Atto di accusa di Fink contro l’iniziativa di sabato scorso

La lettera del presidente della Comunità Ebraica contro il presidente Milani, sfiduciato anche dai suoi vicepresidenti

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
28 febbraio 2024 14:52
Atto di accusa di Fink contro l’iniziativa di sabato scorso

Il presidente della Comunità Ebraica Enrico Fink ha firmato una lettera in cui lancia accuse precise contro il presidente Luca Milani: un’intera comunità si è sentita offesa. Le sue parole , pur improntate a pacatezza e equilibrio, pesano come un macigno sulla Presidenza del consiglio comunale.

“Vi scrivo cercando, al meglio delle mie capacità, di interpretare sentimenti largamente condivisi nella generalità della Comunità che rappresento -inizia Enrico Fink- Passato il sabato, le cui regole ci impedivano di essere presenti all’evento del 24 febbraio scorso, abbiamo ascoltato la registrazione del convegno Pace e giustizia in Medio Oriente con un crescente senso di inquietudine e amarezza. Alla fine dell’ascolto, il sentimento prevalente era quello di profonda delusione per il percorso intrapreso con questo Consiglio, percorso che ci aveva visto anche partecipi nel co-organizzare il primo appuntamento.

Avevamo appreso e compreso da parte del Presidente del Consiglio Comunale il desiderio di articolare una riflessione sulla pace su più appuntamenti, concentrandosi via via su temi specifici - così avevamo voluto fare la nostra parte, uscendo dal ruolo proprio di una comunità ebraica che, come non ci stanchiamo di ripetere, non rappresenta parti in causa in questo o in altri conflitti, ma collaborando con l’associazione Italia Israele per portare a Firenze una coppia di persone impegnate da decenni sul campo per favorire dialogo e convivenza fra palestinesi e israeliani.

Era una scelta non scontata (come non era certo scontato per l'associazione Italia Israele portare al Comune di Firenze come relatori persone notoriamente all’opposizione dell’attuale governo); ma ci tenevamo a fare la nostra parte riconoscendo, o credendo di riconoscere, la volontà da parte del Consiglio di creare una riflessione degna della storia fiorentina, originale e davvero capace di costruire ponti di dialogo e comprensione reciproca.

Ecco dunque il motivo dell’amarezza e della delusione -spiega il Presidente della Comunità Ebraica di Firenze- Non certo perché si è parlato del dramma dei palestinesi, perché ancora una volta ribadiamo che com’è del tutto naturale ci stanno a cuore i diritti, la pace e la serenità di tutta la regione, di tutti i suoi abitanti, ebrei, cristiani o musulmani, israeliani o palestinesi, e la morte di qualunque essere umano ci crea angoscia indipendentemente dalla sua religione o cultura o nazionalità.

No, l’amarezza è cresciuta man mano che diventava sempre più chiaro che invece di cercare prospettive di pace si riproponeva per l’ennesima volta una sterile narrativa completamente di parte, volta non al riconoscimento delle aspirazioni e dei diritti di tutti, ma alla calunnia, al veleno non solo contro le scelte politiche di un governo, ma contro l’idea stessa dell’esistenza ebraica nella regione, portando avanti anche nel linguaggio la politica di rovesciamento delle responsabilità e della sostituzione delle vittime che spinge il campo anti israeliano ad assumere continuamente parole e concetti mutuati irresponsabilmente dalla Shoà – dall’uso della parola genocidio come fosse un sostantivo qualunque, fino, in una progressione che sarebbe comica se non fosse spaventosa, all’uso sistematico delle parole di Primo Levi fuori contesto, per arrivare in un tripudio di applausi della sala all’arruolamento nell’immaginario antiebraico della povera Anne Frank, a cui diciamocelo, mancava solo questo.

Gli applausi sono stati appunto un elemento significativo dell’amarezza provata: assistiamo da tempo a una deriva con cui una parte del mondo italiano, evidentemente seccata dal troppo parlare del fascismo e dei suoi crimini in questi ultimi vent’anni di Giorno della Memoria, si sente sollevato e quasi esilarato nel potersi finalmente sfilare dall’imbarazzante peso della ricostruzione delle proprie responsabilità collettive, e rovescia sulle vittime di ieri un mal digerito e mal diretto senso di colpa.

Niente di nuovo, ma non ci aspettavamo di trovare il Consiglio Comunale partecipe di questo processo.

