Il Convegno si svolgerà presso l'Aula Magna dell'Università degli Studi di Firenze, in Piazza San Marco, 4, Venerdì 16 e Sabato 17 febbraio. La Conferenza è realizzata con il contributo della Commissione Europea, DG Ricerca, Programma “Accrescere il Potenziale Umano di Ricerca e la Base delle Conoscenze Socio-Economiche” e con il contributo della NATO.
Partecipano tra gli altri: dell’On. Valdo Spini, Presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati; Amb. Amedeo De Franchis, Rappresentante italiano alla NATO; Prof.
Simon Serfaty, Direttore Programma Europeo, CSIS Washington; Prof. Stefano Silvestri, Vice Presidente Istituto Affari Internazionali; Ing. Alberto Lina, Presidente Finmeccanica; Javier Solana – Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e di Sicurezza (PESC); Gen. Giuseppe Cucchi, Rappresentante militare italiano presso il Comitato Militare NATO e UE; Gen. Alberto Ficuciello, direttore del Combined Joint Planning Staff della NATO; Dott. Paolo Garimberti, La Repubblica; Gen.
Carlo Jean – Rappresentante personale del Presidente in esercizio della OSCE; Amb. Alessandro Minuto Rizzo, rappresentante italiano presso il Comitato per la politica e la sicurezza europea; On. Umberto Ranieri, Sottosegretario Ministero degli Affari Esteri; On. Alain Richard, Ministro della Difesa Francese; On. Federico Trillo-Figueroa, Ministro della Difesa Spagnola; Dott. Franco Venturini, Il Corriere della sera.
"Il tema della politica europea di sicurezza e di difesa -afferma nella sua introduzione l'On.
Valdo Spini- è diventato uno dei temi cruciali della nuova fase di sviluppo dell'Unione Europea, un fattore importante della sua crescita. L'Europa non può essere un gigante economico e un nano politico. La volontà dei paesi membri di cooperare per il raggiungimento dell'obiettivo della convergenza delle politiche nel campo della sicurezza e della difesa presuppone la messa a disposizione dell'Unione Europea, anche se come cooperazione intergovernativa, di quote di sovranità proprio in uno dei settori più gelosamente riservati agli Stati Nazionali, appunto quello della Difesa. E' un fatto molto recente, perché nel trattato di Roma del 1957 istitutivo del Mec questa non era materia di competenza comunitaria.
Perché esso entrasse nella sfera di competenza dell'Unione Europea si è dovuto aspettare il trattato di Amsterdam, entrato in vigore il primo di maggio del 1999. Anzi, col trattato di Amsterdam che viene istituita la figura dell'Alto Rappresentante dell'Unione Europea per la PESC (Politica estera e di sicurezza comune), funzione che viene cumulata con quella di Segretario del Consiglio Europeo. Il fatto poi che lo stesso Alto Rappresentante, Javier Solana, sia diventato anche il Segretario Generale dell'U.E.O, la vecchia organizzazione europea operante nel campo della difesa, ha creato positive condizioni sulla strada della risoluzione di quel difficile "triangolo delle Bermude" istituzionale (Nato - U.E.
- U.E.O), in cui spesso la politica europea di difesa si era trovato in difficoltà. Si è detto come la politica europea di difesa sia un fatto recente. Il documento anglo-francese di Saint Malò che le ha spianato la strada è del 4 dicembre 1998. La prima riunione informale dei Ministri della Difesa dell'Unione Europea è del novembre 1998. Ma tuttavia in questi pochi anni, la politica europea di difesa ha visto una decisiva accelerazione. Se l'articolo di 17 del trattato di Amsterdam aveva attribuito alla difesa europea la possibilità di effettuare missioni di tipo "Petersberg (in particolare di compiti umanitari e di soccorso, di attività di mantenimento della pace, peace-keeping) e di missioni di unità di combattimento nella gestione di crisi, al fine del ristabilimento della pace) nello storico Consiglio Europeo di Helsinki del 10 e 11 dicembre 1999, si decideva la creazione di una forza comune europea di intervento rapido, destinata a realizzare interventi di risoluzione dei conflitti e di mantenimento della pace ed in grado di attivarsi anche autonomamente rispetto alla Nato, pur operando in piena coerenza con essa. Si è deciso di dare vita, entro il 2003, ad una forza della consistenza di 60.000 uomini che potrebbero diventare anche 100.000 secondo quanto stabilito nella riunione di Bruxelles del novembre da mobilitare in tempi brevissimi (60 giorni). Peraltro a Colonia il 3-4 giugno 1999 era già stato introdotto il concetto di PESD (Politica europea di sicurezza e difesa). Nel vertice di Fera del giugno 2000 la decisione è stata consolidata, mentre nella riunione dei Ministri degli Affari Esteri e della Difesa europei tenutasi a Bruxelles nel novembre 2000, cui tutti i Paesi membri hanno indicato con chiarezza la propria disponibilità a contribuire alla forza comune europea di difesa.
