SAN ROSSORE La terra come proprietà di tutti, che nessuno può permettersi di usurpare; la libertà come presupposto della dignità umana; la prossimità, come valore evangelico, da recuperare pienamente. Sono questi i tre punti su cui si è soffermato monsignor Alessandro Plotti, vescovo di Pisa e presidente della Conferenza episcopale toscana, nel suo intervento a San Rossore, ai lavori di “From Global to Glocial”. Tre punti, ha spiegato il religioso, che devono essere messi alla base di qualsiasi riflessione sulla globalizzzione, “perché quest’ultima di per sé non è buona né cattiva.
E’ cattiva se un uomo per essa deve arrivare a maledire la terra dove vive perché non ha di che sfamarsi, ma è buona se si incardina su valori come la libertà e la fratellanza”. “La terra è di tutti – ha spiegato Plotti, riguardo al primo punto – è di Dio che l’ha consegnato all’uomo perché la possieda e la usi, ma nessuno può appropriarsene indebitamente e manipolarla a suo uso e consumo. Nessuno può esserne padrone, tutti la devono custodire”. Ma oltre la proprietà c’è il valore assoluto della libertà.
“Dobbiamo combattere perché tutti siano liberi di esprimere le proprie potenzialità, liberi da tutte le oppressioni e le violenze. Dobbiamo chiederci se l’economia globale sia davvero in grado di salvare l’uomo dalla sue schiavitù. La libertà dell’uomo – ha sottolineato con forza monsignor Plotti – è infatti la sua dignità”.
Ma c’è un terzo valore evangelico di cui la riflessione sulla globalizzazione deve tenere conto. Ovvero il senso della “prossimità”, come solidarietà nel rispetto delle differenze, è la consapevolezza che “ogni uomo è tuo fratello, non può bastare interessarsi solo della propria sfera personale, ma anzi, proprio pensando agli altri si realizza il proprio benessere personale”.
La condanna alla povertà estrema che minaccia tra un terzo e la metà della popolazione mondiale; un’”insicurezza tremenda” – ben manifesta nelle ripetute crisi finanziarie, dalla Turchia all’Argentina – che riguarda tutti; e sullo sfondo, la realtà di interi paesi soffocati dal debito e con le loro produzioni nazionali spazzate via dalla grandi multinazionali.
E’ questo l’inquietante quadro co prodotto dall’economia globalizzata nella riflessione di Edward Goldsmith, fondatore della prestigiosa rivista “The Ecologist”. Nel suo intervento a “From Global to Glocial” lo studioso si è particolarmente soffermato sulla stretta connessione esistente tra lo sviluppo del commercio internazionale e l’aumento della povertà. “L’economia globale non può combattere la povertà, al contrario, crea nuove povertà – ha spiegato Goldsmith – Dal 1978 il commercio mondiale è aumentato di 18 volte, eppure, solo dal 1997, la povertà ha fatto registrare un aumento del 50 per cento, aumentando anche nel mondo industrializzato.
In realtà, la globalizzazione non è stata inventata per combattere la povertà, ma semmai per sostituirsi all’epoca coloniale perseguendone lo stesso obiettivo, aprire nuovi mercati”. Il fondatore di “The Ecologist” si è soffermato anche sui principali meccanismi responsabili dell’ampliamento della povertà e in particolare sul circolo vizioso che porta i paesi più indebitati, attraverso i piani di aggiustamento strutturali richiesti dal Fondo monetario internazionale, all’eliminazione di servizi improduttivi – quali quelli sanitari ed educativi – al peggioramento della situazione dell’import-export e ad ulteriori indebitamenti.
Una situazione che colpisce con particolare forza le realtà dei produttori agricoli di tanti paesi del Sud del mondo: principali vittime di un processo di internazionalizzazione e modernizzazione che rischia di ridurre in povertà intere comunità umane, minaccia che nella valutazione di Goldsmith può riguardare oltre un miliardo di persone e può arrivare ad investire addirittura la metà della popolazione umana. “Se vogliamo avere un sistema che minimizzi la povertà – ha concluso Goldsmith – bisogna trovare altre strade e iniziare a riflettere sulla necessità di rilanciare le economie nazionali, come stanno iniziando a fare paesi come la Thailandia”.
