(25 novembre 2003) - All’indomani dell’8 settembre 1943 la divisione Acqui, abbandonata a se stessa nell’isola greca di Cefalonia dal comando militare italiano, decise di non consegnare le armi ai tedeschi e di combattere. L’ex alleato reagì con l’aggressione e l’eccidio dei prigionieri. Duemila ufficiali e soldati della Acqui caddero in battaglia, più di cinquemila vennero orrendamente trucidati dopo essersi arresi. Dei tremila superstiti duemila trovarono la morte sulle navi che li avviavano alla deportazione.
Di questa pagina la politica e la storia hanno colpevolmente taciuto per anni.
Luigi Caroppo, giornalista e redattore della Nazione, nel suo libro “Cefalonia, doppia strage”, pubblicato dall’editore Stampa Alternativa, affronta la tragedia della Acqui ricostruendo la vicenda e dando al lettore utili elementi di giudizio. Caroppo si serve di un testimone d’eccezione, il fiorentino Amos Pampaloni, che fu tra i protagonisti della battaglia di Cefalonia. Il libro verrà presentato da Caroppo e Pampaloni che incontreranno mercoledì 26 novembre, alle ore 11, gli studenti delle scuole fiorentine, in un incontro, aperto al pubblico, nella Sala Rossa di Palazzo Medici Riccardi, insieme al Presidente della Provincia Michele Gesualdi, che recentemente, con una delegazione dell’Ente, è stato nell’isola greca per un pellegrinaggio della memoria con 24 studenti e sei insegnanti delle scuole superiori fiorentine.
Hanno già assicurato la loro presenza gli allievi dell’artistico Alberti, con l’Itc Galilei, l’Educandato Ss. Annunziata e l’Istituto tecnico Volta, con il conservatorio Ss. Annunziata e l’Istituto Ferraris di Empoli.
Il 26 Novembre del 1958, sedici anni fa, si concluse a Verona il processo per le vittime della tragedia mineraria di Ribolla. Erano imputati per strage i dirigenti della Montecatini. Tutti furono assolti, mai furono individuati i responsabili di quelle morti.
Il 4 maggio del 1954 (il prossimo anno ricorrerà il cinquantesimo anniversario) nella miniera di carbone di Ribolla morirono 43 minatori a causa di una esplosione di grisou.
Si trattò di una tragedia annunciata del tutto simile a quella che due anni dopo successe a Marcinelle in Belgio provocando 263 vittime di cui 136 italiani. La Marcinelle italiana provocò un grande clamore in tutta la nazione.
Luciano Bianciardi e Carlo Cassola la raccontarono nel libro "I Minatori della Maremma". Nella "Vita Agra" Bianciardi ne fece il simbolo del modello di sfruttamento operaio di cui si rese protagonista negli anni del miracolo economico la Montecatini.
"Ribolla è un villaggio sperduto in una breve pianura ondulata sotto le colline di Montemassi e di Roccastrada: mai forse tanta gente vi si è trovata insieme in uno stesso giorno, e mai vi si son viste tante bandiere, tante corone di fiori, tanti carabinieri e tanti giornalisti." I minatori della Maremma, Luciano Bianciardi - Carlo Cassola 1956.
Bianciardi e Cassola parlano di sciagura. Disastro è la parola che ricorre nei documenti della CGIL. Nei giorni immediatamente successivi all'evento, i giornalisti parlavano di tragedia.
Innanzitutto, le morti in miniera sono all'ordine del giorno a Ribolla.
Periodicamente, come le esondazioni di in fiume, il grisou esplode, le gallerie crollano e gli uomini rimangono vittime del loro lavoro. 1900, 1910, 1945. sono tanti i fatti, gli incidenti più o meno devastanti. L'evento del 4 maggio 1954 è grave e memorabile non tanto per la sua entità, per il numero elevato delle vittime; esso è reso unico dalle modalità e dalle cause per cui si è verificato e dalle conseguenze che ha suscitato.
Come nel caso del Vajont, qui a Ribolla non c'è stata sorpresa per l'evento disastroso, verificatosi a seguito di incuria e in contesto noto di allarmi, segnali, preavvisi che avrebbero consentito, a volerli leggere e decifrare, di evitare il peggio.
Si è trattato di un evento atteso, non sorprendente né repentino. Manca un vero contrasto tra uomo e natura. Non si è trattato di un incidente incorso ad uomini che sfidavano la natura in nome del progresso e del successo economico. Si è trattato di un conflitto tutto umano tra interessi contrapposti: da una parte i minatori e i sindacati intenti a preservare il lavoro e dall'altro la Montecatini, interessata a chiudere con un investimento fallimentare e destinato comunque, nella situazione del dopoguerra, alla definitiva chiusura.
È un conflitto che ha avuto dei vincitori e dei vinti. Una tragedia, forse, proprio per questo. Perché inizia con la vita di un villaggio stravagante, e finisce con la morte e l'abbandono.
La data del 4 maggio 1954 ha segnato il declino e sostanzialmente la chiusura della miniera di Ribolla, quindi ha determinato la completa riprogettazione e ristrutturazione socio-economica di un territorio che ruotava intorno alla miniera. Un processo lungo e ancora vivo nella memoria dei suoi protagonisti.
Soprattutto, il 4 maggio 1954 ha avuto inizio una inchiesta, scaturita in un processo penale, che non consente di chiudere i conti con la sconfitta, con la tragedia.
Il processo è una tragedia nella tragedia, per molti motivi. La soluzione del conflitto tra la Montecatini e i lavoratori, infatti, non si ha con lo scoppio della miniera ma con la sentenza definitiva. Quella è la vera sconfitta. L'assoluzione degli imputati "per non aver commesso il fatto". Ma anche l'assenza delle parti civili, delle famiglie dei minatori, che si ritirano gradualmente dal processo a seguito di trattative private con la Montecatini, il vincitore. Il processo si conclude senza neanche stabilire una chiara e condivisa versione dei fatti.
Inoltre, svolgendosi a Verona, lontano da Ribolla, non è stato un evento partecipato.
Il Comune di Roccastrada sta preparando per maggio 2004 una serie di iniziative per ricordare la tragedia e la vita di un villaggio minerario della Maremma toscana che ha saputo trovare una nuova strada dopo la chiusura delle miniere.