Ciascun Stato ha infatti comunicato i contributi, in termini di forze e di capacità strategiche, che esso si impegna ad offrire, su base volontaria, per il raggiungimento degli obiettivi definiti ad Helsinki. In questo contesto, l'Italia ha dimostrato una grande determinazione nel voler proseguire lungo la strada intrapresa: il nostro Paese ha infatti dichiarato l'intenzione di mettere a disposizione della Forza europea comune 19.800 uomini, di cui 12.000 impegnabili contemporaneamente, divenendo così il secondo contribuente in termini assoluti. Infine, significativi passi in avanti sono stati compiuti in occasione del più recente Consiglio Europeo di Nizza (dicembre 2000), dove peraltro si sono avuti anche alcuni momenti di impasse.
Per un verso, infatti, il documento conclusivo del Vertice non contiene che un sintetico accenno in materia di difesa europea e la stessa riforma istituzionale varata a Nizza non prevede l'adozione di "cooperazioni rafforzate" nel settore della difesa. (Quest'ultima si applica soltanto all'industria europea della Difesa) Per altro verso, è stata unanimemente rilevata l'importanza dell'approvazione, da parte del Consiglio stesso, della relazione della Presidenza francese (e dei relativi allegati) sulla politica europea in materia di sicurezza e di difesa. In tale relazione è infatti ribadita l'intenzione dell'Unione Europea di giocare pienamente il suo ruolo sulla scena internazionale, sviluppando la propria capacità di prendere decisioni autonome e di assumersi le proprie responsabilità nella gestione delle crisi e nella prevenzione dei conflitti, mobilitando una vasta gamma di mezzi e di strumenti, tanto civili che militari. A questo scopo si è deciso di rendere permanenti le strutture politiche e militari per la gestione della politica di difesa europea, che fino al Vertice di Nizza avevano un carattere provvisorio.
In particolare sono stati istituiti, in forma permanente, il COPS (Comitato politico di sicurezza), il CM (Comitato militare) e lo Stato maggiore militare (EM). Peraltro, il Consiglio affari generali del 22 e 23 gennaio 2001, nel confermare e formalizzare queste scelte, ha inoltre deciso, per quello che riguarda gli aspetti di cooperazione UE/NATO, che il Consiglio della NATO e il Comitato politico e di sicurezza dell'UE si incontreranno almeno tre volte nel corso di ciascuna Presidenza europea e che vi sarà almeno una riunione ministeriale per ogni semestre. Le indicazioni emerse dal Vertice di Nizza hanno pertanto posto l'esigenza che l'Europa sappia sviluppare con chiarezza la politica di difesa nel quadro istituzionale definito ad Amsterdam per la politica estera e di sicurezza comune, evitando che si affaccino o si consolidino tendenze opposte. Ma perché l'uso degli strumenti operativi sia effettivamente possibile e si inquadri in una più ampia strategia di prevenzione dei conflitti e di costruzione della pace e della stabilità, è necessario che l'Unione rafforzi le proprie istituzioni comuni e la propria capacità di decidere unitariamente.
