FIRENZE- Studiosi e politici, ma non solo. “Nel corso dell’incontro sulla povertà in Europa che abbiamo organizzato oggi a Firenze e che proseguirà anche domani – ha spiegato l’assessore alle politiche sociali, Angelo Passaleva - volevamo dar voce anche ai poveri e agli emarginati”. Per loro, nel pomeriggio, hanno parlato Marie Therése Malysse, Roger Polyn e suor Irene Devos. Hanno raccontato l’esperienza dell’associazione Magdala a Lille in Francia, che dal 1986 accoglie persone di quello che può essere considerato il “Quarto Mondo”, persone appena uscite dalla prigione o dall’ospedale, disabili, il più delle volte senza tetto.
“Magdala – spiega suor Irene, che era cappellana in un carcere - è nata come sostegno agli emarginati e ai derelitti che dopo aver vissuto da cani morivano anche come cani, sepolti senza alcun riguardo. Abbiamo iniziato ad aiutarli organizzando loro funerali decenti. Oggi siamo una sorta di villaggio nella città: accogliamo coloro che rischiano di essere dimenticati o sono considerati inutili, li invitiamo a prendere la parola, a partecipare”.
Per suor Irene la povertà non è né una fatalità, né chi vive per strada lo fa per scelta.
E’ spinto a questo da un sommarsi di più situazioni e da solo non può uscirne. Magdala è un modo per aiutare loro in questo recupero.
Marie-Therése Malysse, 64 anni, era una di queste persone emarginate e considerate inutili. Si è ritrovata per strada dopo aver perso il lavoro: gestiva un negozio che era anche la sua casa, poi il proprietario ha deciso di riprendersi tutto. “Ho dormito per un po’ di tempo sotto i ponti. Poi qualcuno – ricorda, piangendo - mi ha fatto conoscere Magdala”.
Lì ha ritrovato un lavoro part-time ed oggi che è in pensione fa la volontaria, dopo aver fatto anche parte del consiglio di amministrazione dell’associazione. Roger Polyn, 52 anni, era invece finito in carcere dopo aver assalito le persone che con l’auto avevano ucciso la figlia. Dopo la prigione, ad accoglierlo c’era la strada e l’emarginazione. Adesso è tornato a vivere nella società, si è risposato e sta seguendo un corso di formazione in vista di una nuova occupazione”.
“La preoccupazione per la povertà in tutte le sue forme deve entrare nel dna di ogni Ente locale anche per rispondere ai processi selettivi che estromettono dal mondo del lavoro troppa gente, soprattutto persone che si avvicinano ai 50 anni di età”: intervenendo al Convegno europeo ‘Luoghi e voci della povertà, promosso dalla Regione Toscana, il Presidente della Provincia Michele Gesualdi, ha rilevato come “si viaggia con troppa lentezza nel costruire l’Europa dei diritti: ripartire dal basso è ripartire anche dagli Enti locali, che hanno la possibilità di un contatto diretto con la gente, con i senza fissa dimora, come i due che sono stati uccisi a Prato”.
I poveri non sono un “fastidio”, ma la domanda sul senso stesso della nostra vita. “Sono preziosi – spiega Gesualdi - quei vincoli di sviluppo e di solidarietà che passano attraverso gli Enti locali e che talvolta sembrano sostituire la politica estera degli Stati in alcune parti del mondo. Mi sembra utile interpretare in questo senso i gemellaggi che legano tanta parte del nostro territorio a quello di alcuni Paesi poveri. Credo che tutti siamo interpellati ad ascoltare l’angoscia degli altri ed ascoltare il Sud del mondo vuol dire considerare gli immigrati come persone e non come numeri”.
La Toscana, come l’Italia e l’Europa, non è una regione povera: almeno nel suo quadro d’insieme.
Il reddito a disposizione per il consumo è sufficientemente elevato. Redditi e consumi sono poi distribuiti fre le famiglie toscane in modo equilibrato (fonte Irpet 2002). Ma al suo interno sopravvivono comunque sacche di marginalità e territori meno sviluppati.
