La parola ai maestri, ad artisti che hanno creato una "scuola", che hanno fatto dei propri itinerari creativi un percorso costante e coerente di ricerca, raccogliendo intorno a sé compagni di viaggio e giovani energie. Questo il senso e lo spirito della sesta edizione dei Percorsi Internazionali, la sezione del Festival d’Autunno tradizionalmente curata dall’ETI, che anche quest’anno si snoda tra Roma, Firenze, Bologna e Napoli.
A Firenze i Percorsi inaugureranno, come di consueto, la Stagione di Prosa 2000/2001 del Teatro della Pergola con lo spettacolo Gaudeamus 19 improvvisazioni dal romanzo Battaglione di costruzione di Serguei Kaledin.
adattamento e regia di Lev Dodin, prodotto da Maly Drama Teatr San Pietroburgo Teatro d’Europa martedì 3 e mercoledì 4 ottobre alle ore 20.45.
Giorgio Strehler diceva: "È l’unico di cui temo davvero la rivalità". Lev Dodin lo racconta come uno scherzo, ma pare che il maestro italiano facesse sul serio. In effetti, il regista russo si è conquistato negli anni un posto di assoluto rilievo nella storia del teatro europeo. Cresciuto alla scuola severa di uno dei più fedeli allievi di Stanislavskij, Dodin ha fatto del "metodo" e della sua personale rilettura il centro di un suo percorso creativo, dove la pedagogia ha sempre svolto un ruolo non ancillare.
Negli anni, la poetica di Dodin si è andata rafforzando in direzione della difesa di un teatro dei sentimenti, capace di contrastare la velocità e la pochezza linguistica dei tempi: "Il secolo dei computer ha insegnato l’espressione laconica e fin troppo esatta - ha dichiarato recentemente il maestro siberiano - Ma la natura dell’uomo è imperiosamente cangiante e tempestosa. E il vero teatro ci vendica: siccome le grandi emozioni restano fondamentali e tutti, in fondo, siamo alla ricerca dei sentimenti importanti, un teatro vivente toccherà il cuore di ogni essere umano".
Gaudeamus, lo spettacolo che sarà presente all’interno dei Percorsi Internazionali, è senza dubbio il simbolo di questo teatro vivente, in grado di scuotere ogni platea. Una distesa obliqua di neve; uno ad uno i militari invadono questa scena bianca, per essere immediatamente risucchiati dal terreno. Le buche inghiottono i corpi. È un inizio lancinante, che lavora su immagini incandescenti, capaci di farsi portatrici di un’ambiguità poetica e teatrale.
Sempre in bilico tra commozione e riso, lo spettatore è catapultato sul palcoscenico, dove segue questa parodia sensibile della vita miliare assecondandone di volta in volta gli umori spietati e demolitori, ma anche gli accenti più umani.
L’uso spericolato del corpo in danza si fonde con un montaggio sonoro strepitoso, che va dalle note della Carmen (che accompagna una sanguinosa corrida) all’Ave Maria di Schubert, dal minuetto di Boccherini ai Beatles passando per Jacques Brel che regala un valzer scivolato e degenerato in marcia. Ogni scena si ribalta nel suo contrario, rivelando un meccanismo compositivo che funziona per continui rovesciamenti e cambi di registro. Diviso in diciannove improvvisazioni, lo spettacolo alterna pieni e vuoti.
Si passa dall’iniziazione alla vita militare, fatta di insulti, umiliazioni, promesse di congedo a quelli che si metteranno a pulire i bagni, a momenti più lievi e romantici.
La danza accompagna i passaggi estatici, i collassi, gli squarci onirici, ma anche le scene di massa, i passi militari e ridicoli. Paragonato a Full metal jacket di Kubrick, Gaudeamus sviluppa il tema della vita militare in tempo di pace (in primo piano, infatti, le esercitazioni di un battaglione dell’Armata Rossa), insistendo in particolare sulla spaventosa identità tra vita militare e vita civile, allineate sul piano dell’ingiustizia e della demenza.
