Anche la Toscana ha avuto i suoi campi di concentramento durante il buio periodo dell'Olocausto; i più grandi erano situati a Bagno a Ripoli, a due passi da Firenze, e a Civitella Val di Chiana, in provincia di Arezzo. Proprio queste due località sono state prescelte per ospitare le due manifestazioni che hanno onorato nella nostra regione la Giornata della Memoria; alla prima ha partecipato il presidente Claudio Martini, alla seconda, in rappresentanza della giunta, l'assessore Tito Barbini. Martini ha ricordato la petizione, firmata con ottanta Comuni, che chiede di riaprire le inchieste sulle stragi - 280 con 4500 vittime civili - perpretrate nella sola Toscana dai nazi-fascisti fino al 1945, e di celebrare sia pure in ritardo i processi ai responsabili.
"E' l'unica strada per una autentica
riconciliazione - ha sostenuto - che si basi non sull'abbandono del ricordo,
mettendo vittime e carnefici sullo stesso piano, ma su una memoria vissuta e
cosciente di quanto accaduto, nella quale può davvero trovare posto la giusta
piet… per tutti. Altrimenti, come è scritto all'ingresso di Auschwitz, Chi
ignora la storia Š condannato a riviverla".
Nell'altra cerimonia, Barbini ha ricordato che la storia rappresenta lo
strumento di comprensione per gli avvenimenti odierni.
"Quando ciascuno
di noi, singolarmente o collettivamente, vede crescere il male - ha sostenuto
- deve denunciarlo, combattendo dentro di s‚ ogni sia pur minimo segnale di
intolleranza e disprezzo per gli altri.Questa Š la lezione che abbiamo appreso
dalla Shoa; oggi applicabile a scontri sanguinosi legati a tentativi di pulizia
etnica come nella vicina ex Jugoslavia, o a ogni rigurgito xenofobo nelle
strade dell'Europa".
«Credo che tutti quanti abbiamo colto quanto di particolarmente rilevante vi fosse nel provvedimento di legge approvato dal nostro Parlamento -ha affermato il consigliere dei DS, Giorgio Bonsanti durante la seduta odierna del Consiglio comunale- che istituisce il Giorno della Memoria.
Questo provvedimento reca per prima la firma di Furio Colombo, ebreo, e vi fa seguito quella di un parlamentare dell’opposizione, se non sbaglio, appartenente ad Alleanza Nazionale. E’ stato difatti approvato all’unanimità, e per una volta il nostro Parlamento ha dato conferma di aver saputo trovare il comportamento adatto, il che tutto sommato lascia sperare anche per il futuro del nostro Paese nel dopoelezioni, quale che possa esserne a suo tempo il risultato. La giornata della memoria è stata osservata nelle scuole, e nei luoghi ove ha sede la società civile, a mezzo di iniziative di vario genere.
Esse hanno richiamato in primo luogo la tragedia del cosiddetto Olocausto, un’espressione che non mi è mai piaciuta molto per quanto contiene di non immediatamente percepibile, poiché si trattava in realtà dello sterminio del popolo ebreo in quanto tale. Ma anche, pure se i numeri sono inferiori, degli zingari in quanto tali, degli omosessuali in quanto tali, degli oppositori al nazismo in quanto tali. Non voglio che vi siano equivoci, per quanto mi riguarda. Sterminio è anche quello disposto da Stalin nei confronti di intere classi sociali della sua nazione.
Il mio concetto di memoria muove dai campi di concentramento, ma comprende anche le foibe. Esso si applica ovunque l’uomo abbia dispiegato quel lato nero della propria personalità, che lo fa essere più feroce di qualsiasi altro soggetto esista in natura. Alcuni di questi buchi neri dell’essere uomo sono recenti e molto vicini a noi, nella ex Jugoslavia. Altri stanno accadendo oggi, mentre noi siamo riuniti qui, in altre parti del mondo, e consistono nell’assassinio di massa. Ieri, in Algeria, venticinque cittadini, fra cui come di consueto donne e bambini, sono stati sgozzati dagli integralisti islamici, il che, si badi bene, non vuol certo dire l’ISLAM, ma vuol dire la negazione dell’ISLAM.
