SAN ROSSORE (PI)- “Lo sviluppo non va misurato in termini di ciò che accade ad una persona media, ma di ciò che accade ai più bisognosi. Questa è la vera misura dello sviluppo e da questo punto di vista abbiamo alle spalle anni di insuccesso”. E’ in questo modo, parafrasasando una famosa frase di Gandhi, che Nittan Desai, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari sociali ed economici, ha cominciato la sua relazione sullo “stato del mondo”. Anzi, come ha immediatamente precisato, sugli “stati del mondo” perché “in realtà il nostro pianeta è abitato da molti mondi diversi”.
C’è ad esempio, il mondo di un europeo che generalmente vive da più di 60 anni in pace, che vive in una sostanziale prosperità in cui il lusso di un tempo è diventato una necessità, che beneficia di sistemi di protezione sociale. E c’è il mondo di una donna africana per cui la guerra, la malattia, la fame è probabilmente una realtà quotidiana, il mondo, insomma, dei 100 milioni di affamati, dei 100 milioni di ragazzi che non vanno a scuola, dei 16 milioni di rifugiati e di un milione e 600 mila persone che ogni anno muoiono di morte violenta; il mondo, ancora, dei 40 mila bambini che ogni giorno sono uccisi da malattie curabili: “Una cifra – ha spiegato Desai – che corrisponde alle vittime di 10-12 Boeing che si schiantano quotidianamente.
Ma se questo accadesse tutti parlerebbero di un problema con i Boeing e penserebbero a cambiarli. Questo non succede per i bambini”.
E ancora, c’è un altro mondo di cui non si tiene conto: “Il mondo che verrà ereditato dai nostri figli, quello nei cui confronti stiamo accumulando un debito, una morte ecologica che saranno le future generazioni a pagare”.
Il sottosegretario delle Nazioni Unite, però, si è soffermato a lungo anche sui rapporti di interdipendenza tra i vari “mondi”: i 50 paesi che ancora oggi vivono situazioni di conflitto e le quattro grandi potenze che, pur essendosi assunto il compito di assicurare la pace, producono e commerciano l’80 per cento delle armi; oppure i 40 milioni di malati di Aids che nella stragrande maggioranza non possono accedere ai farmaci.
E talvolta l’interdipendenza può essere ancora più sottile, più sfuggente. “Pensiamo alla guerra nel Congo – ha ricordato Dasai – Una delle ragioni è stato un minerale, il coltan, che proviene dalle zone orientali di questo paese e che è utilizzato per i cellulari. La guerra in Congo è legata anche al boom dei cellulari e alla crescita della domanda di coltan”.
Di fronte a tutto questo c’è una sola strada da percorrere: “Lo stato di diritto non è sufficiente, occorre una giustizia concreta, applicata, imperniata su valori condivisi.
Occorre un nuovo multilateralismo che metta insieme cuori ed intelligenze. E non c’è bisogno di nuova libertà d’azione, che finirebbe per favorire i più forti; al contrario, la sfida è di occuparci dei punti deboli per limitare il potere dei potenti”.
“Stiamo cercando di sviluppare un’economia locale del cibo che sia garante dell’autodeterminazione dei piccoli produttori e che permetta di difendersi dal dominio delle multinazionali”. E’ questa l’esperienza di molti produttori dello Stato americano del Kentucky, raccontata al meeting di San Rossore da uno dei protagonisti, Wendell Berry.
Poeta, romanziere saggista, ma soprattutto piccolo produttore agricolo (conduce da anni la fattoria di famiglia) Berry si è fatto strenuo difensore delle comunità rurali e delle piccole aziende agricole e severo critico delle grandi produzioni, ritenute responsabili della devastazioni ambientali e sociali della sua terra. E proprio per spiegare concretamente le sue posizioni, il “profeta dell’America rurale” (così lo ha definito il ‘New York Times’) ha raccontato quanto avvenuto nell’agricoltura della sua regione.
“E’ una storia che esito a raccontare - ha premesso – perché gran parte della nostra produzione agricola è legata al tabacco, con tutte le conseguenze che possono derivare da questo tipo di produzione”. Nel percorso sintetizzato da Berry la tappa culminante è quella rappresentata dall’avvento delle multinazionali del tabacco che, negli ultimi anni, hanno finito per sviluppare le proprie produzioni all’estero: “Oggi – ha detto Berry - due terzi di quanto prima veniva prodotto nel Kentucky viene acquistato dalle multinazionali in Paesi dove il costo della manodopera è più basso”.
