Tornano gli arazzi nella Sala dei Duecento di Palazzo Vecchio per la Conferenza sul "Riformismo nel XXI secolo".
Si tratta di due dei venti arazzi che ornavano le pareti della Sala quando Cosimo I, e dopo i suoi eredi, ospitava a Palazzo Vecchio i Capi di Stato e di Governo. Un'occasione che si ripete il 21 novembre, quando proprio la Sala dei Duecento si trasformerà nel 'Salotto' per le delegazioni ufficiali. Lunedì i due arazzi verranno nuovamente smontati e torneranno in deposito, in attesa del restauro completo dei dieci rimasti patrimonio di Firenze.
L'esposizione nel salone dei Duecento dei due arazzi medicei è un'occasione eccezionale per avere un'immagine, anche se parziale, dell'imponente complesso decorativo ispirato alle Storie di Giuseppe che ai primi del Cinquecento fu voluto da Cosimo I a dimostrazione dell'affermato potere mediceo sulla Città di Firenze.
Solo in occasione delle grandi Mostre Medicee del 1985 il pubblico ha potuto ammirare integralmente ricostituito l'apparato decorativo del Salone, recuperando dai depositi della Soprintendenza i venti arazzi che lo componevano. Di questi, dieci oggi sono al Quirinale e dieci presso l'Opificio delle pietre dure di Firenze che ne sta effettuando il restauro (per cinque è già stato completato, uno è in fase di restauro, quattro sono in deposito).
L'arazzeria fiorentina, fondata da Cosimo I de' Medici nel 1545, ebbe una notevole produzione fino alla sua chiusura nel 1774 e fu l'unica in Italia a durare per due secoli.
L'occasione di creare a Firenze una manifattura di arazzi venne offerta a Cosimo I dal mercante fiorentino Bernardo Saliti che informò il Granduca sul desiderio di alcuni arazzieri fiamminghi, suoi amici, di trasferirsi a Firenze portando al loro seguito fino a 60 lavoranti e disponibili ad istruire nel mestiere i giovani del luogo. Trascorsi solo sette mesi dalla proposta, nell'agosto del 1545, Giovanni Rost, il maestro principale dell'impresa, era già arrivato a Firenze e Cosimo I divenne il mercante-imprenditore della manifattura, impegnando i capitali necessari al suo avvio e garantendone i necessari sviluppi commerciali.
I contratti con le botteghe dei due famosi arazzieri fiamminghi , Giovanni Rost e Nicola Kracher, furono sottoscritti il 20 ottobre 1546 e prevedevano l'insegnamento gratuito dell'arte, la priorità assoluta delle commissioni granducali e l'obbligo di tessere sulla cimosa dell'arazzo il marchio dell'arazziere e quello della città dove operava, a garanzia dell'autenticità del prodotto. Le due botteghe furono collocate rispettivamente nel giardino delle Sculture a San Marco e nei pressi dell'attuale Via de' Cimatori.
Tale lontananza fu voluta da Cosimo per mettere i due maestri in concorrenza fra loro e ottenere i migliori risultati. Nei primi otto anni la produzione delle due botteghe di Rost e Karcher venne destinata in massima parte al programma decorativo di Palazzo Vecchio, dedicato all'arredo delle antiche sale di rappresentanza del periodo della Repubblica. Per il Salone dei Duecento fu prodotto un importante gruppo di arazzi: la famosa serie delle storie di Giuseppe su disegni del Bronzino, del Pontormo e del Salviati.
Il tema biblico di Giuseppe tradito dai fratelli e dagli stessi benefattori, trasparente metafora dei Medici scacciati da Firenze e poi ritornati trionfatori, furono scelte perchè proseguivano il programma iconografico iniziato pochi anni prima con le Storie di Mosè, affrescate dal Bronzino nella Cappella di Eleonora, e con le stesse storie di Furio Camillo del Salviati.
Gli arazzi per la serie di Giuseppe furono tessuti con alta percentuale di filati preziosi, in seta, argento dorato e argento e con la raffinata tecnica dei "crapautages" che creano effetti di luce e di rilievo . Queste opere sono ricordate nel 1553 nella "Guardaroba segreta" dove Cosimo conservava i pezzi più pregiati delle sue collezioni e negli inventari del XVI secolo dove risultano quasi sempre in deposito. Il loro uso infatti era solo temporaneo, in occasione soprattutto di visite di re e sovrani, data la fragilità dei materiali con cui erano stati tessuti.
Dal 26 ottobre 1545 i pittori stavano già lavorando ai cartoni, tre dei quali furono eseguiti dal Pontormo, uno dal Salviati e gli altri sedici dal Bronzino, cui spetta il progetto complessivo della serie, per la quale disegnò anche le bordure. La serie degli arazzi, quasi sempre in Guardaroba, rimase unita fino al 1865 circa quando all'epoca di Firenze Capitale, dieci arazzi passarono a Palazzo Pitti in dotazione alla Corona e dal 14 luglio 1882 al Palazzo del Quirinale a Roma. Le Storie di Giuseppe, considerate fra i capolavori dell'arazzeria italiana sono state oggetto di numerosi studi critici.
I due esemplari esposti in questa occasione sono stati restaurati dal Laboratorio di restauro dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze negli anni 1992/1997 e grazie al rilevante contributo di sponsorizzazione della Cassa di Risparmio di Firenze.
Il quarto arazzo della parete sud della Sala dei Duecento rappresenta Giuseppe che interpreta il sogno del Faraone delle sette vacche magre che mangiavano le sette grasse. La figura con il cavallo, a sinistra in alto, versione moderna delle sculture antiche dei Dioscuri di Roma, è un riferimento alla grande tradizione rinascimentale, mentre la finestra che come un quadro si apre al centro dell'arazzo deriva dai contemporanei arazzi fiamminghi.
Nel volto maschile con il turbante sulla destra potrebbe essere raffigurato il ritratto del Salviati.
Il sedicesimo arazzo della serie, secondo da sinistra della parete nord. Nella grande scena Giuseppe, solo con i suoi fratelli , gli occhi pieni di lacrime, si piega per farli alzare; tutti eccetto Beniamino, si tirano in dietro sbalorditi alla rivelazione della sua vera identità.