In comunità ci finiscono prevalentemente per motivi legati a situazioni di crisi o di condotta dei loro genitori, ma sono numerosi anche i bambini, soprattutto stranieri, che vi entrano per problemi abitativi e lavorativi della loro famiglia; molti vi resteranno a lungo, in media piu' di due anni, e una parte vi raggiungerà addirittura la maggiore età; solo una minima parte di loro - in genere i piu' piccoli - ne sarà dimesso per essere accolto in famiglie affidatarie e adottive, ma la maggior parte di loro riuscirà a rientrare nella propria famiglia e a frequentare la scuola o corsi di formazione.
Ecco alcuni degli elementi che emergono dalla ricerca "Le comunità residenziali e i minori ospiti in Toscana", realizzata dalla Regione Toscana e dall'Istituto degli Innocenti di Firenze, nell'ambito di una collaborazione avviata gia' da tempo.
Si tratta della prima ricerca che indaga la realta' di quei minori che per vari motivi - di abbandono e disagio sociale ed economico - sono costretti a trascorrere periodi piu' o meno lunghi in queste strutture.
Quanti sono
La rilevazione ha coinvolto 65 "presidi residenziali socio-assistenziali" toscani, tra comunità educative, comunità a dimensione familiare (due tipologie che rappresentano da sole circa il 40 per cento delle strutture sul territorio regionale), case della gestante e della madre con figlio, centri di primo accoglimento e altre realta'.
Sono strutture con una dimensione media piuttosto piccola, pari a 8.1 ospiti. Complessivamente i minori in comunità toscane erano 524 alla fine del 1997. Sulla base di una ricerca nazionale realizzata dal Centro di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza, la Toscana registrava un tasso di minori ospiti per mille abitanti fino a 18 anni di 1.3, minore del dato nazionale (1.5) e analogo a quello di altre grandi regioni del Nord quali la Lombardia e l'Emilia Romagna. In pratica, si ha all'incirca poco piu' di un minore in comunità ogni mille residenti.
Dietro questo dato globale, si registrano pero' forti variazioni provinciali. In cifre assolute la provincia di Firenze e' quella con un maggiore numero di minori ospitati (196 pari al 37.4 per cento), Pisa quella con meno (appena 6, l'1.1 per cento). In relazione ai minori residenti, la provincia con piu' alta densità e' Grosseto (valore doppio rispetto a quello regionale), seguita da quella di Firenze e Prato, mentre le province di Arezzo, Lucca, Massa Carrara e soprattutto Pisa hanno valori inferiori alla media regionale.
Chi sono
Il 56.2 per cento dei minori che nel 1997 sono entrati in comunità sono di sesso femminile.
Sempre piu' rilevante il numero dei bambini stranieri (su 236 minori entrati nel 1997 71 erano non italiani). Circa un minore su 5 ha gia' avuto, al momento dell'ingresso, altre esperienze in comunità. Quasi un minore su due non conosce il padre mentre la madre non è conosciuta "solo" dal 15.9 dei minori. Sono percentuali che crescono tra i minori stranieri, il 64.7 per cento dei quali non conosce il padre. I minori italiani, tuttavia, fanno registrare una percentuale di gran lunga maggiore con una potestà limitata o decaduta (si tratta del 60 per cento dei padri e del 50 per cento delle madri, contro il 25 per cento dei padri e delle madri straniere).
Ma la differenza più sostanziale tra italiani e stranieri sta nei motivi che portano all'ingresso in comunità. Complessivamente, infatti, i motivi principali sono la crisi delle relazioni familiari (33.5 per cento), i problemi abitativi (21), i problemi di condotta di uno o di entrambi i genitori (15), i problemi lavorativi dei genitori. "Il minore - si legge nella ricerca - viene collocato in comunità non tanto per motivi che attengono a lui stesso, al suo comportamento, bensì per motivi che riguardano i genitori o la famiglia nel suo complesso".
