Si è svolta questa mattina la consegna del Gonfalone d’argento ai rappresentanti dell’Aned, l’Associazione nazionale ex deportati, dell’Anei, Associazione nazionale ex internati, e della Comunità ebraica toscane. Con questo gesto celebrativo si chiude la settimana di iniziative, incontri, riflessioni che la Toscana ha dedicato al giorno della memoria; settimana che ha avuto inizio il 26 gennaio con una seduta straordinaria del Consiglio regionale ad Arezzo. La consegna della massima onoreficenza del Consiglio regionale è stata l’occasione per una nuova giornata di incontro e di riflessione sulle deportazioni dalla nostra regione.
Ad ascoltare le testimonianze tragiche di Mauro Betti in rappresentanza dell’Aned, di Dino Vittori dell’Anei e di Mario Fineschi della Comunità ebraica c’erano non solo numerose autorità, ma anche tanti ragazzi delle scuole superiori fiorentine. Oltre ai rappresentanti delle associazioni premiate, sono intervenuti il vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana Enrico Cecchetti, il docente di storia contemporanea all’Università di Firenze Marco Palla, il presidente della Giunta regionale Claudio Martini e il presidente del Consiglio regionale Riccardo Nencini.
Come ha spiegato Enrico Cecchetti, con questa giornata erano tre gli obiettivi che la Regione si prefiggeva: innanzitutto dar vita a “un ulteriore appuntamento di conoscenza e di approfondimento sui temi della deportazione e delle persecuzioni razziali e politiche”, a “un modo di esprimere solidarietà e partecipazione alle vittime, alle loro famiglie, ai testimoni del dramma”, ma anche a “un’occasione per far conoscere l’appello che i presidenti della Giunta Martini e del Consiglio Nencini hanno deciso di lanciare coinvolgendo Aned, Anei, e Comunità ebraica, rivolgendolo alle istituzioni e ai cittadini toscani: quello di recuperare ogni traccia, ogni volto, ogni racconto individuale e familiare che compongono la storia della deportazione.
Una storia – ha spiegato Cecchetti – costellata di tragedia ma anche di tanti gesti di solidarietà e di vero e proprio eroismo. Vogliamo raccoglierli affinchè non vadano perduti”. Il contesto storico in cui è avvenuto il dramma della deportazione è stato sinteticamente ricordato da Marco Palla, il quale ha sottolineato come la memoria sia approfondimento ma anche richiamo all’oggi, e ha ricordato che sono circa 25 mila i siti Internet di ispirazione neonazista, razzista e xenofoba. Il momento più toccante è stato quello delle testimonianze.
Mauro Betti, come ex deportato, ha raccontato le lunghe marce, le attese infinite in attesa della conta da parte dei nazisti che stabiliva chi dovesse vivere e chi morire, la fame continua. “Noi dobbiamo raccontare con chiarezza e semplicità il nostro passato – ha detto Betti – e su questi ricordi dobbiamo costruire un futuro migliore. L’Aned lavora affinchè con la scomparsa degli ultimi testimoni non si crei un vuoto di memoria. Questo non avverrà, non ci sarà l’oblìo”. Dino Vittori, 60 anni fa internato prima in Polonia, poi in un campo nei pressi di Amburgo, ha ricordato quello che è accaduto a molti militari italiani all’indomani dell’armistizio, finiti nei campi di internamento e lì morti in 50 mila (3 mila le vittime toscane), stremati dalla fame, dal freddo, dal lavoro durissimo.
“Mensilmente ricevevamo una visita di un delegato della Repubblica sociale, che prometteva la libertà a chi accettava di passare nell’esercito della Repubblica – ha raccontato Vittori -. Ma quelli che accettarono furono pochissimi, e la nostra fu una scelta convinta. A molti la nostra può essere sembrata una resistenza inutile, perduta in anticipo, ma essa ha ridato dignità ai militari italiani e ha rappresentato un netto rifiuto della guerra e del fascismo”. Mario Fineschi ha sottolineato che è doveroso perpetuare il ricordo della Shoah non solo per quello che essa è stata, ma anche e soprattutto per le cause che hanno reso possibile il dispiegarsi del male assoluto.