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Ma ancora tutto questo, pur grave in un contesto di crescita rapidissima di episodi di antisemitismo sul nostro territorio nazionale e locale, non ci avrebbe spinto a scrivervi, oggi. Ciò che è veramente insostenibile per noi non come Comunità Ebraica ma più semplicemente come gruppo di cittadini che si era affidato a questo Consiglio e aveva pensato di partecipare a un percorso di riflessione sulla pace, è stato ascoltare la progressiva crescita nel Salone dei Cinquecento di una retorica di guerra.

Le affermazioni del professor Pappé, che invitano a gioire della imminente fine del regime rappresentato dallo Stato d’Israele, invocando un “fronte unico” del mondo arabo e, con frasi rilanciate da Francesca Albanese, la “rottura della diga” che porterà a un unico “stato di Palestina fra il Giordano e il mare”, stato dove (bontà loro) potranno avere cittadinanza anche quegli ebrei che non siano “i sionisti”, sono un concreto invito alla violenza.

Di più, sono l’antica e stantia retorica massimalista e trionfalista che, come Pappé ha ribadito, proclama “impossibile la pace” con Israele. Quelle parole, queste false idee di imminente vittoria e di rifiuto del compromesso e della pace non sono ammissibili nel consesso civile del Salone dei Cinquecento. Mentre il professor Pappé sparge odio dal suo esilio dorato in terra d’Inghilterra, a Gaza, in Israele, le persone muoiono. Il sangue scorre e parte della responsabilità morale è nei cattivi maestri che da troppo tempo incitano gli estremisti e mortificano e i veri pacifisti in entrambi i campi.

Che il Presidente del Consiglio Comunale abbia assistito silente a queste affermazioni, di più, abbia applaudito e stretto mani dando evidente sostegno alle parole espresse, è una vergogna verso le vittime palestinesi prima ancora che israeliane. Ognuno è libero di esprimere le sue idee, ci mancherebbe: ma in un contesto di poca e cattiva informazione sulla storia di quella regione, permettere che quelle parole malate fossero espresse senza nemmeno un commento, sotto una patina di finto pacifismo, ascoltate non solo dal pubblico in sala ma da centinaia e forse più di singoli e gruppi d’ascolto in tutta la città, applaudite e condivise senza comprenderne il portato di violenza, il portato di sangue – tutto ciò è una responsabilità gravissima.

L’entusiasmo con cui una parte della città, mal guidata e mal consigliata, ha accolto e accoglie queste parole che continuano a rimbalzare sui social del nostro associazionismo, ci fa sentire, per la prima volta da decenni, isolati, accusati, nemici quasi, nella nostra città.

Di fronte a simili avvenimenti, la più naturale reazione sarebbe chiudere rapporti e collaborazioni con gli organismi responsabili. Ancora una volta, la violenza verbale e ideologica di chi sotto falsa pretesa di pacifismo invoca in realtà la guerra, tende a tappare la bocca prima di tutto a chi la pace ha veramente nel cuore.

Qualche giorno fa, però, abbiamo appreso con sgomento un’altra, diversa notizia non direttamente collegata: la consegna a Stefano Jesurum a Milano di una lettera anonima minacciosa, che paventava il suo diventare “pietra d’inciampo” davanti al suo portone. Lo cito perché Jesurum è un esempio classico di persona impegnata nel dialogo e nel riconoscimento dei diritti di entrambe le parti nel conflitto israelopalestinese; e non è un caso che riceva queste minacce – sono gli operatori di pace i veri nemici degli estremisti.

E allora, per opporsi a questa deriva e anche in solidarietà a Stefano, crediamo non ci si debba ritirare dall’impegno. Anzi, si debba restare, tutti noi impegnati veramente nella pace, come “pietre d’inciampo”, come un disturbo nel fluire troppo facile delle parole d’odio e di violenza che, questa volta, hanno trovato casa anche purtroppo nelle stanze del nostro Comune. Pietre d’inciampo contro i cattivi maestri, per una prospettiva vera, indispensabile di pace”.

“L’antisemitismo non ha colore politico. Non possono essere ammesse omertà, silenzi complici, posizioni ambigue o mediazioni. E la lettera aperta mandata al presidente Milani e a tutto il Consiglio comunale dal presidente della Comunità Ebraica Enrico Fink, in questo senso, rappresenta una pietra tombale su polemiche e distinguo espressi dal presidente stesso e purtroppo anche dal partito di cui fa parte ieri in aula. Così come ci aspettiamo parole chiare contro ogni forma di antisemitismo dal sindaco Nardella.

