Firenze, 28 ottobre 2003 - In Toscana la percentuale di ultrasessantacinquenni nel 2001 era del 22,1. Con una percentuale di incremento annuo del 0,89 fra il 2001 e il 2021: alla fine la Toscana avrà raggiunto quota 26,7%. Ecco come invecchierà la regione in meno di 20 anni. Sono elaborazioni inedite su dati Istat presentate ieri dal professor Antonio Golini al 48° congresso di geriatria.
Esiste un’età in cui diventa “giusto” morire? Con tutta la sua carica drammatica, la domanda ha attraversato ieri a Firenze il 48° congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), lasciando intravedere d’un colpo scenari da fantascienza nera in cui, per sopravvivere, dovremo disfarci dell’esercito crescente di centenari disabili e malati, figlio di un sistema tanto opulento quanto egoista e imprevidente.
“E’ un problema che sarà sempre più presente con l’arrivo a età avanzatissime di schiere sempre più folte di persone”, ha detto il demografo Antonio Golini (Università La Sapienza, Roma), inaugurando il congresso con una relazione fitta di cifre e di considerazioni scomode, ma terribilmente realistiche.
“Siamo qui”, ha aggiunto il professor Giulio Masotti, presidente della SIGG, “proprio per suggerire i rimedi alla politica e alle strutture sanitarie”.
Il titolo della relazione di Golini, “L’invecchiamento della popolazione in Italia: una sfida per il Paese e un laboratorio per il mondo” lascia del resto bene intendere la dimensione dell’emergenza, soprattutto considerato che l’Italia è già oggi il più vecchio tra i paesi occidentali, ospitando sia la più alta proporzione di ultrasessantenni (24,3% della popolazione nel 2001), sia quella più bassa di giovani con meno di 15 anni (15,1% nel 2003).
Grazie al benessere e alla scienza, anche in Italia si vive mediamente di più (oltre 76 anni i maschi, oltre 82 le donne), ma in quali condizioni? Golini ha fatto questi semplici conti: se la vita media arriverà rispettivamente a 84 e a 90 anni, gli ultra novantenni aumenteranno al tasso elevatissimo del 3,91% all’anno.
Nel 2051, le sole donne di questa fascia di età saranno 1.746 milioni dalle attuali 276 mila. E molte moriranno ultracentenarie. Ma come reggere un impatto simile, in termini di assistenza, cure, strutture, se già oggi il sistema è alle corde? Nell’Italia del dopoguerra c’erano 5,5 adulti fra 50 e 65 anni per ogni anziano con più 75 anni; nell’Italia che non fa più figli sono ormai ridotti a 2,3 e nel 2051 saranno meno di 1. Per allora l’ONU ci accredita un saldo di 800 mila morti all’anno contro 276 mila nati.
Chi assisterà i vecchi? Chi pagherà le loro pensioni?
E’ a questo punto, ha detto Golini, che “potrebbe diventare sempre più frequente mettere la morte sul piatto della bilancia, soprattutto se sull’altro piatto ci sono sofferenze fisiche e psichiche immani, o un disfacimento progressivo del corpo e della mente. Magari non si tratterà di far morire, ma di lasciar morire”.
Questioni delicatissime, che già oggi si pongono per le malattie inguaribili, affrontate peraltro anche dal cosiddetto “testamento biologico” all’esame del Comitato Nazionale di Bioetica.
Nel futuro abitato da ultracentenari prospettato dai demografi, il problema posto da Golini può forse apparire crudele, ma in mancanza di serie alternative si tratterà proprio di scegliere “se, quando, come e da chi individuare un’età o una condizione alla quale ritenere “giusto” morire”. Bisognerà anche capire meglio il processo che porta alla morte, dunque statistici e demografi dovranno attrezzarsi anche per aiutare l’impostazione di politiche sociali e sanitarie adeguate. “Ad esempio”, ha detto il professore, “sappiamo molto poco delle condizioni sociali e sanitarie in cui si trovano molti ultracentenari nei 6 o 12 mesi che precedono la morte.
Ne’ abbiamo informazioni sufficienti sulla supermortalità di anziani e vecchi della scorsa estate, probabilmente dovuta all’eccezionale canicola. Per i demografi sarebbe molto importante valutare in particolare se le vittime hanno perduto qualche mese di vita oppure qualche anno”.
Per gli anziani, quelli che hanno più di 65 anni e sono oggi più di 783 mila, la Toscana spende in un anno 222 milioni di euro. Sono 284 euro a testa: di più per quelli che sono ospiti delle Residenze sanitarie assistenziali (138 milioni), di meno per quelli che vi trascorrono solo sei mattine e pomeriggi alla settimana (5 milioni e 379 mila euro) oppure sono assistiti a casa.
Seicentomila euro sono stati stanziati quest’anno appunto per migliorare, attraverso progetti innovativi, l’assistenza domiciliare o semi residenziale mirata in particolar modo alle patologie neurodegenerative. Sul territorio regionale ci sono 411 strutture che ospitano 15 mila anziani: 9.200 sono i non autosufficienti (la Regione paga la quota sanitaria, che varia a seconda dell’assistenza da 1076 a 1240 euro al mese), gli altri sono autosufficienti. Ottocento sono semiresidenziali. Altri 15 mila sono assistiti invece a casa grazie anche all’opera dei volontari delle associazioni di pubblica assistenza.
Ma nel futuro di strutture ne serviranno ancora di più. Nel 2005 gli anziani con più di 65 anni saranno 800 mila e 110 mila quelli bisognosi di assistenza o non autosufficienti.