Del resto, l’agghiacciante affermazione: “Uccidiamoli tutti, Dio poi riconoscerà i suoi” è stata pronunciata da chi si proclamava cristiano. E’ dunque soltanto l’esercizio della memoria che potrà salvare l’uomo da se stesso, da quei suoi lati peggiori che appartengono anch’essi alla sua natura, che potrà farlo esitare di fronte alla ripetizione di infamie innominabili. E’ la memoria la condizione per richiamarlo se non altro ad un barlume di patto sociale, ad un discorso di convenienza, se non altro; noi tutti riteniamo che convenga limitare al massimo le proprie malvagità, perché comunque a lungo andare i vantaggi superano gli svantaggi.
Della memoria abbiamo necessità come del pane che mangiamo. Noi siamo, oggi e qui, un concentrato di memoria, il risultato di un accumulo di memoria. Da sempre, la trasmissione delle conoscenze, intese nel senso più ampio, è stata il tramite e la condizione della crescita di ogni civiltà; addirittura la memoria, se non altro in senso biologico, appartiene anche agli animali e alle piante. Noi uomini vi aggiungiamo l’esercizio della nostra mente, del raziocinio, della possibilità che ci fu data alle origini di distinguere il bene dal male; e questo trasmettiamo ai più giovani di noi, perché un patrimonio di conoscenze è tale soltanto se lo condividiamo e sappiamo metterlo a frutto.
Il giorno della memoria si ripeterà, ma si sarà dimostrato efficace soltanto se ogni giorno e ogni ora che noi quotidianamente viviamo, saranno per noi, per le nostre famiglie e per i nostri amici, per la società più ristretta o più ampia che ci circonda, il giorno e l’ora della memoria. Se la memoria individuale saprà e potrà rapportarsi ad una memoria collettiva, nella quale quella individuale sa e deve inserirsi. E’ stato detto che chi non ricorda il passato è condannato a riviverlo, e noi non vogliamo rivivere gli stermini e i campi di concentramento.
Un tempo qualcuno riteneva che l’uomo fosse buono per natura, e che le sue malvagità derivassero da difetti di conoscenza. Noi temiamo oggi che le cose non stiano proprio così, ma sappiamo che la condizione per evitare il ripetersi delle malvagità e delle infamie sta nel portarle alla luce, nello smascherarle, nel gridarle al cospetto del mondo, nel cercare di destare l’unanime ripulsa di chiunque venga a conoscerle, nel fomentare i moti di incredulità e di ribrezzo che certe cose siano potute accadere, siano veramente accadute.
Ai più giovani di noi dobbiamo raccontare tutto, e porre le condizioni perché quanto abbiamo raccontato venga ricordato. Dobbiamo poi suscitare in ognuno lo spirito critico, l’ansia di sapere, il gusto della ricerca della verità; dobbiamo far sì che la storia umana sia il campo in cui si traduce e si esercita quella capacità di distinguere il bene dal male che ci fu data alle origini. Nel giugno del 1968, studente impegnato nella tesi di laurea, visitai una ridente cittadina a pochi chilometri a nord di Monaco di Baviera.
All’ingresso nel paese, si veniva accolti da un’insegna colorata e graziosamente decorata: “Benvenuti a Dachau, vecchia di dodici secoli”. Soltanto la memoria avrebbe potuto salvare il visitatore in una circostanza del genere, contro questo subdolo tentativo di cancellarla, così come subdoli erano i prati ridenti e le linde casette che lo accoglievano una volta varcato il cancello d’ingresso. Chiunque potrebbe condividere l’affermazione che “Il lavoro rende liberi”, se non sapesse e non ricordasse in quali altri contesti questa frase sia stata utilizzata.
Termino queste brevi parole. Che la memoria sia la condizione e il presupposto per qualsiasi studio della storia e per formarsi autonomamente le proprie convinzioni. Che ogni giorno sia quello della memoria, ma che, quando questo giorno annualmente ricorre, le Amministrazioni pubbliche sappiano prendere le iniziative adeguate alla straordinaria importanza di questo tema. Che i giovani vengano educati alla memoria, perché è questo il patrimonio più prezioso che possiamo trasmettere loro. Che nessuno si rifugi nel comodo alibi della perdita della memoria.
Che la memoria, ora e sempre, appartenga a tutti noi».