In Consiglio comunale, tra lunedì e ieri, abbiamo, anche con azioni forti, voluto sollevare il nostro grido di dolore per quanto accaduto nel Salone dei 500 sabato scorso. Ieri, con un ordine del giorno, abbiamo anche chiesto al presidente Milani di valutare il proprio ruolo per aver permesso un tale scempio dentro Palazzo Vecchio; tutto il contrario di un’iniziativa di pace, ma al contrario una serie di dichiarazioni di guerra che i relatori hanno fatto a Israele e agli ebrei. Fin dall'inizio, assieme alla vicepresidente Felleca, ci eravamo opposti all'organizzazione dell'iniziativa e poi siamo stati costretti a dissociarci, di fronte alla pervicace volontà da parte del presidente di fare il convegno così come lo aveva pensato, senza la possibilità di interventi diversi da quelli dei relatori da lui chiamati a salire sul palco.

Ma alla luce delle parole di Fink, che rappresenta un’intera comunità di cittadini che sono una parte fondamentale della storia di Firenze e che si sentono oggi offesi e quasi stranieri nella propria città, ci sentiamo di andare oltre, consci del nostro ruolo istituzionale, e chiediamo a Milani, se ancora ha un briciolo di dignità, di dimettersi e permettere a chiunque possa davvero garantire l’imparzialità che il ruolo richiede di sostituirlo nella carica di presidente del Consiglio comunale.

Ci ha colpito, in questi giorni, soprattutto il silenzio che ha seguito non solo gli interventi incendiari applauditi da una folla entusiasta nel Salone, ma anche le accuse infamanti fatte al console onorario di Israele Marco Carrai sulla piattaforma su cui in centinaia seguivano il convegno. Un silenzio complice. La misura è colma. Firenze ha il dovere di dare un segnale chiaro contro l’antisemitismo. Ne va del suo onore di Città del dialogo e della Pace” dichiara il consigliere del gruppo Centro e vicepresidente vicario del Consiglio comunale Emanuele Cocollini.

“Mi ero già dissociata, insieme al Vicepresidente Cocollini, dall’iniziativa del 24 febbraio, ed in molte occasioni, in passato, avevo espresso le mie perplessità sull’adeguatezza di Luca Milani a rivestire la carica di Presidente del Consiglio Comunale, un ruolo che necessita della massima onestà intellettuale, imparzialità e rispetto per tutti, per garantire una corretta dialettica democratica.

Chiedo scusa alla Comunità Ebraica tutta, offesa dalle parole di istigazione e odio risuonate nel Salone dei Cinquecento rispetto alle quali il Presidente Milani ha dimostrato, con il suo silenzio e gli applausi, una inaccettabile tolleranza.

Vergognoso poi che, fino ad oggi, il Presidente Milani non abbia ancora chiesto scusa al Console Onorario Marco Carrai che durante l’evento del 24 febbraio scorso è stato offeso da chi ha scritto che riveste la carica di Presidente della Fondazione Mayer perché sionista.

Il Presidente Milani quell’evento lo ha voluto, ed a quanto ho potuto apprendere lo ha anche fatto utilizzando risorse pubbliche, e su questo ho già presentato separata richiesta di accesso agli atti.

Il Presidente Milani ha risposto a me ed al Vicepresidente Cocollini, lo scorso 20 febbraio, dicendo che Per il Consiglio comunale interverrò io e sono sicuro di poter rappresentare le posizioni equilibrate che sempre sono state tenute dal Consiglio comunale. No Presidente Milani. Decisamente Lei non ha rappresentato la mia posizione.

Ritengo che l’unico modo che abbiamo, come Consiglio comunale, di fare le nostre scuse più sincere per quanto avvenuto il 24 Febbraio scorso alla Comunità Ebraica fiorentina è presentare le dimissioni.

Il Presidente Milani lo faccia immediatamente, e con lui decadremo anche noi. È il minimo, e coltiviamo la speranza che stavolta non ci siano tentennamenti né inutili distinguo da parte di Milani e del PD che lo sostiene, sindaco Nardella in testa” dichiara Barbara Felleca, consigliera Italia Viva e vicepresidente del Consiglio comunale.

“Con l’esposizione della bandiera di Israele in aula lunedì scorso abbiamo dimostrato un fatto semplice: oggi dietro la parola pace si censura non solo una Nazione, ma un popolo, quello israeliano. Siamo per la pace, due popoli in due Stati. Quella portata avanti a Firenze, città di importanza mondiale, da parte del presidente del Consiglio Milani con l’organizzazione del convegno di sabato scorso, è una narrazione guerrafondaia e di parte. Mi viene da chiedermi: se avessi esposto la bandiera della Palestina, forse, i consiglieri PD avrebbero applaudito? Stavolta, invece di arrampicarsi sugli specchi, Milani e il PD ne prendano atto e si assumano le proprie responsabilità” dichiara il capogruppo e segretario provinciale della Lega Federico Bussolin.

