte più donne e molti giovani, grazie anche all’impegno della Sinistra giovanile e delle nostre compagne. Come ho già detto, abbiamo ricostruito le alleanze e insieme abbiamo rinnovato profondamente la nostra rappresentanza. Oggi abbiamo tanti giovani e tante giovani eletti, già impegnati e tanti altri che, pur non essendo stati eletti, devono essere subito chiamati messi alla prova, a dirigere le nostre organizzazioni, a fare cose concrete, insieme agli altri che spesso già dirigono il partito.
Con una sola raccomandazione, che vale da Firenze al comune più piccolo: che i giovani si mettano alla prova camminando con le loro gambe, senza tutori, preparandosi, lavorando per le proprie responsabilità, rischiando, schierandosi, facendo delle scelte, per dare al nostro partito e alla nostra politica l’aria e il volto nuovi che serviranno ad affermarci anche in futuro.