Punto di partenza è un romanzo di Kaledin, Battaglione di costruzione, censurato anche in anni di "glasnost", per la satira (dai tratti gogoliani) a tutti i sistemi totalitari e corrotti, dove la delazione e la prevaricazione regolano i comportamenti tra questi uomini preparati per le guerre vere e quelle psicologiche. Intelligentemente, Dodin non sviluppa un discorso manicheo e astratto che distingue il bene dal male, convinto della responsabilità di ciascun uomo nella legittimazione dei più biechi istinti: "Se prima attribuivamo ogni responsabilità al regime che ha formato la gente, oggi sappiamo che sono anche le persone a formare un regime, e che ciascuno crea il proprio regime e la propria storia.
In passato si dava ogni colpa al sistema. Ma il sistema è in noi, nell’uomo. Questo abbiamo scoperto".
Lev Dodin nasce nel 1944 in Siberia. Allievo di uno dei più fedeli seguaci di Stanislavskij, dedica gran parte della sua attività artistica all’insegnamento, formando una delle compagnie teatrali più solide, il cui lavoro ruota attorno al culto dell’insieme e di un alto artigianato.
Nel 1974 dirige per la prima volta la compagnia Maly in un allestimento di The Robber di Karel Chapek.
Nel 1983 ne diventa il direttore artistico. Nel corso degli anni, mette in scena Fratelli e Sorelle di Fëdor Abramov (il suo esordio come direttore artistico del Maly), Il signore delle mosche di William Golding, I demoni di Fëdor Dostoevskij, Desiderio sotto gli olmi di Eugene O’Neill, La brocca rotta di Heinrich Kleist, Il giardino dei ciliegi e Platonov di Anton Cechov e Cevengur di Andrei Platonov. Molly Sweeney di Brian Friel è la sua più recente produzione con il Maly, presentata anche in Italia.
La compagnia del Maly, fondata e guidata da Lev Dodin, composta per la maggior parte da ex studenti, è nota in tutto il mondo; effettua tournée in più di 25 paesi in Europa, America, Asia e Australia. La stretta correlazione tra il Maly e la scuola teatrale (Dodin è docente dell’Accademia Teatrale di San Pietroburgo) fa sì che la compagnia sia sempre animata da uno spirito giovane e sperimentale. Alcune produzioni, quali, appunto, Gaudeamus e Claustrophobia, hanno origine proprio dalle lezioni.
Per gli straordinari risultati ottenuti come regista e insegnante, Lev Dodin riceve molti premi e riconoscimenti nel suo paese e all’estero. Recentemente gli viene assegnato il Premio Europa per il Teatro - Taormina 2000.
Dalle motivazioni del Premio Europa per il Teatro - Taormina 2000
Allievo di uno dei più fedeli allievi di Stanislavskij, Lev Dodin, sceso giovanissimo dalla natia Siberia nelle capitali della vecchia Russia, ha dedicato la propria vita alla scuola, mai scissa dalla pratica, e di lì è partito formando una compagnia intesa come grande famiglia, con il culto dell’assieme e di un lavoro artigianale, ancora prima che il Maestro fosse chiamato nel 1983 a dirigere il Malij per farne un teatro guida di questa fine secolo.
Un culmine in questo senso è rappresentato dalla messinscena di un classico a lungo di fatto proibito come "I demoni" dostoevskiani, provati per tre anni e da nove puntualmente ripresi dal Maly in dieci ore di parole e di visioni da brivido, che già implicano un discorso sullo spirito rivoluzionario di un popolo fungendo da preambolo alla metafora dell’utopia suicida espressa da Andrej Platonov in "Cevengur", recente capolavoro scenico galleggiante sull’acqua, come la Commedia senza titolo di Cechov, tradotta da Dodin in una danza dentro il Novecento.
Su un piano di neve vive invece "Gaudeamus", primo degli spettacoli montati con i giovani della Scuola, satira dell’addestramento sovietico al servizio militare rimasto purtroppo di piena attualità, e parte del repertorio incentrato sull’uomo del nostro tempo che la compagnia propone al suo pubblico naturale. allargato a tutto il mondo, restituendoci il senso di un teatro necessario.