Si sono esibiti ieri sera in un’anteprima della stagione del Music Pool 2002 i Sabri Brothers e i Dervisci Roteanti Mevlevi. La serata offriva al pubblico la possibilità di ascoltare contaminazioni e cose originali che arrivano da Oriente. La contaminazione, la strada della multiculturalità, il futuro per la musica del mondo. L'appuntamento con i Dervisci Roteanti ad esempio è una delle esperienze emotivamente più coinvolgenti tra le realtà artistiche esportate e comunicate al pubblico europeo.
Nel rituale abiti e movimenti hanno una connotazione simbolica, indicando l'unione mistica col divino che si raggiunge attraverso la danza.
I fratelli Sabri sono originari del Pakistan, e sono famosi per l'intensità con cui interpretano il canto "qawwali", la musica devozionale dei musulmani di tradizione sufi. Sono considerati eredi del "Re del qawwali", Nusrat Fateh Ali Khan scomparso qualche anno fa. Nel 1990, Peter Gabriel li ha voluti alla sua etichetta, la Real World, per registrare "Ya Habib".
In apertura della serata invece il gruppo di musica sufi Fana accompagnato da dervisci roteanti.
La musica dei Fana nasce dall'incontro di mondi che interagiscono e non hanno paura di contaminarsi. Un progetto musicale con testi cantati in diverse lingue (arabo, inglese), e un linguaggio acustico accostato ad un più tecnologico (in scena ieri sera persino lo stick, l’avveniristico basso-chitarra). Sotto il palco i dervisci roteanti, una delle espressioni più belle della tradizione mistica mussulmana.
Il sema dei dervisci danzanti si è aperto con l'ingresso nell’auditorium fiorentino dei dervisci in preghiera.
I Dervisci, dopo l'approvazione del Maestro, hanno cominciato a ruotare su se stessi in senso antiorario. Ruotano senza posa sul perno di un piede, allargando sempre di più le braccia a formare un ponte simbolico attraverso il cuore, con il palmo della mano destra rivolto al cielo più in alto della mano sinistra con il palmo rivolto verso terra. Il cerchio dell'ampia gonna che, roteando, si schiude come una corolla, è la sfera del cosmo che si avvolge all'infinito intorno al centro dell'universo.
Lo scopo della danza (dhikr) è generare uno stato di estasi rituale e accelerare il contatto tra la mente del Sufi e la Mente Cosmica di cui egli si considera parte. Il danzatore diviene così il medium tra la terra ed il cielo. La danza viene diretta dal semazen che corregge i movimenti in modo impercettibile dall' esterno. Queste danze, secondo i Dervisci Rotanti, sono il loro modo per allontanare la mente da ogni contatto con le cose terrene e per far sì che le loro anime si allontanino dai corpi così da potersi riunire a Dio.
In Turchia la tradizione dei Dervisci (una parola persiana che significa "monaco implorante") Sufi rappresenta un alto sviluppo della particolare arte di comunicare con il divino attraverso la danza.
La confraternita dei Mevlevi (i Derviches tourneurs dei viaggiatori occidentali) sviluppò dal secolo XII a Konya una musica colta fondata sul sistema dei makam, modi analoghi ai maqam arabi, ai datsgah iraniani e ai raga indiani. La musica da sempre ha accompagnato in ogni cultura il percorso mistico dei suoi adepti.
Dai canti gregoriani, elemento primario della musica occidentale fino al XVI secolo, che echeggiando tra le navate delle nostre cattedrali, ci ha accompagnato per secoli, la musica ha la capacità di unire le anime, di avvolgerle, di trasportarle, di avvicinarle, di sollevarle; diventando addirittura strumento essenziale del rito, come nel caso dei "Dervisci danzanti". L'educazione di un derviscio è particolarmente ardua e consiste in 1001 giorni di penitenza e prevede il digiuno e la meditazione.
Per apprendere la loro danza, i Dervisci bloccano due dita del piede al pavimento; in questo modo essi imparano a mantenere regolare e disciplinata la loro rotazione. Mentre rotea il Derviscio appoggia il suo peso sul piede sinistro e, allorché la rotazione acquista velocità, sulle dita del piede sinistro, mentre la gamba destra dà slancio alla rotazione. Per evitare il capogiro, il derviscio tiene la testa leggermente inclinata verso destra e gli occhi fissi sul palmo della mano sinistra.
Ciascun aspetto della cerimonia Mevlevi ha un valore simbolico, a partire dai più piccoli dettagli degli abiti.
La lunga veste bianca del Derviscio rappresenta il suo sudario, il mantello nero la sua tomba, l'alto cappello cilindrico la sua pietra tombale. A mano a mano che i giri si fanno più veloci i lunghi abiti di discostano dal corpo dei danzatori e le loro braccia si distendono. Il percorso descritto dai dervisci sul pavimento della sala simboleggia i movimenti dei pianeti intorno al sole: ciascun derviscio ruota intorno al proprio asse e al tempo stesso si muove nella sala e il leader Semazen rappresenta il sole.
Il Sema è elaborazione dell’ecumenismo ante litteram di Celaddin Rumi, il poeta filosofo chiamato Mevlâna ("la nostra guida").
Contemporaneo di Francesco di Assisi, in qualche modo il saggio vissuto nelle steppe dell’Anatolia ne richiama il messaggio di shalom universale, la regola della carità, l’invito all’accoglienza senza giudizio: «Vieni, ritorna, chiunque tu sia, vieni / Non importa se sei un infedele, un idolatra o un adoratore del fuoco / Vieni, anche se hai infranto il tuo giuramento cento volte, vieni lo stesso / La nostra non è la porta della disperazione e del tormento / Vieni». Sono versi tratti dal Mesnevi, l’opera più nota di Rumi, che i suoi seguaci hanno voluto riportare sulle pareti del Mausoleo di Konia, la città dove visse il profeta sufi e che per i turchi rappresenta la seconda meta di pellegrinaggio dopo La Mecca.
Esattamente da 20 anni però la danza rituale del Sema è stata aperta anche alle donne, coinvolte nella preghiera pubblica della domenica pomeriggio.