“Un grazie alla Toscana per avere organizzato questo meeting in cui si possono discutere le problematiche legate alla globalizzazione; in questo modo ha dimostrato di essere più avanti del mio Paese, la California, dove non siamo ancora riusciti a fare qualcosa di simile”.
Lo ha detto in apertura di intervento Victor Menotti, direttore di ‘International Forum on Globalization’, aggiungendo che la Toscana “può diventare la Porto Alegre del Nord”, un faro per quanti credono in una globalizzazione diversa. L’organizzazione diretta da Menotti è nata nei primi anni Novanta per ‘controllare’ le decisioni prese dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, “spesso, anzi quasi sempre – ha sottolineato Menotti – senza una reale partecipazione né dei semplici cittadini, né, cosa più grave, dei governi locali”.
I gruppi che aderiscono all’‘International Forum’ si riuniscono periodicamente a San Francisco per mettere a punto le strategie contro il potere delle multinazionali. Menotti ha aggiunto che la prima lezione appresa dalle sue esperienze passate (a Seattle, durante un dibattito, venne fermato dalla polizia e tenuto in carcere per una notte) è che si deve combattere per il diritto alla parola e per le dimostrazioni pacifiche, e per avere a disposizione spazi sicuri per la libertà di parola.
Victor Menotti ha quindi paragonato l’azione dei Paesi più potenti ad una sorta di ‘strategia vampiro’, insistendo sul fatto che le persone vengono a conoscenza delle decisioni prese a cose fatte, senza avere avuto la possibilità di dare un contributo di idee al dibattito. “Sono molti gli esempi che si potrebbero portare – ha detto Menotti – ma a noi interessano maggiormente le soluzioni: è necessario, cioè, che le persone, le organizzazioni, i governi locali partecipino di più ai processi decisionali dei Paesi potenti, che saranno così quasi costretti a rendere più trasparenti le loro risoluzioni”.
«Viviamo in un mondo contraddistinto da molte interdipendenze.
Ma il problema non sono quelle, che possono essere anche positive, quanto la necessità di garantire un modello di sviluppo buono per le nostre città. Una globalizzazione sociale, anzi glociale». E’ il messaggio che Joao Guerreiro, presidente della regione portoghese dell’Algarve e della commissione intermediterranea, ha affidato al suo intervento nel meeting di San Rossore. «Molti dei temi che vengono oggi dibattuti sono stati affrontati nei nostri incontri tra le regioni mediterranee.
E molte delle esperienze che il Mediterraneo può vantare – ha sottolineato - possono costituire un punto di partenza per combattere gli aspetti negativi della globalizzazione e per valorizzare gli elementi positivi di una rete di interscambio capace di esportare modelli e spazi di solidarietà».
«Il Mediterraneo – ha spiegato - vanta un’agricoltura che è la più equilibrata del pianeta, condizioni favorevolissime, per le ore di sole, per sviluppare energie alternative, un habitat naturale, una vita urbana e costumi tra i più ricchi.
Lo sviluppo che dobbiamo assicurare alle nostre regioni deve nascere in un mondo dove le relazioni tra le persone abbiano la precedenza, in un contesto di vita più solidale, diversificato ma con un futuro solido».
«E’ inconcepibile che nel ventunesimo secolo – ha concluso – un cittadino del Sudan abbia un reddito ottanta volte inferiore a quello di una persona nata in Europa».
«Ciò a cui ho assistito in questo anno e mezzo è la nascita di un movimento davvero globale, che non solo lotta contro le multinazionali ma discute per un futuro alternativo.
