Un monologo serrato, denso, che fotografa il dramma di una donna in una istantanea teatrale di quaranta minuti. In una anonima cella di una anonima "fabbrica di morte", una altrettanto anonima condannata a morte attende di dare alla luce un figlio. La regola è ferrea: subito dopo il parto, qualcuno siglerà la sua morte a norma di Legge. E dentro questo assurdo illogico sta tutta la tragedia di un monologo che nasce come dialogo impossibile fra una madre destinata a morire ed un figlio destinato a vivere.
Dialogo impossibile che si compie sullo sfondo di uno Stato carnefice che attende in silenzio, nell’ombra. Sospesa nell’atmosfera rarefatta di una notte che muore nel giorno, la condannata tenta l’impresa ostinata di una lettera che sfidi il futuro, un ritratto di vita in righe di inchiostro. Prende corpo una partitura in versi, un assolo drammatico e desolato nelle lande deserte di una umanità azzerata, capace soltanto di riscattarsi nella poesia estrema di un grido oltre le sbarre asfittiche del binario morto.