“Dopo anni un cui si è negato quello che è accaduto, adesso assistiamo alla banalizzazione storica – ha commentato il rappresentante della Comunità ebraica -. Invece i giovani devono conoscere per capire, devono sapere che senza la Resistenza noi non saremmo qui”. Fineschi ha anche ricordato gli eroi di quel periodo, come suor Alessandra delle suore di via Faentina, a Firenze, che salvò numerosi bambini ebrei includendoli nelle classi cattoliche. “Mi sembra che le iniziative di quest’anno nell’ambito del giorno della memoria abbiano registrato una maggiore partecipazione e una maggiore intensità del sentire - ha commentato il presidente della Regione Claudio Martini -.
Forse questo accade perché il clima del mondo in cui viviamo è tutt’altro che sereno. L’esercizio della memoria e della conoscenza si giustifica proprio con lo sforzo di far sì che quanto è accaduto non si ripeta”. Pace, disarmo, nonviolenza le tre direttive su cui, secondo Martini, è necessario muoversi. “Il modo migliore per ricordare le vittime della deportazione e delle persecuzioni è quello di riuscire a conquistare nuovi territori di pace” ha concluso il presidente. Riccardo Nencini, presidente del Consiglio regionale, ha concluso l’appuntamento ribadendo come sia importante per una comunità conoscere le proprie radici, e ricordando “il valore, nelle testimonianze di chi ha vissuto quell’immane tragedia, della parola libertà: un valore per il quale ci si può mettere in discussione e anche perdere la vita”.
“Le vicende di Corfù e di Cefalonia sono un argomento vergognosamente trascurato dall’Italia.
Ecco perché il mio libro si chiama ‘I traditi di Cefalonia’”. Ed ecco perché Paolo Paoletti, ricercatore, ha deciso di ricostruire attraverso un puntiglioso lavoro negli archivi di mezza Europa la tragica vicende di Cefalonia e della Divisione Acqui. “Io sono un ricercatore, non uno storico – ha spiegato ancora Paoletti –; faccio i conti con i documenti e non offro spiegazioni di grande respiro. Per questo ho posto una domanda agli storici: perché i tedeschi sterminarono i soldati italiani solo a Cefalonia, e non in altri posti, dove pure ci furono sacche di resistenza? Nessuno mi ha fornito ancora una risposta convincente”.
Di fatto la ricostruzione operata da Paoletti nel volume “I traditi di Cefalonia”, edito nella collana storica dei Fratelli Frilli editori e presentato questo pomeriggio in Consiglio regionale, ha portato alla scoperta di documenti nuovi e a una parziale rivisitazione della dinamica dell’accaduto, come ha anche spiegato, tracciando la storia di quelle settimane, il docente Luigi Lotti intervenuto alla presentazione del volume. Il libro è frutto di ricerche archivistiche presso l’ufficio storico dello stato maggiore dell’Esercito e della Marina militare, l’archivio militare tedesco di Friburgo e della lettura degli atti del processo di Norimberga contro l’ufficiale comandante del XXII Corpo d’armata germanico.
La scoperta dei nuovi documenti inediti, nel dettaglio, ha imposto una rilettura generale di tutti i fatti che precedettero l’inizio delle ostilità, “in primis” una lettera consegnata dal generale Antonio Gandin, comandante della divisione Acqui, al comandante del presidio tedesco di Cefalonia, in cui il nostro ufficiale accusava la divisione di non aver ubbidito al suo ordine di deporre le armi. Nel libro di Paoletti si ripropone quella lettura, insieme ad altri documenti tedeschi dove si accusano i soldati italiani di atti di ribellione contro gli ufficiali favorevoli alla resa, come unica spiegazione al fatto che Hitler ordinò solo a Cefalonia l’esecuzione di massa dei soldati prigionieri di guerra.
Paolo Paoletti, già docente di lingua e letteratura tedesca e inglese, oggi ricercatore negli archivi militari, ha pubblicato oltre una decina di saggi, sei dei quali sui crimini di guerra tedeschi in Italia.