Infatti solo nel 5.2 per cento dei casi si tratta di un allontanamento spontaneo dalla famiglia, mentre in appena il 2.1 per cento dei casi siamo di fronte a un comportamento deviante del minore (ma c'e' da dire che anche il maltrattamento del minore, di cui tanto si parla, pesa solo per il 4.3 per cento). Tuttavia, mentre per i minori italiani i motivi che portano in comunità sono legati soprattutto alle situazioni di crisi dei genitori e alla condotta di questi ultimi, per i minori stranieri sono prevalenti i motivi legati a situazioni di disagio abitativo e lavorativo.
Non e' un caso che tra gli stranieri sia piu' alta la percentuale di genitori che concorrono alla decisione del collocamento in comunità (40 per cento contro il 30 per cento dei minori italiani). Ma c'e' anche un'altra differenza, rilevata dalla ricerca sulla base dei soggetti (servizi sociali, autorità giudiziaria) che intervengono per la decisione di inserimento in comunità: "Evidentemente il quadro di partecipazione e di attenzione che circonda il minore italiano che deve entrare e uscire dalla comunità e' maggiore di quello che circonda il minore straniero che deve fare altrettanto".
Da ricordare, infine, che il provvedimento dell'autorità giudiziaria di "allontanamento per condotta pregiudizievole dei genitori" e' decisamente piu' frequente nelle femmine e nei bambini piccoli fino a 4 anni: sono queste le categorie di minori piu' a rischio per il comportamento dei genitori.
Per quanto tempo
Le permanenze medie negli istituti, segnala ripetutamente la ricerca, sono "decisamente lunghe". Alla fine dell'anno ogni due presenti in una struttura non si registra che un ospite in uscita..
"Il divario - spiegano i ricercatori - assume vette patologiche in quella tipologia di presidio così frequente in Toscana, quale la comunità a dimensione familiare, in cui si ha appena un dimesso ogni tre presenti a fine anno". La qual cosa significa una permanenza media in queste strutture di circa tre anni. In generale, circa un ospite su due rimane in comunità piu' di un anno, 23 ospiti su cento vi restano addirittura piu' di tre anni, mentre solo un ospite su dieci ci resta meno di un mese.
La permanenza aumenta con l'aumentare dell'età e se il minore e' di sesso maschile.
Chi lascia gli istituti
Su cento minori dimessi 37 appartengono alla classe di età 14-17 anni e 22 alla classe di età 0-2 anni. Nelle altre classi di età si ritrovano sempre poco piu' o poco meno del 10 per cento dei dimessi (compreso un rilevante 11 per cento di non piu' minorenni). Insomma: le dimissioni sono piu' facili in età molto giovane o in età molto avanzata e comunque, sulla base dei risultati della ricerca, sembra "piu' complesso e problematico dimettere che non accettare un minore in comunità".
L'età media dei ragazzi dimessi e' di 10.3 anni (quella in entrata e' di 8.1 anni). Quasi un minore su due (il 47.1 per cento) rientra in famiglia, anche se coloro che ritornano dalla madre sono piu' numerosi di quanti ritornano con entrambi i genitori o con il solo padre messi assieme. Solo un 14.7 per cento viene dato in affidamento (10.9 per cento) o in affidamento produttivo (3.8 per cento). Come era prevedibile, si tratta soprattutto di bambini fra gli 0 e i 4 anni (lascia la comunità per questo motivo un bambino italiano su tre di quest'età).
Per l'88.9 per cento dei dimessi risulta predisposto un progetto educativo, correlato al quale il 73.8 per cento dei minori di almeno 6 anni frequenta una scuola o corsi di formazione. Se ne ricava che circa un minore su 4 - il 26.2 per cento - in età di frequentare la scuola non la frequenta. Altri casi di dimissione: per l'8.2 per cento e' dovuta alle difficoltà di inserimento nella comunità, il 10.5 al raggiungimento della maggiore età.