(30 ottobre 2001) – “Scale” per consentire ai pesci di risalire i fiumi per andare a riprodursi. Provincia e Università le hanno progettate insieme, realizzando uno studio specifico sui corsi d’acqua della Val di Sieve.
L’iniziativa è stata presentata questa mattina alla stampa in Palazzo Medici Riccardi dall’assessore provinciale alla Pesca, Mario Lastrucci.
I pesci hanno bisogno di risalire i corsi d’acqua per raggiungere luoghi adatti alla schiusa delle uova e allo sviluppo degli avannotti oppure per cercare il nutrimento necessario.
Tra le specie comuni nelle nostre acque, lasche, cavedani e barbi, come tutti i ciprinidi, si spostano per la frega nel periodo primaverile-estivo e percorrono tratti brevi. Le trote risalgono i torrenti invece in autunno alla ricerca di acque pulite, basse e con fondali ghiaiosi. Le anguille percorrono anche migliaia di chilometri, dal caldo mar dei Sargassi alle fresche acque montane.
Gli sbarramenti costruiti dall’uomo hanno su questi spostamenti conseguenze assai gravi e spesso rappresentano, oltre che una limitazione alla crescita ed alla proliferazione dei pesci, delle trappole mortali.
In Italia non vi è una tradizione in materia di passaggi per i pesci.
Strutture di questo tipo esistono nel nord del Paese, per lo più realizzate negli ultimi vent’anni. Diverso il caso di altri Paesi europei e soprattutto extraeuropei, con Stati Uniti e Canada all’avanguardia, nei quali legislazioni rigidissime e speciali commissioni istituite appositamente garantiscono il rispetto e la tutela dei fiumi imponendo la costruzione di passaggi per i pesci in corrispondenza di tutti gli sbarramenti.
Vari sono i dispositivi che permettono ai pesci di risalire i fiumi superando i dislivelli: passaggi in vasche, tratti con scarsa pendenza, rallentamenti della corrente, rapide artificiali, fino alle chiuse o agli “ascensori”.
Le soluzioni variano caso per caso, in dipendenza degli ostacoli, della portata idrica, delle specie presenti.
Lo studio presentato oggi è stato realizzato per la Provincia dal Dipartimento di Ingegneria Agraria e Forestale dell’Università di Firenze. Ne è autore Enrico Pini Prato. Responsabile della ricerca è il professor Mario Falciai.
Il pregio maggiore del lavoro è che esso affianca conoscenze di tipo biologico con conoscenze idrauliche, con il risultato di una proposta operativa facilmente e concretamente attuabile.
Per la ricerca è stato scelto il bacino della Sieve, nel tratto tra la confluenza con l’Arno e Dicomano, inclusi alcuni degli affluenti maggiori: in riva sinistra i torrenti Moscia e Comano, in riva destra i torrenti Argomenna e Uscioli.
Numerosi e di varia natura gli sbarramenti costruiti dall’uomo che impediscono gli spostamenti dei pesci, per cui lo studio può offrire una vasta panoramica sulle tipologie di intervento. Tre le pescaie sulle Sieve (di S. Francesco, di Marino e dell’Alessandri) e varie le briglie sul Comano e sul Moscia.
L’insieme considerato rappresenta un grande e complesso ecosistema, nel quale sono presenti sia gli elementi tipici del fiume di pianura, sia quelli dei torrenti montani.
Per quanto riguarda l’ittiofauna, le specie presenti rappresentano gran parte del patrimonio ittico italiano.
Nella Sieve vivono soprattutto ciprinidi (carpe, tinche, cavedani, barbi, vaironi, pighi, alborelle, lasche, scardole ecc.), ma sporadicamente si incontrano anche salmonidi (trota fario) e gruppi minori rappresentati da lucci, persici trota, ghiozzi, gobioni, anguille, pesci gatto, cobiti. Nei torrenti invece vi sono trote, provenienti ormai soltanto dai ripopolamenti, barbi, cavedani, rovelle ed altre specie tipicamente di ruscello come ghiozzi e vaironi.
Di fatto il lavoro fatto sulla Val di Sieve non è finalizzato solo a quel bacino ma rappresenta un modello per le altre situazioni esistenti nel territorio provinciale e la ricerca ha la doppia valenza di studio e di progetto preliminare, utilizzabile nel momento in cui si deciderà di realizzare le strutture per la risalita dei pesci, con l’obiettivo di realizzare una continuità tra Arno, Sieve e torrenti montani.
“Non sarebbe possibile costruire scale di risalta per ognuna delle centinaia di briglie esistenti nella nostra provincia – commenta l’assessore Lastrucci – ma basterebbe inserirle in quelle zone maggiormente soggette alla frega, rappresentate dalle confluenze di affluenti minori in corsi d’acqua di maggiori dimensioni.
Questo permetterebbe fra l’altro di conseguire risultati molto maggiori con le azioni di ripopolamento, i cui effetti sono ora limitati dal fatto che i fiumi non agevolano la riproduzione dei pesci che vi vengono immessi”.