Il mestiere di cantastorie è un mestiere povero, presuppone una disponibilità alla conversazione, qualche attitudine alla ciarlataneria, una certa indolenza e il sentimento che le storie che si possono raccontare sono infinite, e che non si esauriranno tutte in una vita, figuriamoci in una serata. Quindi ci si mette a sedere e si comincia. Buona parte delle mie canzoni hanno alla loro origine un incontro col pubblico assai informale, dove le ballate, i giochi musicali, i ritratti d'altri cantautori si alternano a monologhi, che girano intorno al tema di una canzone, che introducono una improvvisazione...
decine di incontri estemporanei, da solo con la chitarra e un piazzato di luce bianca, per conversare un'ora dello stato delle cose. Si può partire da qualsiasi pretesto, dal nome dalla piazza, dal clima, da un umore della serata per trovare il filo conduttore di queste storie disperse nella memoria, nate in tante diverse occasioni. La serata è una specie di veglia, occasione per riorganizzare queste ballate sul filo della leggerezza. Porsi domande assolute e inesaudibili, risolvere una volta per tutte quesiti cosmici; navigare per mari lontanissimi, analizzare usanze di popoli forse inesistenti, mediare su antichi miliardari brianzoli.
Uno spettacolo che spazia ovunque e per ogni dove, lasciando irrisolto qualsiasi problema ponga. Sono dieci canzoni e dieci digressioni, in forma di teatro cabaret, per ottanta minuti di spettacolo, di incontro con chi ha voglia di stare a sentire questi pensieri notturni, possibilmente sotto un bel cielo in una bella piazza, da solo con un piazzato bianco.