Ed un altro mondo, come dicevamo l’anno scorso a Porto Alegre, è davvero possibile». Ha esordito così Walden Bello, direttore di «Focus on Global South», nel suo intervento di stamani al meeting di San Rossore. «L’unione fa la forza. Io sono qui in Italia – ha detto – per partecipare al forum di Genova. E lì dobbiamo riunire l’alternativa. E’ questa la faccia del futuro a cui l’Italia deve dare il benvenuto». «La globalizzazione oramai ha fatto il suo tempo. Sei sono le crisi in cui si attanaglia - ha detto Walden Bello – Crisi di legittimità, a cui insegnava Gramsci segue sempre una crisi di governo, crisi della leadership multilaterale, crisi del sistema militare statunitense e globale, crisi dell’ecologia e del sistema di produzione, crisi infine della democrazia e crisi dell’economia».
«All’inizio degli anni Novanta ci avevano detto che il sistema di mercato globale e capitalista avrebbe ridotto la povertà nel mondo - si è soffermato Walden Bello - Ma quella promessa è stata disattesa».
«La globalizzazione – ha spiegato lo studioso filippino – dimostra una crisi di legittimità proprio perché le sue promesse non si sono avverate. La crisi della leadership multilaterale la si vede nel consenso che è venuto meno anche all’interno dei G8. Il sistema militare globale è entrato in crisi perché non si persegue più un interesse collettivo, ma unilaterale.
Il sistema di produzione globale ha dimostrato di essere incapace di convivere con il rispetto dell’ambiente. Alla democrazia si è sostituita una plutocrazia: i veri diritti non vengono garantiti ed il principio di sussidarietà è stato distrutto. Infine l’intera economia, che vive un eccesso di produzione e cerca di garantirsi redditività attraverso fusioni ed eliminando la concorrenza, sta attraversando una crisi generale, dimostrata dai crolli nei mercati finanziari, che non dobbiamo affatto sottovalutare».
«In questo scenario – ha auspicato Bello - noi dobbiamo unirci e proporre un’alternativa».
“Le città devono fare resistenza umana e, nel nome di un nuovo umanesimo, ricostituire identità, ridare voce ai cittadini, riportare la politica nell’economia”.
E’ questo l’appello lanciato a San Rossore da Tarso Genro, sindaco di Porto Alegre, città che lo scorso anno ha ospitato il Forum sociale mondiale, occasione in cui le diverse anime del movimento “no global” si sono riunite per lanciare le loro proposte. “Dobbiamo riflettere sulla nostra storia e proporre un progetto di civiltà alternativo a quello che stanno preparando”, ha spiegato il sindaco, soffermandosi in particolare sui rapporti tra “globale” e “locale”, premessa indispensabile anche per non generalizzare dinamiche internazionali tutt’altro che uniformi.
“Non esiste una globalizzazione unica, non esiste un processo che coinvolge la totalità dell’umanità. Esistono invece paesi globalizzanti e paesi globalizzati, esiste un ordine globale con integrati e dissidenti, con privilegiati ed esclusi”.
E’ in questo quadro che si inserisce il ruolo attivo delle “grandi città”: “E’ qui che si possono costituire le premesse per la ricostituzione delle identità locali, nel confronto con le realtà globali”.
Una scossa alle “sicurezze profonde” che accompagnano le idee di “progresso” e le dinamiche con cui il mondo viene manipolato e ridotto ad un oggetto di ingegneria, ma anche quel “supermercato delle propostine” che sarà il G8 di Genova.
Questo il significato essenziale dell’intervento di Ivan Illich, studioso di fama internazionale che a San Rossore, nel corso dei lavori di “From Global to Glocial”, ha riproposto alcuni dei temi e delle riflessioni caratteristici del suo pensiero, con il ruolo esercitato dalla “ragione” e dalla “tutela degli esperti”, dall’”ingegneria sociale” e dalle “istituzioni”. Tutto questo sottoponendo a critica sistematica la realtà di un mondo in cui gli stessi “semi sono merci sottoposti a brevetti”.
La riflessione di Illich ha così spaziato dal tema del “prossimo” e dell’”ospitalità” – “la Chiesa l’ha istituzionalizzata creando la base fondamentale per la società dei servizi - a quello dell’impegno del “servitore pubblico” richiamato a rileggersi Gandhi, perché “c’è una possibilità completamente nuova di praticare la resistenza passiva”, nei confronti di dinamiche e di regolamentazioni maturate a livello internazionale.