Questo ha posto serie questioni di sopravvivenza per un’area dove tantissimi erano i piccoli produttori (“Il tabacco era una coltura che, con soli pochi ettari di terra, consentiva di avere un buon reddito”), e quindi forte il rischio che dovessero abbandonare le proprie terre. Ed ecco l’esperienza maturata da Berry e da altri piccoli produttori: la creazione di un mercato locale del cibo, con le produzioni che vengono vendute su scala locale e con la nascita di organizzazioni che riuniscono i consumatori urbani e i produttori locali.
“Vogliamo – ha detto Berry - tornare a dare forza ai punti di vista locali”. E valorizzare ciò che il territorio produce è, secondo il poeta-filosofo-agricoltore, anche il modo migliore per garantire un futuro al nostro pianeta. “Di fronte all’ipotesi, per esempio, di un utilizzo industriale di una foresta non ci si può semplicemente chiedere: quanta parte ne posso tagliare? Un produttore di legno locale, che abbia a cuore la sua terra, si chiede invece: cosa rimarrà della foresta dopo che l’ho utilizzata per la mia sopravvivenza e il mio profitto? Cosa rimarrà per i miei figli, per il futuro?” Ecco, questa è la mentalità che, secondo Berry, deve farsi strada.
“Finché il sistema mondiale continuerà a creare conflitti, mettendoci gli uni contro gli altri, noi popoli del sud saremo costretti ad abbandonare le nostre colture tradizionali, ad abbandonare i campi per lavorare in miniera, a prostituirci, a vendere i nostri figli e i nostri reni”.
E' dura Vandana Shiva, la scienziata e filosofa indiana, che dal febbraio di quest’anno presiede la Commissione internazionale sul cibo promossa dalla Regione Toscana, nel suo intervento di apertura della tavola rotonda sull’alimentazione al Meeting di San Rossore. Shiva ha espresso anche una valutazione fortemente critica sulla riforma della Pac, la politica agricola europea. “Noi tutti ci aspetteremmo una rifoma che parta dalle esigenze dei poveri del terzo mondo, mentre, ancora una volta, ci si occupa soltanto degli agricoltori europei e si delega alla sola cooperazione internazionale il compito di aiutare il sud del globo.
Questa riforma – ha detto ancora - ci sta portando verso lo smantellamento totale delle protezioni, delle regolamentazioni imposte dai vari Paesi. La parola protezione sembra essere divenuta negativa, sta a noi ridarle significato positivo e attaccare, al contrario, la regolazione dei prezzi imposta dalle multinazionali. Abbiamo bisogno di cibo sano a prezzi equi e giusti, non possiamo veder imporre in India la coltivazione di uva e grano duro per spaghetti, mentre Monsanto mette il proprio brevetto sul grano tenero indiano”.
Al centro dell'intervento di Vandana Shiva anche la questione Ogm.
“Il Sud del mondo - ha affermato - sembra divenuto il capro espiatorio dei produttori di Ogm. Sembra che il ricco nord debba accettare gli organismi geneticamente modificati perché necessari per sfamare i Paesi affamati. Questo non è assolutamente vero. L'Europa deve sapere che l'India ha rifiutato tonnellate di mais inviate dagli Usa perché non era stato possibile dimostrare che era Ogm-free. Le coltivazioni Ogm hanno un indice di fallimento molto più alto di quelle tradizionali, noi non le vogliamo.
Vogliamo i nostri prodotti tradizionali, che sia adattano al nostro clima e garantiscono la sussistenza ai nostri contadini".
Il rispetto delle particolarità locali, cardine dell'azione e dell'intervento di Vandana Shiva, è anche il centro della nuova definizione di globalizzazione che la scienziata ha dato citando un'immagine tratta da Gandhi: "La globalizzazione che abbiamo conosciuto - ha concluso - era una distruzione reciproca garantita, una piramide di potere che schiacciava i più deboli.
Quella che vorremmo nel prossimo futuro, invece, è fatta di cerchi concentrici, che abbracciano tutto lasciando ad ogni agricoltore, ad ogni cultura, ad ogni semente la possibilità di sopravvivere".