FIRENZE- Non considerare il benessere come un dato acquisito per sempre, non adagiarsi sugli allori di una società senza gravi squilibri e senza tensioni eccessive, non assecondare la tendenza narcisistica a considerarci il migliore dei mondi possibili. Questo il monito che il presidente Claudio Martini trae dalla presentazione del primo Rapporto Censis sulla situazione sociale della Toscana, una ricerca che consentirà di approfondire la riflessione sui molti elementi positivi come sulle criticità che caratterizzano lo sviluppo della nostra regione negli ultimi anni.
“La Toscana – ha proseguito Martini che ha partecipato, insieme al direttore del Censis Giuseppe De Rita, al senatore Tiziano Treu, al presidente dell’Irpet Giorgio Morales a una tavola rotonda al Palacongressi – dovrà, in sostanza, lavorare per mantenere e migliorare i livelli raggiunti, nella consapevolezza che anche lo straordinario patrimonio ambientale che l’ha resa famosa in tutto il mondo, non è casuale dono della sorte ma frutto di centinaia di anni di lavoro dell’uomo. Tutto questo, in altre parole, significa investire di più nel futuro”.
L’accenno è direttamente legato a quelli che, nel rapporto, appaiono come elementi problematici, a cominciare dal problema demografico, con il forte invecchiamento della popolazione e la scarsa propensione alla natalità. “A questi si aggiungono - ha ricordato Martini - la tendenza al risparmio piuttosto che all’investimento e una certa pigrizia nella formazione. Si tratta di temi strategici per lo sviluppo nostra regione, temi che devono essere approfonditi perché alla lunga possono rappresentare, se non rimossi, altrettanti ostacoli al cambiamento”.
Il presidente si è soffermato inoltre sul tema, sollevato fra gli altri anche da Tiziano Treu, delle nuove competenze attribuite alle Regioni dalla riscrittura della Carta costituzionale. “La dimensione regionale non è un tira e molla fra centro e periferia ma un pezzo forte delle politiche nazionali, il federalismo è uno strumento di modernizzazione i cui primi destinatari sono le categorie economiche, il mondo della scuola, la società e i cittadini in generale. Dare più forza a questa dimensione non vuol dire realizzare un nuovo centralismo regionale ma, al contrario, significa governare a fianco delle istituzioni locali, perché non è possibile governare a livello regionale senza un patto con le autonomie locali e senza il supporto di una seria concertazione”.
Solo esaltando la dimensione regionale sarà possibile avere più ascolto e visibilità in Europa, mentre all’interno la valorizzazione delle molte diversità è un punto di forza, a patto, naturalmente, di trovare un equilibrio fra le numerose identità e di imparare a muoversi in una logica di sistema.
“Quello toscano è un modello la cui forza sta proprio nell’essere un non modello”, spiega l’assessore Benesperi cui è spettato il compito di sottolineare, in apertura, l’importanza di una simile pubblcazione.
“Un rapporto, questo del Censis – ricorda Benesperi - che non sarà episodico ma periodico e che ci dovrà aiutare nella definizione delle nuove politiche regionali anche e soprattutto alla luce delle nuove competenze per quel che rigurda, scuola, lavoro, formazione professionale”. La Toscana , proprio per la richezza di spunti e di interessanmti primati (lo ha ricordato il durettore del Censis De Rita: è qui che nasce il distretto indusatriale, qui che prende forma il concetto del piccolo è bello, qui che si è attuato il primo esempio di imprenditoria etnica concentrato in una unica provincia con la presenza cinese a Prato, qui che si assiste all’emergente fenomeno dell’economia del wellness, legata allo sviluppo di agriturismo, turismo termale, biologico, industria della moda ecc) è stata la prima regione ad essere presa in esame dal Censis che, per la prima volta, ha elaborato un rapporto toscano con gli stesso criteri dell’ormai abituale rapporto nazionale.
Una regione soddisfatta di se stessa, che invecchia felice ma che non disdegna le nuove tecnologie, che ama computer, internet e cellulari e alla tv preferisce la lettura.
In primo luogo dei quotidiani, che vede la Toscana (con il 69,8 per cento), sopra la media nazionale (59,4%), ma anche di libri (66 contro il 54% nazionale) che, singolarmente, vengono dai toscani molto spesso cominciati e non finiti. Così come succede per gli studi, in particolare quelli superiori, nei quali i toscani si distinguono per essere un po’ più svogliati del resto degli italiani. Questa regione colta e vivace, ha con l’ambiente un ottimo rapporto, orgogliosa del suo primato di Regione più verde d’Italia e che ha saputo fare della natura e del benessere una vera e propria industria.
Uno dei primati toscani sta nel boom della wellness economy che, accanto alla fiorente new economy (2,3 aziende ogni 10 mila abitanti, contro l’1,3 dell’Italia), vede un crescente interesse per agriturismo (dal ’99 cresciuto del 15%), produzioni biologiche, turismo termale, settori in cui si colloca al primo posto a livello nazionale. Quanto a identità, i toscani hanno le idee chiare: oltre il 78% di essi ha un giudizio positivo sulla propria regione; sono campanilisti quanto basta (circa l’8%) ma si riconoscono, soprattutto, in una comunità regionale e, ancora di più, in quella nazionale.
Anche affiancando curiosità ai dati macroeconomici, in parte già noti ma comunque riconfermati, il quadro della Toscana che esce dal primo Rapporto Censis dedicato alla nostra regione è decisamente lusinghiero.
Oltre ad approfondire analisi già conosciute come quelle sulla costante crescita dell’occupazione, sulla bassa natalità e sull’elevato indice di invecchiamento della popolazione (che ovviamente pongono problemi di natura politica, sociale, sanitaria e previdenziale ma che, peraltro, non sembrano vissuti come problematici dai cittadini toscani intervistati), mette in luce molte altre interessanti peculiarità. E curiosità, tipo l’intolleranza verso la pubblicità televisiva, l’abitudine diffusa di guardare la tv in casa da soli tutti i giorni.
E ancora, a fronte di un giudizio complessivamente buono sul sistema sanitario e a una percezione altrettanto soddisfacente delle proprie condizioni di salute, emerge un forte attaccamento alla medicina tradizionale (l’80 per cento non ha mai fatto ricorso a cure alternative). Fra le cure alternative è superiore alla media nazionale solo il ricorso all’omeopatia (18 % in Toscana contro il 13,7 % in Italia), mentre in generale ha fatto uso della medicina alternativa il 20% dei toscani, in linea con la media italiana.
Resta, fra le ombre, una certa preoccupazione per i fenomeni migratori che assumono forti caratteristiche di concentrazione territoriale (vedi presenza di imprenditoria cinese a Prato) indicato come problema dal 54 per cento dei toscani.