Le istituzioni dell'Unione debbono divenire insieme più efficienti e più democratiche, capaci di assicurare la guida e il controllo delle operazioni di pace e gestione delle crisi e, soprattutto, definire una politica estera comune a livello europeo. Se questo è il cammino istituzionale compiuto dalla difesa europea, non c'è dubbio che la spinta politica è venuta dalla vicenda del Kosovo e delle relative operazioni militari del 1999. In altre parole dalla constatazione dell'incapacità dell'Europa di prevenire e di far fronte al verificarsi dei conflitti gravi ed estesi dello stesso continente europeo senza il diretto, determinante intervento degli USA. Una tale situazione pone da un lato sugli Stati Uniti una responsabilità di carattere globale, per qualsiasi tipo di evenienza che non sempre l'America può avere la disponibilità o la volontà di assumersi. Dall'altra pone l'Europa nelle condizioni di dovere di fatto dipendere dagli USA sulle modalità e sulle gestioni dell'intervento di ristabilimento e mantenimento della pace. Intendiamoci, un'operazione aerea come quella del Kosovo, la forza di intervento rapido europea probabilmente non sarebbe in grado di compierla.
Ma speriamo proprio che non ci sia più bisogno di porsi questo problema. Le mutate condizioni politiche dei Balcani vanno salutate positivamente. Invece una missione come quella "Alba" compiuta in Albania nel 1997 da undici paesi europei a guida e con la determinante partecipazione italiana (l'unica, finora compiuta senza la diretta partecipazione USA) sicuramente potrebbe essere compiuta dalla Forza di Intervento Rapido Europea ma anche altre più complesse missioni di peace-keeping lo potranno, secondo le modalità che verranno qui descritte e trattate dagli esperti che qui prenderanno la parola. Sorge naturalmente subito un problema: quale sarà il rapporto tra la Forza di intervento Rapido Europeo e la Nato.
Nella Nato, già col vertice di Berlino dell'Aprile del 1996, si era affermato il concetto della IESD, di una identità di difesa e di sicurezza europea non separate ma separabili. In altre parole di strutture Nato utilizzabili dai soli europei. Con l'occasione si sono sviluppate naturalmente molte discussioni sul fatto che la Forza d'intervento rapido europea sia o meno autonoma della Nato. Se si pensa peraltro che la forza di intervento rapido europea chiede di poter disporre automaticamente dei meccanismi di pianificazione della Nato - possibilità per ora negata dalla Turchia - si ha la misura di quanto queste discussioni siano più di carattere ideologico che di carattere pratico.
Il problema è costituire la forza di intervento rapido europea e di darle credibilità. Poi, se del caso, la teorizzeremo. E' l'occasione insomma di creare una vera e propria cultura europea della difesa, e con essa l'obiettivo di costruire un mondo in cui non vi è solo una superpotenza ma anche entità regionali (leggi continentali) in grado di dare un contributo ad un mondo più giusto e più pacifico. L'Europa è un esempio speriamo contagioso di come un continente percorso dalle guerre e dai conflitti possa risolvere i suoi problemi con la cooperazione e l'integrazione ed assicurarsi cinquanta anni di pace. In tal senso la Forza di intervento rapido europeo può essere uno strumento a disposizione delle necessità di peace-keeping dell'ONU. Non si tratta di agevolare un decoupling nella sicurezza tra USA ed Europa.
Al contrario. Una più equilibrata partnership atlantica tra Europa e Stati Uniti rafforza e non indebolisce l'Alleanza Atlantica. Essa è necessaria anche per un'altra ragione, e cioè che l'Europa non può accettare decisioni unilaterali USA sul sistema di difesa antimissilistico. Non si tratta nemmeno di costruire una nuova superpotenza né di sostituire agli antichi nazionalismi dei singoli paesi un nazionalismo europeo. Si tratta di dare all'Unione Europea una missione politica di cooperazione e di stabilizzazione, quella stessa per la quale l'Europa si è costituita. Vi è uno stretto legame tra lo sviluppo della politica europea di difesa e quello delle istituzioni europee e lo sviluppo dell'Unione Europea tout-court. Va creata infatti un'ampia base di consenso politico, sia interno che internazionale, per l'utilizzo degli strumenti a disposizione dell'Unione europea.
