Con l’inizio del 2004 si aprono le porte del Teatro P. Mascagni di Chiusi alla produzione Emmevu Teatro per la prima nazionale assoluta che darà il via alla nuova stagione teatrale invernale.
Lo spettacolo che debutterà in prima nazionale assoluta è “La vita che ti diedi” di Pirandello, e già da ieri sono giunti a Chiusi, Marina Malfatti e Luigi Squarzina, insieme all’intera compagnia teatrale per le ultime prove prima di tirare su il sipario su questo nuovo e importante lavoro, che proseguirà in tournèe in tutta Italia.
Riproposta così la formula dell’ospitalità alla Compagnia teatrale per gli ultimi dieci giorni di allestimento dello spettacolo prima del debutto, così come è avvenuto l’anno passato con Ottavia Piccolo e “Bellissima Maria”.
Marina Malfatti e Luigi Squarzina, una coppia, regista-interprete, che ha sempre riscosso grandissimi successi, in particolare negli allestimenti dei testi di Pirandello. Bellissima commedia, scritta da Pirandello per Eleonora Duse, “La vita che ti diedi” appare alla lettura di oggi estremamente attuale, perché approfondisce con grande acutezza la complessità dei rapporti madre-figlio all’interno di una famiglia borghese, dove l’arrivo di una giovane donna scatenerà le ambiguità nascoste della madre che arriverà a gesti di violenza e perfino di ricatto pur di non perdere l’amore del figlio.
Pirandello, svelandoci i lati più misteriosi della figura materna, ci trascina in una storia emozionante e ironica insieme, approfondendo non solo la tragedia di una madre, ma la tragedia della «personalità materna», generica, assoluta, senza faccia: cerca il sublime della maternità. Accanto a Marina Malfatti prenderà parte allo spettacolo Vanesse Gravina e, come sempre, attori di alto livello professionale
MARINA MALFATTI
Attrice fiorentina. Il vero debutto avviene nel 1962 quando Arnoldo Foà la chiama a interpretrare Due sull'altalena di Gibson.
Alterna quindi commedie brillanti (Feydeau, Ayckbourn), e testi drammatici ( Rashomon di Fay e Kanin, Dal tuo al mio di G. Verga che le vale il premio Verga nel 1970), in quella duttile varietà di ruoli che caratterizza la sua intensa carriera. L'esordio in tv nel 1974, come interprete dello sceneggiato Malombra di Fogazzaro regia di D. Fabbri, le dà grande popolarità, come poi nell'84 Teresa Raquin di E. Zola, regia di G. Cobelli. Dal '78 inizia un ciclo di grandi eroine: un'androgina Fronesio nel Truculentus di Plauto (1979, regia L.
Salveti), Lisistrata e Anna Kuliscioff (1981, regie di R. Guicciardini), una spettrale Gigliola di La fiaccola sotto il moggio di D'Annunzio (1982, regia G. Cobelli), Antigone (1982), Elettra con la regia di L. Salveti, per la quale riceve nel 1984 la Maschera d'argento come interprete «che riesce a trovare sempre un punto di contatto tra le eroine classiche e la donna moderna», caratteristica che in effetti distingue la ricerca interpretativa dell'attrice. È quindi protagonista di testi scritti per lei: Corpo d'altri di G.
Manfridi (1984), La cintura di A. Moravia (regia di R. Guicciardini, 1986), Tosca riscritto da A. Trionfo (1988), La voce umana di Cocteau adattato da R. Lerici (1989). Nel '90 inizia un sodalizio artistico con il regista L. Squarzina, con il quale interpreta Come prima, meglio di prima e La vita che ti diedi di L. Pirandello, La locandiera di C. Goldoni, la protagonista ultranovantenne di Tre donne alte di Albee (1994), Candida di G.B. Shaw (1996), dando voce alla `realizzazione femminile' sia individuale che sociale.
Nel '98 debutta in Sangue del contemporaneo L. Norén per la regia di W. Schroeter, con il quale prepara per il '99 Zoo di vetro di T. Williams. Della sua attività cinematografica si ricordano i film con i fratelli Taviani ( Un uomo da bruciare , 1962; I fuorilegge del matrimonio , 1963), e per la tv negli anni '90 La signora Morli una e due, Un posto freddo in fondo al cuore, A rischio d'amore
LUIGI SQUARZINA
Regista e autore drammatico livornese. Considerato fra i maggiori esponenti del teatro di regia italiano, nel 1945 si laurea in legge e nello stesso anno si diploma all'Accademia nazionale d'arte drammatica di Roma, dove aveva seguito il corso di regia.