Contributo di solidarietà
Serviranno servizi aggiuntivi che oggi non esistono o che ci sono ma sono insufficienti. La Toscana non aumenta le tasse regionali da 8 anni ed è una delle poche Regioni che non ha reintrodotto ticket sui farmaci. L’attuale spesa corrente e i livelli di servizi esistenti vanno mantenuti in piedi senza inasprimenti fiscali.
Ma per quei servizi in più potrebbe essere introdotto un contributo di solidarietà, un po’ come è nella provincia di Bolzano, il quale prevede la partecipazione di tutti i cittadini. Oggi l’assistenza degli anziani bisognosi o non autosufficienti ricade invece sulle spalle, oltre che dei bilanci pubblici, delle sole famiglie coinvolte. La retta sociale (che pagano gli autosufficienti come chi che non lo è) varia da 1200 a 1500 euro al mese. In situazioni di difficoltà i Comuni possono coprirne una parte o anche l’intera retta.
La spesa per gli anziani
Dei 222 milioni di euro che la Toscana spende in un anno per gli anziani, oltre 165 milioni sono erogati dalla Regione. 144 milioni costituiscono il fondo sanitario, un po’ meno di 21 milioni arrivano dal fondo sociale e sono ripartiti ai Comuni e alle zone socio-sanitarie, un altro milione di euro è destinato ad un progetto sperimentale per l’assistenza di quanti sono stati colpiti da Alzheimer. A questi si aggiungono 54 milioni e 510 mila euro di risorse comunali ed altri 2 milioni e mezzo di ulteriori risorse pubbliche.
I tagli del governo
Un anziano ricorre più spesso di un giovane alle cure ospedaliere e consuma risorse 13 volte più di un adolescente, 3 volte in più ai consumi medi di tutte le classi di età. Il governo ha però modificato i criteri di ripartizione del Fondo sanitario nazionale riducendo del 20 per cento il peso della quota anziani con più di 65 anni presente nella popolazione regionale, con l’intenzione di proseguire fino ad annullarlo del tutto. La Toscana, che ha una popolazione più anziana rispetto ad altre regioni, è stata penalizzata.
Solo nel 2003 ha significato su tutto il fondo sanitario, che non riguarda naturalmente solo gli anziani, una perdita di 203 milioni di euro.
Investimenti nel sociale
Complessivamente da qui al 2005 la Regione investirà sul sociale, al di là della gestione ordinaria, 124 milioni di euro. Di questi 105 serviranno a realizzare interventi per disabili ed anziani: la costruzione di case di riposo, centri per l’Alzheimer e centri diurni, la ristrutturazione o la realizzazione di luoghi di ritrovo e centri di aggregazione all’interno dei paesi.
Nasce il “custode sociale”
E’ una sperimentazione in corso a Pisa.
La Regione, in collaborazione con le associazioni di volontariato, Pubblica assistenza, Misericordia e Croce Rossa, ha formato 100 giovani volontari che assistono 282 anziani. Si preoccupano di far loro la spesa, andar alla posta o accompagnarli dal medico, di piccoli lavori di manutenzione ma anche solo di star con loro. Un filo diretto quotidiano.
“Il prossimo 7 novembre la Regione presenterà a tutte le istituzioni e le associazioni che operano nel sociale un libro bianco sulle conseguenze che la legge Finanziaria avrà sulla nostra regione, sulle famiglie, sui singoli cittadini, sulle imprese”.
L’annuncio è stato fatto questa mattina dal presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, presente a Pisa alla ‘Giornata delle persone anziane’, organizzata dalla Provincia di Pisa presso il Palazzo dei Congressi.
“La Finanziaria taglia le risorse pubbliche costringendo le amministrazioni a tagliare i servizi, soprattutto quelli alla persona. Si cerca di riparare con provvedimenti una tantum, come l’annunciato assegno di 1000 euro per il secondo figlio, ma si tratta di provvedimenti che non hanno senso e che di fatto impoveriscono le politiche sociali.
Durante il grande caldo estivo abbiamo sentito tante parole sulla necessità di aumentare le risorse destinate agli anziani, ma con l’autunno le piogge hanno spazzato via queste ipocrisie, e nella sola Toscana avremo ben 15 milioni di euro in meno da poter destinare a questa fascia importante e delicata della popolazione”. Nella figura dell’anziano, secondo il presidente Martini, si intrecciano più che mai esigenze che riguardano ambiti, in particolare sanità e sociale, e competenze diversi, soprattutto comunali e regionali.
Per gli anziani saranno fondamentali la nascita delle società della salute ed il futuro della cosiddetta tassa di scopo. “La Toscana – ha precisato il presidente - sta compiendo enormi sforzi per mantenere in pareggio i propri bilanci sanitari nonostante le diminuite risorse statali. Abbiamo scelto di non mettere tasse né ticket sui medicinali e siamo decisi a proseguire su questa strada. Non aumenteremo le tasse per finanziare servizi già esistenti. Per quelli dovremo farci bastare le risorse che già abbiamo.
Ma credo necessario fare di più, aggiungere nuovi servizi, soprattutto per gli anziani non autosufficienti spesso a carico delle sole famiglie. Occorrono nuove iniziative, ma per finanziarle probabilmente servirà un strumento equo, che sia pagato da tutta la comunità e non soltanto da coloro che hanno in casa un anziano non autosufficiente, un portatore di handicap, un malato terminale e già si trovano in condizioni di difficoltà”.