Per questa ragione, è opportuno individuare forme possibili di coinvolgimento, fin dall'inizio, anche dei Paesi candidati all'adesione, sia dal punto di vista politico che da quello più strettamente operativo in funzione di supporto a iniziative dell'Unione. E' opportuno a tal fine far riferimento all'esperienza di altre istituzioni (quali, ad esempio, la Partnership For Peace della Nato). Infatti l'Unione, se paragonata alle altre istituzioni di sicurezza europee - con l'eccezione delle istituzioni transatlantiche (Nato) - ha un compito di maggiore responsabilità e rilevanza.
Essa accomuna in sé sia le politiche e i meccanismi di prevenzione dei conflitti (aiuti economici, Patto di stabilità, rafforzamento dei sistemi democratici) che quelli per la loro risoluzione (diplomatici ed economici e, in un futuro ormai vicino, anche militari). Si tratta pertanto di dare una coerente e adeguata base istituzionale a queste crescenti responsabilità dell'Unione. Peraltro, l'assunzione di maggiore responsabilità da parte dell'Unione nel campo della sicurezza richiede una chiarificazione della complementarietà tra Nato e UE, che deve essere espressa non soltanto nei principi, ma anche nella pratica, specialmente per quanto riguarda le missioni "fuori area". Da tutte queste premesse, emerge con forza la considerazione che lo sviluppo della dimensione europea di difesa e sicurezza comune pone anche una essenziale questione legata alla sua "democraticità" ed alle possibili forme di "governance parlamentare" dei diversi fenomeni ad essa collegati. Il controllo parlamentare sulla "funzione difesa", che appare attualmente ancora in una fase di piena evoluzione, è l'unico in grado di fornire elementi di garanzia ai processi avviati ad Helsinki, poiché questi, al momento, si stanno sviluppando quasi esclusivamente ad un livello intergovernativo. Al contrario, è compito essenziale dei Parlamenti, e delle istituzioni rappresentative in generale, seguire con attenzione tali processi e favorire ogni possibile forma di cooperazione per il raggiungimento dell'obiettivo di una convergenza delle politiche nel campo della sicurezza e della difesa, che presuppone anche la rinuncia, da parte dei singoli Stati nazionali, ad una parte della propria sovranità in uno dei settori tradizionalmente loro riservati. Di questi argomenti si è discusso, ad esempio, in una recente riunione svoltasi a Parigi presso l'Assemblea Nazionale francese, il 20 e 21 dicembre 2000, dove i Presidenti delle Commissioni difesa dei Parlamenti degli Stati dell'Unione si sono incontrati per la prima volta per affrontare, collegialmente, il tema del ruolo delle istituzioni parlamentari nel processo di creazione di un sistema comune di difesa europea.
In quella occasione si è ribadita, tra l'altro, l'importanza di rafforzare la dimensione parlamentare (che è, per sua natura, strettamente legata al principio di democraticità e trasparenza) del processo in atto. Una seconda riunione l'abbiamo svolta tra il 12 ed il 13 febbraio a Stoccolma sotto presidenza Svedese. Ormai questi appuntamenti stanno diventando regolari ed assumeranno cadenza semestrale. Non si tratta di iniziative alternative a quelle che potranno venire al Parlamento Europeo. Si tratta di un primo, importante segnale di attenzione e di intervento da parte di chi, come il Parlamento rappresenta un elemento essenziale di controllo democratico. Per tali motivi, appare decisivo il ruolo che i Parlamenti nazionali possono giocare in questo processo, come è emerso in particolare in Italia nel corso dell'ultima legislatura, che ha registrato una serie di rilevanti innovazioni nel campo della difesa, con una intensa attività parlamentare finalizzata all'adozione di una serie di scelte che hanno avuto un impatto diretto sull'ordinamento interno.
Tali scelte, avviate al fine di adeguare il Paese alle sfide che si presentano di fronte alla progressiva messa in opera della PESC, si sono poste l'obiettivo di favorire un riavvicinamento delle politiche interne in materia di difesa e sicurezza rispetto ai sistemi degli altri Stati membri. Un primo profilo ha riguardato il controllo e l'indirizzo parlamentare in materia di partecipazione alle specifiche iniziative di peace-keeping in ambito internazionale, in un contesto caratterizzato da situazioni crisi che hanno chiamato in causa l'Italia in ragione della sua partecipazione al sistema di alleanza atlantica, ma non solo.