Povertà: un concetto multidimensionale
La povertà assume volti diversi. La povertà è vivere in uno stato di disagio economico, con la conseguenza di non poter soddisfare – in parte o del tutto- i propri bisogni materiali.
Ma la povertà è anche – in un senso più generale - assenza di alcune libertà fondamentali (capabilities à la Sen), come godere di buona salute, realizzare i propri piani di vita, essere istruito, partecipare alla vita comunitaria o costruire una famiglia. La povertà ha quindi tante dimensioni e deve essere studiata attraverso una pluralità di indicatori: attraverso i livelli di reddito e di consumo, attraverso indicatori sociali, della vulnerabilità e del livello di accesso alla società e alla vita comunitaria.
Le misure di povertà
Tradizionalmente il metodo impiegato per misurare la povertà è quello che si basa sui dati del reddito e del consumo (la cosiddetta income poverty).
Secondo questo approccio una persona (o una famiglia) è considerata povera se i suoi livelli di reddito e consumo sono inferiori ad una soglia che riflette le condizioni medie di vita (povertà relativa) o ad un livello giudicato minimo per soddisfare le necessità di base (povertà assoluta). Nel primo caso si guarda alla spesa media mensile procapite – nel 2001 erano 814 euro per due persone – nel secondo il limite viene riferito al valore di un paniere di beni essenziali aggiornato ogni anno tenendo conto della variazione dei prezzi al consumo: sempre nel 2001 significava avere a disposizione meno di 559 euro al mese.
Negli ultimi anni l’analisi della povertà tiene inoltre conto dell’educazione, la salute, l’accesso ai servizi o l’esclusione sociale. E’ la cosiddetta functioning poverty. Si tratta comunque di povertà oggettiva. La povertà soggettiva, al contrario, misura il senso di appagamento e la percezione che le persone hanno della propria posizione nella scala sociale: sono povere in questo caso tutte quelle famiglie che dichiarano di non aver risorse sufficienti rispetto ad un certo standard di vita che viene da loro considerato come minimo e la povertà riflette il modo in cui gli eventi del mondo esterno incidono sul quotidiano delle persone e vengono da esse vissute e valutate.
In Italia
In tutta la penisola nel 2001 vivevano in condizione di povertà relativa circa 2 milioni e 663 mila famiglie (fonte Istat): il 13,6 per cento dell’intera popolazione, il 12 per cento di tutte le famiglie residenti ed esattamente quante erano nel 1997 (dopo che erano scese all’11,8 per cento nel 1998 e salite al 12,7 nel 2000).
La povertà assoluta toccava invece il 4,2 per cento delle famiglie italiane (940 mila, oltre 3 milioni di persone), per il 75,1 per cento concentrate nel Mezzogiorno. Nel 2000 erano il 6,5 per cento: 1 milione e 383 mila famiglie, pari 4 milioni e 838 mila individui. Poveri grossomodo stabili, ma in ogni caso meno poveri di qualche anno fa visto che il fenomeno sembra essere diminuito in intensità.
In Toscana
Nel 1996 la percentuale di famiglie toscane che subivano una povertà relativa era una delle più basse in Italia: appena il 3 per cento (fonte Irpet).
Un risultato migliore poteva essere vantato solo dal Veneto (2,06 per cento) e la stessa percentuale dalle Marche: lontanissima la Regione più ‘povera’ d’Italia, la Basilicata, con il 34,4 per cento di poveri, mentre la media italiana era del 10,4. Nel 2000 le famiglie toscane povere relativamente (fonte Irpet 2002) erano il 4,5 per cento: 63 mila nuclei per 169 mila persone. La povertà assoluta, sempre nel 2000, non supereva però l’1,8 per cento: 26 mila famiglie e 65 mila individui.
Il reddito medio delle famiglie povere è comunque in Toscana superiore a quello nel resto del paese: 619 euro al mese contro 606 per la povertà relativa, 526 euro per la povertà assoluta.
Ma anche quanto a povertà ‘soggettiva’ la Toscana è ben piazzata: quintultima nel 1999, con solo il 2,3 per cento di famiglie toscane che dichiara di avere risorse insufficienti. Se la domanda cambia e viene chiesto alle famiglie di collocarsi lungo una scala che va dall’estrema povertà all’estrema ricchezza, la percentuale cresce: l’8,6 per cento delle famiglie toscane si dichiara povera o molto povera, superando Piemonte, Lombardia e Lazio.