Il suo saggio di fine corso del secondo anno (1943), una riduzione di Uomini e topi di Steinbeck, è il primo spettacolo teatrale rappresentato nella Roma liberata. Fra i suoi compagni d'Accademia divenuti celebri ricordiamo, oltre a Vittorio Gassman - con il quale S. firma il primo Amleto apparso in Italia in edizione integrale (1952) - anche Adolfo Celi e Luciano Salce. La personalità di S. è caratterizzata - come egli stesso dice di sé nella voce dell' Enciclopedia dello spettacolo - dall'eclettismo e dalla versatilità: studi giuridici, attività registica, impegno drammaturgico e universitario, produzione teorica con celebri saggi e studi (per esempio Da Dioniso a Brecht ), direzione di importanti teatri stabili (Genova, Roma); un impegno vario e multiforme, che in lui trova un rigoroso e coerente equilibrio.
Il primo periodo registico - dopo la collaborazione iniziale con Orazio Costa ( Giorni senza fine di O'Neill, 1946, compagnia Borboni-Randone-Carnabucci-Cei) - è segnato da uno spiccato interesse per la drammaturgia americana, pressoché sconosciuta in Italia: Erano tutti miei figli di Miller (1947), Un cappello pieno di pioggia di Vincent Gazo (1956), Anna dei miracoli di Gibson (1960) in cui debutta una Ottavia Piccolo ancora bambina. Contemporaneamente affronta opere difficili e originali; pensiamo a Tieste di Seneca (1953), interpretato da Gassman, testo solitamente ritenuto irrappresentabile che S.
invece allestisce con grande successo. Gli anni '50 segnano anche il passaggio alla scrittura drammaturgica: Tre quarti di luna , interpretato da Gassman e da un giovanissimo Luca Ronconi (1953), La sua parte di storia (1955), Romagnola (1957). Come regista esterno allestisce Misura per misura di Shakespeare (1957) e Uomo e superuomo di Shaw (1961), spettacoli memorabili che portano S. a dirigere lo Stabile accanto a Ivo Chiesa dal 1962 al '76. In questo lungo lasso di tempo, grazie anche alla soppressione della censura, S.
compie scelte di repertorio prima impraticabili, come Il diavolo e il buon dio di Sartre (1962), allestimento che suscita reazioni e scandali. Nel 1976 lascia lo Stabile di Genova per quello di Roma; qui lavora, in particolare, sulla drammaturgia elisabettiana ( Volpone di Jonson e Timone d'Atene di Shakespeare) e su Brecht ( Terrore e miseria del Terzo Reich ). Dal 1983 sceglie la libera professione, continuando tuttavia a coltivare i propri interessi drammaturgici: Pirandello ( Il berretto a sonagli ; L'uomo, la bestia e la virtù ; Tutto per bene ; Come prima, meglio di prima ; La vita che ti diedi ), Goldoni ( La locandiera e Il ventaglio ), Shakespeare ( Il mercante di Venezia ), la drammaturgia classica ( Oreste di Euripide, I sette contro Tebe di Eschilo.
Il suo primo lavoro, L'esposizione universale (1948), che segue le vicissitudini di un gruppo di senzatetto, propone una narrazione corale, un affresco di storia contemporanea senza facili concessioni al patetismo. Il più celebre Tre quarti di luna (1952) discute la posizione dell'intellettuale nella società attraverso la vicenda di due studenti che indagano sul misterioso suicidio di un loro compagno. Il linguaggio dell'opera evita una funzione meramente illustrativa del reale, mescolando sapientemente squarci lirici a serrati dibattiti di idee.
La sua parte di storia (1955) e Romagnola (1957) drammatizzano, invece, il mondo popolare e contadino. Il primo narra un fatto di cronaca nello scenario di uno sperduto paesino sardo; il secondo - definito dall'autore una `kermesse' - illustra la partecipazione collettiva alla ricostruzione dopo il fascismo, attraverso la vicenda personale di Michele e Cecilia. L'opera, ritmata come una grande ballata popolare, è strutturata in dieci giornate e trenta quadri, rifiutando così la scansione convenzionale degli atti, in favore di una successione di quadri di sapore brechtiano.
A partire dagli anni '60 emerge una duplice tendenza nella drammaturgia squarziniana e nella sua indagine critica sulla nostra identità storica e morale. Da un lato il dramma d'invenzione che, pur non estraneo al realismo, può attingere, anche in forma parodica, alle istanze dell'avanguardia ( Emmetì , 1963), oppure giocare con le forme del grottesco per una satira di costume sociale ( I cinque sensi , 1987), o anche miscelare a sorpresa l'elemento metafisico e il tono brillante di una commedia di costume ( Siamo momentaneamente assenti , 1992).
Dall'altro lato, il dramma-documento che risponde a finalità didattiche e affonda direttamente nella storia mediante la scrupolosa ricostruzione di eventi realmente accaduti ( Cinque giorni al porto , 1969 e Rosa Luxemburg , 1974, scritti con Vico Faggi; 8 settembre , 1971, scritto con De Bernart e Zangrandi).