Una stanza bianca: il luogo delle successioni di atti indimenticabili, dall’arrivo, alla seduta, allo sguardo, allo sbadiglio, al sospiro, al bisbiglio, alla piccola risata, al sonno. K. avverte che il suo prossimo lavoro sarà dolcissimo, come la ripresa nascosta di un bagno turco, dove la nebbia e il calore accolgono corpi che chinano il capo e pensano a se, nello scivolare piano di una goccia dal mento, al collo, al torace poi fino a terra. Per il momento il soggetto è nascosto, la volontà è di impiegarsi nella ricerca di un’estetica che nello svilupparsi si neghi e contraddica le posizioni precedenti, un sentimento di semplice concatenazione di atti senza perlustrazione.
Uno spazio svuotato dall’apparenza, liberato da quella luminosa glorificazione della bellezza che cancella il diritto al pericolo. Un volume instabile senza riferimento non lascia che come traccia il proprio vuoto. Lo sguardo non sprofonda più, si aggancia al particolare millimetrico.
Nelle prime visioni di ciò che vorremmo costruire, tra il pubblico e la scena un velo sottile su quattro lati , per due sguardi distinti; ciò che è nascosto è l’evidenza di voler mostrare l’atto singolo come oggetto di se: dolcissima vanità del divenire.
Un’estraneità calma è il rapporto che questo spettacolo dovrebbe avere con lo spettatore; una dolcezza che dovrebbe mitigare proprio il senso e la paura di questa estraneità: come un occhio che accoglie dall’esterno e mostra invariabilmente. Rendersi invisibili nell’evitare la rappresentazione con la consapevolezza di porsi al limite dei campi conosciuti per verificare la solidità dell’esperienza contemporanea del proprio sentire. Il corpo tramite di se stesso, parlante nella presenza non distrutta da ogni dover essere, anche appena accennato.
Vorremmo parlare della dolcezza, elemento di essenza ingenua: che significato possono avere le parole che nella logica non trovano conforto? Chi è senza vergogna scagli la prima pietra. Per un attimo immaginiamoci la relazione che si può instaurare tra un uomo e il suo dio, ciò che differenza l’uno dall’altro è che il primo si domanda mentre il secondo è.
Sulla ragione l’incognita è certa, il peso diviene leggerezza e le campane suonano.