In questo caso a far la differenza è la distanza percepita da uno standard di benessere che è ritenuto ‘il minimo indispensabile’. I toscani vivono mediamente bene: hanno meno difficoltà di altri nel comprare i vestiti ‘di cui c’è bisogno’, nel pagare l’affitto o le spese per la malattie (considerato anche il gran numero di anziani). Forse, però, si aspetterebbero di più o magari c’è meno ritrosia a dichiararsi poveri. In ogni caso la condizione economica non sembra essere la maggiore preooccupazione dei toscani.
Rispetto al proprio tenore di vita, il 61% delle famiglie dichiara di arrivare molto facilmente o facilmente alla fine del mese (fonte Regione Toscana-Irpet 2002), mentre afferma di trovarsi in uno stato di grave difficoltà soltanto il 7% delle famiglie toscane. Ancora più bassa la quota di famiglie che si dichiarano povere: appena il 3,5%.
La povertà nello spazio delle libertà fondamentali
Anche se superiamo una concezione strettamente economicistica della povertà, il giudizio sulla Toscana rimane positivo.
I livelli di salute sono buoni, il tasso di mortalità (standardizzato per tenere conto dell'età) è uno dei più bassi d'Italia, la longevità ci colloca ai primi posti della graduatoria per regioni, la criminalità non supera livelli di guardia, la coesione sociale - che si manifesta a vari livelli, dal ruolo della famiglia a quello degli enti locali – è elevata. Anche lo stato dell'ambiente è tale da caratterizzare la Toscana, pur con le inevitabili emergenze nelle aree urbane, per i migliori parametri di salubrità, sicurezza, valore estetico, naturalistico, culturale e ricreativo (in una parola ambientali) fra le regioni economicamente più avanzate.
Il quadro (fonte Irpet 2002) è sicuramente migliorabile - nell’istruzione e nella qualità delle occasioni di lavoro, specie per i più giovani - ma è comunque buono. La maggioranza delle famiglie toscane può permettersi una vacanza di almeno 20 giorni l’anno, una cena o un pranzo al ristorante almeno una volta al mese ed alla fine dell’anno riesce a risparmiare una parte del proprio reddito.
Le risorse messe in campo dalla Toscana contro la povertà. Per combattere la povertà, la Regione ha stanziato, quest’anno, tre milioni e mezzo di euro.
L’anno scorso c’erano a disposizione sei miliardi di lire. Ma per programmi particolarmente innovativi si potrà attingere anche ad altri fondi. Con “Toscana Sociale”, importante capitolo inserito nel Piano integrato sociale della Regione, i Comuni e le Province diventano infatti laboratori dove sperimentare buone pratiche, anche con la collaborazione di associazioni no-profit. Se i progetti poi funzioneranno, potranno essere estesi al resto della Toscana.
Chi sono i poveri
In Italia le famiglie povere in senso relativo sono per lo più quelle numerose: spiccano in particolare le famiglie da tre figli in su.
Anche laddove ci sono anziani con più di 64 anni aumenta l’incidenza di povertà. In Toscana le famiglie che si sentono povere sono quelle dove ci sono disoccupati e i nuclei familiari con a capo operai agricoli, casalinghe o pensionati (che si consirano più deprivati degli operai dell’industria e del commercio). Gli artigiani e i piccoli commercianti si considerano inoltre più a rischio degli impiegati.
Dove vivono i poveri
In Toscana la povertà continua ad essere caratteristica, oltre che delle periferie urbane (che non sono particolarmente estese e degradate), delle aree escluse dallo sviluppo.
Le disuguagianze sociali assumono l’aspetto di disuguaglianze tra territori. Le aree montuose e rurali ai margni dei distretti manifatturieri e dei centri urbani e le aree della Toscana costiera meridionale sono quelle che mostrano i livelli di reddito meno elevati.
