Paolo Rossi ci ha abituato, negli ultimi anni, a spettacoli teatrali ispirati a testi classici: biografie, commedie e drammi spesso attraversati in modo disubbidiente e provocatorio dalla sua vena ironica (tra i grandi successi delle passate stagioni, indimenticabili Romeo & Juliet, liberamente ispirato al dramma di William Shakespeare, e Questa sera si recita Moliére). Anche Il Signor Rossi e la Costituzione, lo spettacolo portato in tour in tutta Italia con straordinaria risposta di pubblico e critica - in scena al Teatro Manzoni (FUORI ABBONAMENTO) venerdì 6 e sabato 7 febbraio (ore 21) - non contraddice in fondo questo approccio drammaturgico, come spiega lo stesso attore: «Mi piacerebbe definirla una serata di teatro di delirio legislativo.
Un teatro che spettacolarizza la vita di questa nostra Repubblica fondata sul lavoro (Art. 1) e fondata sulla nostra Costituzione. Ho viaggiato a lungo nei classici del teatro - Rabelais, Shakespeare, Molière - ora mi confronto con il testo di legge per eccellenza. Un classico più classico della Costituzione non l’ho trovato, e come tutti i classici anche per la Costituzione valgono le stesse regole: tutti sanno che esiste, chi ne è il protagonista, ma la trama nessuno la ricorda. É un classico così ben costruito che ogni volta che lo si rilegge ci si dimentica chi è l’assassino.
L’unica differenza è che essendo scritto a 1.000 mani, nessuno si era preso la briga di registrarlo alla Siae. L’ho fatto io».
Ma perché proprio la Costituzione?
«Perché, come ogni classico che si rispetti – sottolinea l’attore milanese – è un libro che tutti vogliono reinterpretare, tradire, riscrivere». Ma, il Signor Rossi non ci sta! E suggerisce di applicarli sul serio questi 139 articoli. Cosa potrebbe succedere? Su questo e altri interrogativi; ma anche su molte proposte concrete, si organizza Il signor Rossi e la Costituzione.
Uno spettacolo irriverente, comico, dissacrante ma anche riflessivo, in cui, ancora una volta, il pubblico è un protagonista fondamentale: proprio agli spettatori è lasciato il compito di dirigere i “lavori”.
E non poteva mancare una riflessione sulla guerra: nel sottotitolo – adunata popolare di delirio organizzato – se il “delirio” è ormai noto, l’“adunata popolare” si riferisce all’art. 17 della Costituzione che decreta e tutela il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, e “siccome le armi di pasoliniana memoria non sono ancora contemplate fra le armi improprie, si è deciso di avvalersi di questa legge per chiamare i cittadini a trovarsi per parlare della Costituzione, per conoscerla prima di vederla modificata, per discuterla, magari per riscriverla, per capirla, scandagliarla, renderla fruibile”.
Insomma, uno spettacolo in progress, ogni sera diverso, che muta con il mutare della platea e che è un po’ il compendio di questi anni passati a tenere il polso degli italiani da quel punto di vista privilegiato che è il teatro.
Note biografiche
Lenny Bruce dei Navigli.
È l’appellativo, il nome di battaglia dato una volta a Paolo Rossi, Story-Teller naturale classe young, taglia peso piuma.
Uno cui la statura da fantino non impedisce di picchiare duro, al cuore e allo stomaco, recitando.
Un irregolare, uno fuori-del-mucchio.
Uno che se l’è presa coi cinghiali e con gli eiaculatori precoci, che ha lanciato anatemi di siderale nefandezza, che ha reclamato con cinismo, grazia e surrealtà per conto di studenti veri uccisi da poliziotti veri.
Uno, infine, che ha avuto l’immenso merito di accostare i pubblici del teatro e dei tendoni rock, e tanti dei suoi monologhi volano infatti come canzoni, hanno una presa mass-mediologica che non conosce l’accademismo dei sipari, gli steccati delle poltronissime, il coma profondo e soporifero degli abbonati.