Anche a Roberto Guadagnolo, 40 anni, «calciante» del calcio storico dei Verdi di Santa Croce, detenuto per tentato omicidio, per risse e lesioni. Secondo gli agenti penitenziari il detenuto è pericoloso perché psicolabile: più volte hanno invitato il provveditorato alle carceri della Toscana e il Dap a trovare un altro tipo di sistemazione per questo violento.
Guadagnolo il 28 maggio 1996, alla lettura della sentenza del Tribunale di Firenze che lo condannava a 8 anni di reclusione per tentato omicidio, seminò il panico in aula, grazie al suo fisico robusto (un metro e 90 per un quintale di peso), distruggendo microfoni e panche e spargendo la schiuma di un estintore per i corridoi. Si asserragliò poi nella stanza degli avvocati e fu immobilizzato dopo tre quarti d'ora.
Già negli anni’80 solo pronunciare il suo nome faceva venire i brividi. La fama di personaggio irrequieto Guadagnolo l'aveva raggiunta con denunce per lesioni e risse in locali pubblici fiorentini dove faceva il buttafuori. Per un bel pezzo Guadagnolo fece paura, incredibilmente indisturbato, a mezza Firenze. L’altra metà lo frequentò, nelle palestre, nell’ambiente del calcio storico, persino alle migliori feste della “sedicente nobiltà” fiorentina; e in Santa Croce molti lo consideravano un mito.
Guadagnolo si ritiene incarcerato ingiustamente, "non avendo compiuto reati gravi". Insofferente delle regole e delle imposizioni carcerarie, si è reso protagonista di atti di intemperanza e insubordinazione, furti di oggetti pericolosi, minacce, tentativi di fuga dalle zone di restrizione, addirittura sequestri di persona. Inizia così una peregrinazione da un carcere all’altro, attraverso la Toscana, l’Emilia e persino la Sardegna. Guadagnolo non riesce a resistere in ogni prigione più di qualche mese, esasperato dalla detenzione e dalla lontananza. Ogni volta, una violenza nei confronti delle guardie, la loro reazione e l’immancabile rapporto comportano il trasferimento.
Nel 2000 è vittima/protagonista di un pestaggio nel carcere di Livorno. Secondo le indiscrezioni, i cinque poliziotti avrebbero picchiato anche un ispettore della polizia penitenziaria, che non voleva dare loro le chiavi della cella del detenuto. Anche il direttore del carcere delle Sughere viene indagato per favoreggiamento. Un mese dopo sequestra un ispettore per circa un'ora e mezzo nella sezione del carcere fiorentino di Sollicciano dove è detenuto.
Una patata bollente che nessuno vuole avere per le mani. Guadagnolo era un problema sociale quando stava fuori e ha continuato ad esserlo anche dietro le sbarre. Si tratta di un caso limite, ma è indiscutibile dichiarare il fallimento del nostro sistema collettivo e dei suoi strumenti di controllo davanti a uomini ingovernabili, elementi isolati si dirà, come Guadagnolo, che non trovano un posto, un ruolo, neanche in mezzo ai criminali.
Il caso del calciante fiorentino ci ricorda quello raccontato in "Ormai è fatta", romanzo autobiografico edito dal veronese Bertani nel 1974, da cui qualche anno fa è stato tratto anche un film che racconta il tentativo di evasione intrapreso da Horst Fantazzini, il 23 luglio del 1973, dal carcere di Fossano.
E' la tragedia umana di un uomo non ha mai ucciso nessuno, in carcere per 30 anni e che secondo la magistratura italiana avrebbe dovuto rimanerci fino al 2024. Cinquantaquattro anni di carcere perché Fantazzini, poco più che ventenne, dopol'esperienza di lavoro in fabbrica aveva pensato di rispondere ai suoi bisogni sociali parafrasando Bertold Brecht: "é più criminale fondare una banca che rapinarla". Il bolognese Horst aveva compiuto una serie di rapine in banche del nord Italia e si era conquistato gli onori della cronaca come "bandito cortese" e "ladro gentiluomo".
Horst non aveva né la stoffa, né la testa del criminale. Si presentava in una banca con una pistola giocattolo, chiedeva che gli fossero consegnati i contanti che stavano nel cassetto e se ne andava senza sparare un colpo. Ma in carcere Fantazzini non recitò la parte contrita del condannato: denunciò la natura di classe della giustizia statale, il suo carattere autoritario tanto da beccarsi già nella prima sentenza una aggravante per oltraggio alla corte. La lunga collezione di condanne fu determinata dal fatto che Horst non voleva sottostare ai tempi ed ai riti della giustizia.
Prima dei fatti raccontati nel libro, aveva portato a termine 2 evasioni. Nel luglio del '73 era agli sgoccioli della sua pena detentiva eppure quando gli si presentò l'occasione tentò nuovamente la fuga. Il film di Enzo Monteleone richiama il clima ed il contesto nel quale i fatti si svolsero. In quegli anni si verificavano spesso sommosse contro la detenzione e il regime carcerario.
Fantazzini tornò fuori solo verso la fine del 1988, in licenza per prendere visione di una possibile collocazione lavorativa in regime di semilibertà. Pochi mesi dopo fu di nuovo arrestato per una maldestra rapina tentata a Bologna. E' morto in carcere nel dicembre 2001.