"Abbiamo letto con dolore le parole del Presidente della Comunità Ebraica, perché esprimono sentimenti da rispettare, in una modalità che rischia davvero di creare isolamento -si sorprendono invece Dmitrij Palagi, Antonella Bundu di Sinistra Progetto Comune- Partiamo quindi da un punto chiaro: il nostro ruolo è quello di far dialogare le parti della città, di permettere alle idee di esprimersi, in modo da togliere aria e spazio a sentimenti di odio.

Al primo evento co-organizzato sono state pronunciate parole per noi offensive, nella parte finale, in riferimento in particolare al nostro gruppo consiliare, che non ha visto riconoscere nemmeno la dignità di essere nominato. Abbiamo però compreso che era il momento dell'ascolto e ci interroghiamo su come superarle.

Non abbiamo pensato per un momento di ritenere sterile il giudizio pesante ascoltato, anche se non ne condividevamo il contenuto, la forma, l'obiettivo. L'uso della parola genocidio è oggetto di misure cautelari adottate dalla Corte Internazionale di Giustizia, a seguito di una denuncia del Governo del Sudafrica, Paese che ha conosciuto il dramma dell'apartheid e a cui non si può rimproverare scarsa conoscenza dei temi legati alla discriminazione.

Parlare di tripudio di applausi e di immaginario antiebraico vuol dire scegliere un registro violento, per creare asimmetria, ostacolando il dialogo. La Comunità Ebraica di Firenze sa bene come i crimini del fascismo siano elemento di imbarazzo quando si discute di colonialismo italiano e antiziganismo.

Dov'è finito l'impegno comune quotidiano che pratichiamo nella nostra Città? Perché la Comunità Ebraica sceglie di confondere le forze antifasciste cittadine con il revisionismo dell'estrema destra?

Proprio il Presidente della Comunità Ebraica ha più volte ricordato l'importanza di non creare classifiche del dolore e delle tragedie. Il riferimento all'esilio dorato di Pappé è un altro elemento sorprendente, per la scelta delle parole. Una soluzione retorica usata nei confronti di tante figure, che nasconde meccanismi di odio e rancore. Non vogliamo fare esempi, perché renderebbero lo scambio ancora più doloroso.

Nel testo ricevuto si parla di cattivi maestri, di parole malate, di una cittadinanza mal guidata (quasi ci fosse un uso delle masse inconsapevoli). La Comunità sceglie di attaccare figure accademiche, realtà note per la loro storia antifascista, figure delle Nazioni Unite e un'intera parte del Consiglio comunale, spesso presente negli appuntamenti antirazzisti e in cui si ricorda la gravità dell'olocausto.

La guerra avvelena e ci sforziamo di capire come sia possibile un simile ribaltamento del linguaggio. Non rinunciamo comunque al dialogo. Non cadremo nella tentazione di rispondere a recriminazioni con recriminazioni.

Vogliamo impedire che questa lettera possa diventare un elemento che crea fratture, come invece sembra desiderare chi sta facendo chi la impugna per chiedere le dimissioni del Presidente del Consiglio. Perché Firenze è città anche della Comunità Ebraica, di tutte le comunità. Non abbiamo cattivi maestri a Firenze, ma solide tradizioni a sostegno della solidarietà tra i popoli. E il popolo palestinese sta subendo un massacro. Dirlo non implica nessuna giustificazione rispetto alle vittime innocenti del 7 ottobre. Subiamo parole violente da molto tempo. Ci feriscono. Ma le tragedie del Novecento ci hanno insegnato a prenderci cura delle nostre ferite provando a curare anche quelle di chi abbiamo intorno.

Prendiamoci cura delle nostre comunità, evitiamo anatemi. Siamo il gruppo consiliare che ha organizzato un evento sull'apartheid in Israele, che ringrazia il Presidente del Consiglio comunale e la Rete Pace e Giustizia in Medio Oriente per aver reso possibile la giornata nel Salone dei Cinquecento. Siamo lo stesso gruppo che ogni giorno si impegna nel contrasto all'antisemistismo e a ogni forma di razzismo. Che attraversa i movimenti dell'antifascismo e dell'antirazzismo sociale. Riteniamo estranee molte accuse sentite e riteniamo la lettera del Presidente pericolosa. Per questo ci sforziamo e sforzeremo ancora di più per rendere possibile il dialogo".

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