Sulla vicenda giudiziaria del delitto Calabresi non è possibile basarsi su intime convinzioni. Quando si parla di Giustizia vale soltanto il libero convincimento maturato dalla conoscenza profonda delle questioni dibattute in Tribunale.
Certo è che tutta la vicenda ha una impronta politica. Il commissario, quando fu ucciso, era responsabile dell'ufficio politico della Questura milanese. Adriano Sofri è stato condiderato il mandante proprio perché leader del movimento politico di Lotta continua.
E la campagnia difensiva animata negli ultimi anni dall'opinione pubblica di sinistra è stata un'iniziativa politica.
Perciò, comunque la si pensi, si deve dar atto a Sofri della coerente consapevolezza politica con cui si è assoggettato al dispositivo della sentenza, consegnandosi ai Carabineri che si sono presentati ieri alla sua porta.
Non altrettanto si può dire di Bompressi e Pietrostefani che, almeno per il momento, sembra abbiano deciso per la fuga. La loro scelta è umanamente comprensibile, ma dal punto di vista politico non si possono accettare le sentanze solo quando ci danno ragione.
Sofri dimostra di saper bene che la Giustizia è un fondamento della Società civile come la Politica. O si accetta di farne parte, assumendosene i rischi, oppure è meglio starne alla larga. Per non "beffare", come stanno facendo i due latitanti, quanti si sono spesi politicamente per la loro causa.