Con i suoi interrogativi e le sue “provocazioni” – “non dimenticate che l’aereo che mi ha portato qui ha consumato sette volte l’ossigeno necessario ad un elefante” – Illich non ha mancato però di rivolgersi a tutti i cittadini del mondo, invitandoli a “liberarsi dall’obbedienza a istituzioni radicalmente antidemocratiche”.
“Sono attentati gravissimi, che non aiutano nessuno e vanno in direzione esattamente opposta a quella che oggi abbiamo dimostrato come possibile ed auspicabile, quella del dialogo tra istituzioni e movimenti”.
Con queste parole il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, ha condannato le bombe che questa mattina sono state indirizzate alla redazione del Tg4 e ad un’agenzia di lavoro interinale: notizie che sono rimbalzate nel corso dei lavori di “From Global to Glocial”, alla tenuta di San Rossore. “Con questa iniziativa – ha spiegato il presidente - abbiamo riunito in un confronto intenso e produttivo amministratori pubblici, da una parte, e oltre mille cittadini e duecento associazioni, dall’altra.
Era un confronto, su temi di straordinaria attualità e importanza come quelli della globalizzazione, che credo fosse lungamente atteso e ricercato. Il dialogo non è certamente aiutato né da episodi di violenza che sembrano avere il sapore di altre fasi della nostra storia, così come dall’atteggiamento di chiusura ad ogni civile confronto che si è espresso nei tanti divieti e nella chiusura delle frontiere. Sono comunque convinto che a prescindere da queste posizioni, e forse anche per reazione ad esse, la strada del confronto diretto che abbiamo aperto oggi a San Rossore sarà quella che avrà la meglio”.
“Questo importante meeting è un passo molto significativo per la difesa della pace, della biodiversià, della salute e della bellezza del nostro pianeta”.
Inizia così la lettera che Vandana Shiva, la cui partecipazione era inizialmente prevista al meeting di San Rossore, ha inviato al presidente della Regione Toscana Claudio Martini. “Il sistema globalizzato dell’alimentazione e dell’agricoltura – si legge nel messaggio – si sta diffondendo dappertutto, determinando violenza, monoculture e malattie”. L’aumento dei costi di produzione e dell’indebitamento, sottolinea Vandana Shiva, ricordando la situazione dell’India, spinge sempre più i contadini alla fame: i prezzi dei prodotti agricoli sono infatti crollati del 50%, mentre il prezzo del cibo è aumentato del 400%.
“Il risultato è un accumulo di provviste perché i poveri non sono in grado di acquistare il cibo e questo surplus genera un profitto per i mercati e le aziende globali, sottraendo i mezzi di sostentamento ai contadini e il cibo ai poveri”. C’è quindi bisogno di una riforma radicale delle politiche agroalimentari e sotto questo profilo, a giudizio di Vandana Shiva, “molto ci sarebbe da imparare dalla Toscana che ha sempre indicato al mondo un nuovo modo di organizzare le nostre visioni globali e le nostre parole”.
Congratulandosi ancora con il presidente Martini per l’organizzazione del convegno ed esprimendo il rammarico per la mancata partecipazione ai lavori del meeting, Vandana Shiva conclude la sua lettera sottolinenando il proprio impegno “a lavorare insieme alla Toscana per costruire un mondo di pace, di democrazia e di libertà dove possano prosperare le biodiversità e le nostre differenti culture.
«Ben vengano iniziative ed azioni concrete come quella che avete organizzato qui a San Rossore.
Tutti i soggetti istituzionali devono partecipare ad uno sforzo che, per avere successo, va coordinato ed orientato». Così Romano Prodi nel messaggio che ha inviato al meeting promosso dalla Regione Toscana. «Sono molto sensibile – ha detto il presidente della commissione europea – ai motivi di una protesta che è spia di un malessere esistente e che in quanto tale non può essere ignorato, ferma restando l’assoluta condanna per gli estremismi violenti. Soprattutto quando questa protesta dà voce a chi voce non ha».