In questi casi, il Parlamento ha operato svolgendo alternativamente un ruolo deliberativo, per il finanziamento delle missioni militari di pace avviate in seguito allo scoppio delle crisi, e un ruolo "orientativo", per gli aspetti politico-militari delle missioni stesse. Nelle nostre Costituzioni si parla delle dichiarazioni dello stato di guerra, ma non si tratta delle decisioni in tema di partecipazioni a missioni internazionali di peace-keeping. In tale ambito sembra opportuno segnalare anche la recente risoluzione approvata dalla Commissione difesa della Camera, votata nel gennaio 2001, che ha definito precisi indirizzi e procedure per il Governo in caso di utilizzazione di contingenti militari italiani per la partecipazione a missioni internazionali di pace e stabilità regionale. Un secondo profilo ha invece interessato il versante legislativo, nel quale importanti innovazioni sono state introdotte, grazie soprattutto al contributo del Parlamento. Il nostro Paese ha infatti scelto di adottare una serie di riforme decisive nel settore della difesa, che spingono il Paese verso una convergenza delle politiche di difesa a livello europeo. L'opera di riforma avviata in Italia è cominciata con la nuova legge sui vertici militari, approvata su impulso determinante della Commissione difesa della Camera, come primo passaggio essenziale per la successiva riforma strutturale delle Forze armate, che ha delineato una catena di comando più diretta e semplificata rispetto alla disciplina precedente, anche in vista delle modifiche ordinamentali che si renderanno necessarie con la creazione della Forza europea di intervento rapido. Una scelta di rilievo ha poi riguardato la riforma del servizio militare.
Il Parlamento italiano ha infatti recentemente approvato la legge che prevede, nell'arco di un periodo di transizione settennale, la progressiva professionalizzazione delle forze armate e l'abolizione del servizio di leva obbligatorio, inserendosi così nel quadro di un contesto europeo già consolidato. La opportunità di adeguare l'ordinamento italiano agli standard adottati dagli altri partners comunitari ha inoltre contribuito all'istituzione del servizio militare femminile su base volontaria.
La nuova legge approvata dalle Camere ha consentito anche in Italia l'inserimento delle donne nelle Forze armate. (e di cui mi onoro di essere il primo firmatario). Queste iniziative testimoniano, da un lato, la forte determinazione che il Parlamento italiano ha avuto nel rafforzare i momenti di convergenza a livello sovranazionale e, dall'altro, la volontà di garantire il più possibile il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nelle decisioni politiche da assumere in materia di sicurezza e difesa. Infatti, l'Europa che sorge a seguito del Vertice di Nizza, più decisamente caratterizzata in senso politico sui temi cruciali della politica estera e di difesa, richiede la capacità di valutare la coerenza complessiva del disegno di difesa e sicurezza comune ed individuare una precisa strategia per il futuro.
In tal senso, è necessario che un ruolo di rilievo, anche e soprattutto nelle fasi della programmazione, sia attribuito alle istituzioni rappresentative operanti ai vari livelli di autonomia, che nell'esercizio delle loro funzioni democratiche possono contribuire alla realizzazione degli obiettivi di lungo periodo. Si raffigurava l'Europa del mercato comune come un "principe triste" senza scettro, senza moneta, senza spada. Oggi la moneta c'è, domani ci sarà la spada e allora dopo domani anche lo scettro. Occorre in particolare spiegare all'opinione pubblica le opzioni che si aprono nella nuova prospettiva di difesa comune europea, chiarendone i significati, le opportunità, il valore, i vantaggi.
In questo ambito, si potrà dispiegare il ruolo di legittimazione democratica dei Parlamenti, coniugando il principio della efficacia decisionale con quello della legittimità democratica delle istituzioni. L'augurio è che, dalla Conferenza internazionale organizzata a Firenze, possano emergere elementi che spingano in questa direzione, nella consapevolezza che il processo che si è aperto ad Helsinki è lungo e difficile: se l'Europa sarà in grado di rafforzare la sua proiezione esterna e costruire una efficace politica estera comune, le sfide per il futuro potranno essere risolte con successo".