A Firenze e in Toscana il consumo di psicofarmaci sta aumentando in misura esponenziale. Secondo Giancarlo Donati Cori, direttore del Servizio Farmaceutico dell’Azienda Sanitaria Fiorentina che, come noto, svolge opera di monitoraggio sulle farmacie convenzionate, tra il 2001 e il 2002 si registrano aumenti superiori al 100% con punte del 200% e oltre. Analoghe le cifre per la Toscana. Ma il fenomeno, avverte Giovanna Scroccaro, presidente della SIFO, la Società Italiana dei Farmacisti Ospedalieri e dei Servizi Territoriali, riguarda tutta l’Italia.
Questo quadro è emerso stamani nel corso del Congresso Europeo dei Farmacisti Ospedalieri e dei Servizi Sanitari (ESCP) in svolgimento fino a domani a Firenze.
I dati presentati da Donati Cori sono inequivocabili. Nell’area fiorentina, 850 mila abitanti, gli antidepressivi rappresentano ormai la terza voce di spesa farmaceutica dopo gli antibiotici e gli antiulcera. “Fino a pochi anni fa se ne faceva solo uso specialistico”, ha spiegato, “Oggi costituiscono il 6,15 per cento della spesa farmaceutica, il 7 per cento circa in Toscana”.
Nel primo semestre del 2002 i fiorentini hanno speso in antidepressivi € 5,7 milioni, ovvero oltre 22 miliardi delle vecchie lire in base annua.
Nel 2001 la spesa fu assai meno della metà. Il paniere è ora costituito soprattutto dagli antidepressivi di nuova generazione che, rispetto ai vecchi farmaci, hanno il pregio di presentare meno effetti collaterali, ma hanno anche il difetto di costare 4-5 volte di più, dice la presidente Scroccaro, finora senza alcuna evidenza scientifica di maggior efficacia.
Nel semestre in esame le farmacie convenzionate con l’ASL fiorentina hanno venduto 66 mila confezioni di Paroxetina per un importo di € 1,685 milioni; 46 mila di Sertralina per € 936 mila; 37 mila di Citalopram per € 1,214 milioni; 36 mila di Fuoxetina, o Prozac, per € 509 mila; 8 mila di Fluvoxamina per € 155, oltre 28 mila di Venlafaxina per € 577 mila; 7 mila di Mirtazapina per € 177 mila e circa 5 mila di Reboxetina per € 62 mila.
Più i farmaci di vecchia generazione per un totale di @ 350 mila.
Le cause del fenomeno (ansia, depressione, disagio sociale) sono di competenza di psicologi e psichiatri. Ciò che i farmacisti del Servizio Sanitario Nazionale sono però in grado di certificare è che il grosso delle prescrizioni è opera non di medici specializzati, bensì di generici che non hanno alcuna competenza specifica in materia di disagio mentale.
“Per ciò che riguarda l’area fiorentina di mia competenza”, dice Donati Cori, “i medici generici sono all’origine del 75-80 per cento delle prescrizioni.
Ritengo dunque che ci troviamo in presenza di un classico caso di medicalizzazione del disagio. Può accadere infatti, che di fronte a pazienti che presentano stati d’animo indefiniti di malessere la risposta clinica immediata sia di prescrivere antidepressivi di nuova generazione. Con effetti che possono aiutare a svuotare gli ambulatori, ma non a risolvere i problemi a monte”.
Il fatto è, sostiene la presidente Scroccaro, che l’eccessiva medicalizzazione è un fenomeno che riguarda tutta l’Italia, così come tutti i Paesi occidentali.
“Ossia”, spiega, “si tende a trattare con i farmaci anche problemi che potrebbero essere risolti altrimenti”.