«Ci sono tre ingiustizie oggi nel mondo – ha sottolineato Prodi – l’aumento notevole della differenza sociale e di prosperità tra le fasce ricche e le fasce deboli nelle società sviluppate, la stessa differenza nelle società dei paesi in via di sviluppo, la differenza infine tra la crescita ed il benessere medio nei paesi ricchi rispetto a quelli poveri. Il mondo in cui viviamo è molto lontano dall’essere un ideale di giustizia e tolleranza e non è neanche il migliore dei mondi possibili».
«Molto si può fare per migliorarlo e molto possiamo fare insieme» ha aggiunto.
«La globalizzazione non è però il demonio da esorcizzare – ha detto Prodi – Può risolvere il problema della povertà nel mondo, ma va governata affinchè sia occasione di crescita per tutti e non occasione di sfruttamento».
Il presidente della commissione si sofferma anche sul G8: «S’impone una nuova riflessione sul modo di concepire tale meccanismo: non per liquidarlo, ma per farlo funzionare meglio.
Non si governa infatti la globalizzazione – dice - senza organizzazioni multilaterali (l’alternativa sarebbe il bilateralismo, in cui tutto è demandato alla buona volontà del più potente) ma questi organismi vanno gestiti con mano forte affinchè si dirigano nella giusta direzione».
«Dobbiamo cercare livelli di giustizia ed equità sempre più alti - conclude il presidente - E per rispondere al malessere che nasce dall’insoddisfazione per i livelli ora esistenti tutti devono fare la loro parte».
Il movimento anti-G8 segna una fase di ritorno all’impegno che rappresenta una lezione anche per quanti in questi anni hanno parlato di crisi della politica.
E’ questo uno dei punti di un lungo e articolato contributo che Adriano Sofri ha inviato questo pomeriggio ai lavori di “From Global to Glocial”. Si tratta di un’approfondita riflessione in cui si affrontano temi quali le caratteristiche di quello che i mass-media hanno etichettato come il “popolo di Seattle”. “Per equivoco o generico che sia il binomio globalizzazione-antiglobalizzazione, è un fatto che per la prima volta dopo molto tempo il tentativo di una descrizione del mondo contemporaneo ha interessato una vasta opinione”, ricorda Sofri, parlando di “una rinnovata attenzione, curiosità e sensibilità” rispetto alle quali passano in secondo piano “vecchie ideologie e scolastiche semplificazioni”.
“L’imminenza del G8 ha portato alla luce, piuttosto che quell’accezione spettacolare del ‘popolo di Seattle’ che consiste nel nomadismo dei manifestanti di piazza al seguito dei grandiosi incontri internazionali, la vasta e fattiva costellazione di attività e associazioni impegnate sulle grandi e piccole questioni del pianeta”. Ed è una novità che, ricorda Sofri, deve essere attentamente meditata anche dal mondo della “politica professionale”. Questo stesso movimento ha fatto infatti “risaltare la distanza e l’ignoranza di tanta parte della politica professionale nei confronti dei problemi del mondo e di chi concretamente li affronta.
La politica professata si è precipitata a un corso di recupero. Buona lezione, da usare nella discussione sulla sua crisi”.
E sono i giovani, anche i “giovani dei paesi ricchi”, i grandi protagonisti di questa “rinnovata attenzione” sulle miserie del mondo, in una realtà nella quale, spiega ancora Sofri “più o meno c’è un miliardo e passa di molto ricchi, un miliardo e passa di molto poveri e un centro di quattro miliardi di piuttosto poveri. I giovani dei paesi ricchi, di una parte di loro ormai ampia e contagiosa, sono stati finalmente raggiunti dalla notizia della fame, della sofferenza, dell’ingiustizia e dell’assurdità del mondo.
Gli adulti lo sapevano già, e dunque lo avevano dimenticato. Quando i ragazzi ricevono quest’ultima notizia, ne provano scandalo. Bisogna che gli scandali avvengano”.