La Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha iniziato nelle settimane scorse l’esame della proposta di legge dei DS diretta a istituire, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta per indagare sulle archiviazioni di 695 fascicoli contenenti denunzie di crimini nazifascisti, commessi nel corso della seconda guerra mondiale e riguardanti circa 15 mila vittime.
La Commissione di inchiesta non dovrà procedere all'accertamento delle responsabilità delle stragi di guerra, il cui compito spetta alla magistratura militare, ma dovrà verificare quali siano stati gli ostacoli che hanno impedito alla giustizia di fare il suo corso.
La circostanza, che, su tali temi, ha indotto, prima, il Consiglio della magistratura militare e la Commissione giustizia della Camera dei deputati a svolgere una indagine conoscitiva e, poi, alcuni deputati a presentare una proposta di Commissione di inchiesta, è stata la modalità di ritrovamento dei fascicoli archiviati. In particolare, nell'estate del 1994, in un locale di palazzo Cesi a Roma, sede degli uffici giudiziari militari di appello e di legittimità, veniva rinvenuto un vero e proprio archivio di atti relativi a crimini di guerra del periodo 1943-1945.
Il carteggio era suddiviso in fascicoli, a loro volta raccolti in faldoni. Nello stesso ambito venivano alla luce anche un registro generale con i dati identificativi dei vari fascicoli e la corrispondente rubrica nominativa. Il materiale rinvenuto era in gran parte costituito da denunce e atti di indagine di organi di polizia italiani e di Commissioni di inchiesta anglo-americane sui crimini di guerra. Anziché essere raccolti e trattenuti in un archivio, gli atti rinvenuti sarebbero dovuti essere stati inviati ai magistrati competenti per le opportune iniziative e l'esercizio dell'azione penale.
Per quanto il locale del ritrovamento si trovasse tra quelli di pertinenza della Procura generale presso la Corte militare d'appello, sui fascicoli figurava la provvisoria archiviazione adottata dalla Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare, organo giudiziario soppresso nel 1981, le cui funzioni erano passate alla Procura generale militare presso la Corte di Cassazione. Pertanto, tali archiviazioni, già da un primo esame, risultano essere anomale sia in ragione del contenuto stesso dei fascicoli rinvenuti sia della modalità della loro conservazione, non essendo stati ritrovati nell'archivio degli atti dei Tribunali di guerra soppressi e del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, nella sede della Procura generale militare, bensì in un armadio, con le porte sigillate e rivolto verso la parete, situato in uno stanzino, chiuso da un cancello di ferro.
È bene sottolineare che alcuni di questi fascicoli, che riguardano all'incirca 15.000 vittime, si riferiscono a stragi di inaudita violenza, come quelle di Bellona, delle Fosse Ardeatine, di Sant'Anna di Stazzema, di Marzabotto, di Boves e di Fossali.
L'indagine conoscitiva della scorsa legislatura si è conclusa evidenziando, sulla base delle audizioni svolte, la responsabilità della magistratura militare ed, in particolare, dei procuratori generali militari che si sono succeduti dal 1945 al 1974.
L'illegalità avrebbe avuto inizio subito dopo la conclusione della guerra, quando, anziché trasmettere i fascicoli alle procure militari competenti per territorio, si è preferito accentrarli presso un organo, quale la Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare, che non aveva competenza al riguardo, non avendo alcuna competenza e responsabilità di indagine e di esercizio dell'azione penale. Forse scopo di tale accentramento non è stato l'occultamento dei fascicoli, ma il loro smistamento, sulla base di un disegno tracciato dagli Alleati, secondo il quale la competenza per l'accertamento dei crimini di guerra si doveva suddividere tra l'Italia e gli Alleati, secondo criteri legati alla localizzazione del fatto incriminato od al grado dei militari coinvolti.
Tuttavia, i fascicoli non sono stati mai distribuiti alle procure competenti, tranne alcuni. Anzi, nel 1960 si procedette ad una «archiviazione provvisoria» dei fascicoli. L'archiviazione dei fascicoli si accompagnò ad una accurata selezione degli stessi, alla quale seguì, negli anni dal 1965 al 1968, la trasmissione alle procure di circa 1.300 fascicoli. In realtà, si trattava solo di quelli nei confronti di soggetti non noti o supportati da prove di spessore poco rilevante, che comunque non potevano dar luogo all'istruttoria di processi destinati a conclusione.
Una nota inerente ad un carteggio tra il ministro degli esteri, Gaetano Martino, e quello della difesa, Emilio Paolo Taviani, relativo ad una richiesta di estradizione dalla Repubblica federale di Germania, che era stata indirizzata al Ministero degli esteri, in data 10 ottobre 1956, diretta al ministro della difesa e riguardante proprio l'estradizione ipotizzata dal procuratore militare, nell'esporre i vari argomenti contrari all'iniziativa, si sofferma su alcune circostanze.
Martino, in particolare, ha evidenziato gli «interrogativi che potrebbe far sorgere da parte del Governo di Bonn una nostra iniziativa che venisse ad alimentare la polemica sul comportamento del soldato tedesco. Proprio in questo momento, infatti, tale Governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica il massimo sforzo allo scopo di vincere la resistenza che incontra oggi in Germania la ricostruzione di quelle forze armate, di cui la NATO reclama con impazienza l'allestimento».
La nota di risposta del ministro della difesa in data 29 ottobre 1956 era pienamente adesiva. Per la costituzione dell'Alleanza atlantica si ritenne che fosse politicamente inopportuno iniziare processi per crimini di guerra che avrebbero messo in crisi l'immagine della Germania e soprattutto la ricostituzione di una forza armata in quel Paese. La «ragion di Stato», come è stato confermato dal senatore Taviani in un'intervista rilasciata all'Espresso, ha condizionato, in negativo, l'accertamento delle responsabilità per i crimini di guerra.».
Il gruppo di Forza Italia in consiglio regionale ha presentato invece una mozione per chiedere alla giunta guidata da Martini di attivare e contribuire al finanziamento di una Fondazione regionale in grado di ''approfondire la ricerca storica e avviare il monitoraggio cronistico di tutti i crimini e casi delittuosi inerenti i regimi totalitari d'impronta nazifascista e comunista, del secolo scorso e del presente''.
''Il nostro intento, ha spiegato il capogruppo Lorenzo Zirri, e' quello di permettere ai cittadini di accedere a tutte le informazioni storiche e di cronaca che riguardano i regimi totalitari e le relative ideologie, che hanno devastato il Novecento e che continuano a far danni anche in questo inizio di secolo e di millennio. Non e' tollerabile essere intransigenti solo con i delitti e le violazioni di regimi autoritari di un solo colore politico, quando la storia e l'attualita' testimoniano l'esistenza di diversi autoritarismi''.