Arte Figurativa Tribale degli Aborigeni Australiani alla Biblioteca Comunale Centrale di Firenze, dal 10 Novembre al 8 Dicembre

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 ottobre 2003 14:19
Arte Figurativa Tribale degli Aborigeni Australiani alla Biblioteca Comunale Centrale di Firenze, dal 10 Novembre al 8 Dicembre

Firenze, Ottobre 2003 - Secondo gli aborigeni australiani, la vita umana, animale e vegetale è parte di una vasta e immutabile rete di rapporti che risale al grande spirito ancestrale del Tempo del Sogno. Una dimensione mitologica che rivive tutt’oggi nelle manifestazioni spirituali, nelle cerimonie sacre, negli oggetti d’arte ispirati alla tradizione.
Al Tempo del Sogno si richiama esplicitamente la bellissima mostra di Arte Figurativa Tribale degli Aborigeni Australiani in programma a Firenze (10 novembre - 8 dicembre) nel Complesso delle Oblate che ospita la Biblioteca Comunale Centrale (Via S.

Egidio 21). Si tratta di un’importante collezione di oltre 75 manufatti artistici contemporanei raccolta grazie al contributo dei principali musei d’Australia: boomerang, bastoni del vento (didjeridoos), graffiti, pittura del corpo e pittura del terreno che è forse la più tipica tra le forme espressive aborigene.
Tra i principali autori, Djambu Barra Barra (Sambo), Ada Bird Petjarre, Paddy Fordham Wainburranga, Josie Petrick Kemarre, Gary Simon Jagamarra, Linda Syddick Napaltjarri, Wenten Rubuntja, Shirley Bray, Dorothy Napangardi, Walala Tjapaltjarri, Allan Kenpa e Nancy Naninurra.

Artisti che in un mondo sempre più standardizzato e monoculturale fanno dell’arte tribale un solido baluardo della diversità
Curata da Luca Faccenda e Marco Parri, architetti specializzati in esposizioni d’arte, la mostra nasce grazie alla promozione del Comune di Firenze (Assessorato alla Cultura) e alla collaborazione di Trevi Trust – Confiance Sa. Lugano, Svizzera e di Ignesti, Firenze – Volkswagen, Italia. Determinante, il sostegno di Dino Volpicelli, Ambasciatore d’Italia a Canberra dell’ambasciatore australiano a Roma, William Rory Macdonald Steele, e del suo addetto culturale Clelia March Doeve.
Il percorso espositivo è articolato in quattro momenti:
1) Gli oggetti di rito: tra questi uno straordinario cestello rituale in corteccia di eucalipto con un’altrettanto rara pittura di “uomo venuto dallo spazio”.

Boomerangs di vari tipi, dipinti, didjeridoos (I rami di eucalipto resi cavi dalle termiti) con i quali, come noto, gli sciamani producono particolari suoni rituali.
2) La pittura del corpo: al contrario che in Occidente e in Asia, l’arte borigena è una pittura al femminile e gli autori più celebri sono donne. La tradizione, di cui le donne sono custodi, vuole che le pitture magiche che adornano il corpo durante i riti, vengano riprodotte su tela o su corteccia di eucalipto per tramandare alle generazioni future i disegni e i loro significati esoterici.


3) I graffitismi: prendendo spunto dai soggetti affrescati e graffiti sulle pareti delle grotte del Centro Nord del continente, gli aborigeni ripropongono essenzialmente figure di spiriti e animali dall’esclusivo significato esoterico. Gli “eletti” continuano a ispirarvisi per celebrare riti magici segreti.
4) La pittura del terreno: è il filone più diffuso dell’espressività aborigena. Per un complesso di etnie che non conoscono la scrittura, comunicare con le arti figurative è indispensabile per tramandare sia aspetti pratici del sapere (accia, ricerca di cibo o acqua), sia regole esoteriche (riti del fuoco o dell’iniziazione).
Le tecniche dominanti sfruttano pigmenti naturali, trasferiti con mezzi rudimentali su superfici (di tela grezza o di corteccia d’albero) fino a ottenere, quasi incredibilmente, opere-capolavoro ormai contese dai più prestigiosi Musei del mondo.

Si tratta essenzialmente di decodificare i segni lasciati sul terreno dagli stessi aborigeni e dalle loro prede, i cui percorsi si sovrappongono a vere e proprie mappe che individuano l’ubicazione delle grotte o le preziose sorgenti d’acqua. Si crea così un reticolo, espresso generalmente per punti di colore, espressione dei movimenti del nomade e della sua preda su un terreno comune.

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