Il reddito minimo di inserimento
L’idea è quella di un asssegno che integri il reddito necessario a garantirsi una vita dignitosa, legato però a percorsi individualizzati (condivisi ed obbligatori) finalizzati al reinserimento sociale, che portino le persone a sentirsi motivate e ad agire.
Non il vecchio assistenzialismo, dunque. Era la strada imboccata con la sperimentazione nazionale del “reddito minimo di inserimento”, iniziata nel 1998 in 39 comuni e con 85 mila persone. E’ la strada scelta dalla Toscana, accanto a politiche di sostegno ed incentivazione alla formazione dei giovani, riqualificazionedegli adulti, servizi sociali diffusi, aiuti nell’accesso all’abitazione per le famiglie a basso reddito. Da noi il banco di prova per il reddito minimo di inserimento è stata la provincia di Massa Carrrara.
Il governo ha però deciso di non rinnovare l’esperimento, che nella nostra regione sembrava aver funzionato.
I poveri ‘invisibili’
Ci sono anche poveri non compresi in alcuna statistica. Sono i senza fissa dimora, concentrati soprattutto nelle grandi città, spesso non censiti e che spesso è difficile aiutare: la stima, assolutamente non definitiva, è di 17 mila persone in tutta Italia. Quello che colpisce è il loro livello di istruzione: secondo una ricerca realizzata dalla Commissione parlamentare contro l’esclusione e la povertà il 17,7 per cento ha un diploma di scuola media superiore e quasi il 4 per cento è laureato.
Il 17,8 per cento di loro è in strada da oltre 10 anni, con difficili possibilità di recupero. “Un’attenzione particolare – ha sottolineato il vice presidente Angelo Passaleva - va dedicata anche a queste persone, nei confronti delle quali vanno apprestate specifiche misure per inserirle nei servizi, per recuperarne le capacità personali e relazionali, per assicurarne la vera e propria sopravvivenza fisica: costruzione di nuovi dormitori, ma anche interventi cher coinvolgano le strutture psichiatriche dell’Asl come è stato ipotizzato qualche settimana fa a Prato, poichè chi vive sulla strada ha bisogno di un aiuto anche in questo senso”.
L’Italia ha un triste primato in Europa: quello di avere il maggior numero di bimbi poveri.
Insieme all’Inghilterra, ha infatti il tasso più alto di povertà minorile. Il dato è stato riferito da Chiara Saraceno, sociologa dell’università di Torino e presidente fino all’anno scorso della Commissione nazionale sull’esclusione sociale, la quale nel pomeriggio è intervenuta al convegno organizzato al Palaffari di Firenze dalla Regione Toscana e che proseguirà anche domani. “Dal 1997 ad oggi – ha commentato la studiosa - la percentuale di famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà relativa è rimasta grossomodo stabile, circa il 12 per cento.
Quello che contraddistingue l’Italia rispetto al resto d’Europa è la persistenza della povertà. I poveri sono spesso sempre gli stessi. E chi cade nella povertà rischia di rimanerci in media più a lungo”.
Altro dato preoccupante riguarda la situazione del Mezzogiorno: i poveri continuano ad essere concentrati nel sud Italia. “La forbice però che divide il Meridione dal resto del paese – ha spiegato Chiara Saraceno - stava restringendosi negli ultimi anni. Adesso sta tornando ad allargarsi”.
E poi ci sono i giovani. “In Italia, rispetto ad altri paesi europei, c’è un maggior numero di famiglie con minori che vivono al di sotto della soglia di povertà. Nel 2000 erano il 15,1 per cento. Spesso sono famiglie monoreddito ed hanno una probabilità ancora più elevata di rimanere povere a lungo, il che colpisce la vita dei minori due volte: peggiorandone le condizione durante l’infanzia e l’adolescenza e riducendone le chances nel corso della vita da adulti”.
Nel 2000 i minori poveri in Italia erano un milione e 704 mila, pari al 16,9 per cento di tutti i giovani con meno di diciotto anni: cifre simili a quelle riscontrate tra gli anziani con 65 anni o più.
E’ indigente un fanciullo su sei, al sud addirittura uno su quattro visto che la percentuale sale al 27,4 per cento. La miglior politica per combattere la povertà, per Chiara Saraceno, è quella di incentivare l’occupazione.