Firenze, 11 dicembre 2003- Numeri significativi, anche se raccolti solo a campione, casi clinici sconvolgenti per l’efferatezza della violenza, la durata, le conseguenze che segnano a vita vittime e protagonisti: il Congresso nazionale del Cismai sulla Violenza assistita in ambito familiare ha dato fin dalle sue prime battute la chiara sensazione che il fenomeno che coinvolge tante famiglie e tanti bambini è ben presente nella nostra società, anche se emerge solo raramente e in casi eclatanti, che non rendono giustizia di una realtà ben più diffusa e nascosta.
Il compito di questo congresso, a cui partecipano 1500 tra operatori ed esperti di tutto il mondo, è soprattutto quello, per la prima volta in Italia, di mettere le carte in tavola: i numeri anche se parziali, la terribile casistica raccolta in anni e anni di lavoro da servizi non sempre coordinati, e di promuovere finalmente quel riconoscimento sociale capace di sostenere interventi più incisivi di tutela e di cura. “Bisogna assicurare un ascolto autentico e competente ai bambini che assistono alla violenza, perché la pericolosità di questa loro esperienza non è sempre immediatamente percepibile” ha detto nella relazione introduttiva Daniela Diano, presidente del Cismai.
C’è ancora molto da fare sia in termini di servizi che di prevenzione. “ Il Piano sanitario nazionale individua la violenza come un attentato alla salute degli individui ha proseguito Diano prevede la creazione di strutture sperimentali composte da medici e pediatri per cercare di intercettare precocemente le situazioni problematiche, in collegamento con la scuola e con i servizi. Bisognerà fare in modo che nella logica dei livelli essenziali di assistenza venga messo fine alle lunghe attese per la presa in carico e che vengano messe in campo maggiori risorse, economiche e professionali.
Il quadro normativo in campo sanitario, sociale e giuridico esprime grandi potenzialità, ma non è immune da rischi di sovrapposizione, duplicazione, frammentarietà, disorganizzazione”. “Il tormento delle risorse ha replicato il presidente della Regione Toscana Claudio Martini è un problema serio soprattutto per le politiche sociali più complesse. Infatti in Toscana stiamo pensando ad aprire con il privato sociale, l’associazionismo, il volontariato una nuova forma di collaborazione nel quadro di una concezione evoluta della sussidiarietà.
L’importante comunque- ha aggiunto è che la tutela dell’infanzia si imponga come la più alta forma di prevenzione per la comunità e che venga sconfitto il mito della violenza e della forza come elemento risolutivo dei conflitti, quelli grandi e quelli del quotidiano”. Protezione, dunque, è la parola d’ordine. Ma non è cosa facile. La violenza in famiglia infatti, come ha denunciato Roberta Luberti, responsabile della sezione minori dell’Associazione Artemisia di Firenze, anche nelle sue forme più brutali e gravi resta spesso a lungo sullo sfondo perfino quando intervengono i servizi per la rilevazione, la valutazione e il trattamento dei casi.
Con il risultato che le situazioni di maltrattamento, violenza e violenza assistita, gelosamente custodite nel segreto delle mura di casa e dal pudore delle vittime, si protraggono per anni e rischiano di trasmettersi da una generazione all’altra.
Per questo quando parliamo di protezione non possiamo riferirci solo al mondo esterno al bambino ma anche al suo mondo interiore devastato. Dobbiamo valutare se il bambino può rimanere nel suo ambiente e se ci sono le condizioni per un recupero della genitorialità di cui ha comunque bisogno. Ma soprattutto dobbiamo agire sul suo mondo interiore, altrimenti ce lo ritroveremo da adulto di nuovo vittima o a sua volta carnefice”.