Mercoledì prossimo alle ore 11,30 nella Basilica della S.S. Annunziata, cappella del Crocifisso, verrà presentato al pubblico il restauro della terracotta del Michelozzo San Giovanni Battista che è stato realizzato dall'Opificio delle Pietre Dure.
Dopo un complesso restauro realizzato dall'Opificio delle Pietre Dure in coincidenza con la ricorrenza della festa di San Giovanni fa ritorno alla S.S. Annunziata il grande Battista in terracotta modellato da Michelozzo di Bartolomeo (1396-1472), architetto e scultore protetto da Cosimo il Vecchio e collaboratore di Donatello in numerose imprese.
L'opera, di straordinaria qualità, risulta a tutt'oggi praticamente sconosciuta.
Il San Giovanni era giunto all'Opificio nel 1995, poco dopo l'appello lanciato dal Comune di Firenze, tramite la stampa cittadina, per l'"adozione" di alcune opere da parte di enti o privati disposti a finanziare il restauro: l'opera, infatti, fa parte del vasto patrimonio artistico conservato nelle tredici chiese di proprietà comunale.
La monumentale figura, una delle poche sculture rinascimentali in terracotta di dimensioni maggiori del naturale ( alta circa 2 metri e trenta ) e una delle più antiche che si sia conservata, fu realizzata alla metà del Quattrocento per l'altare della cappella dei Rabatta ( l'ultima a sinistra prima del transetto).
Si trattava di un altorilievo completato da una coloritura naturalistica e inserito al centro di una parete dipinta con alberi, uccelli e lo Spirito Santo che discende dall'alto in forma di colomba.
L'opera risulta nascosta alla vista nel 1677, coperta dalla grande tavola dell'Assunzione della Vergine dipinta dal Perugino, già sull'altare maggiore della Chiesa, e fu staccata dalla parete nel 1828, in occasione del restauro della cappella, per essere sistemata in un chiostro del convento, dopo averla ridipinta in color bronzo.
Dal 1931 il San Giovanni Battista si trova nella cappella del Crocifisso nel transetto sinistro, di fronte alla vasca battesimale, dove fu sistemato al termine di un radicale restauro che ha distrutto ogni traccia di colore, mettendo completamente a nudo la terracotta.
La figura, nata per una collocazione fissa, aveva subito probabilmente le maggiori rotture e perdite all'atto dello smontaggio dalla parete, nel secolo scorso, e la situazione si era aggravata a causa di interventi scorretti e degli altri spostamenti.
Inoltre il peso, la fragilità del materiale, appesantito a tergo e all'interno da una notevole quantità (più di un quintale!) di mattoni e gesso, sono stati all'origine di dissesti statici che hanno danneggiato le gambe.
Ora l'opera, liberata dai materiali di riempimento e consolidata è stata dotata di una struttura interna in acciaio, appositamente studiata da Fabio Burrini, consistente in un sistema di dispositivi meccanici modulabili e completamente reversibili. In tal modo è stato possibile alleggerire il carico degli arti inferiori e farlo gravare sul supporto applicato a tergo.
Le parti del modellato lacunose o malamente integrate a gesso sono state sostituite, riposizionando correttamente i frammenti recuperati all'interno della figura, dove erano stati utilizzati come riempimento.
Sono stati mantenuti e consolidati gli arti, rimodellati nel 1931.
Il restauro è stato, come di consueto, accompagnato da indagini scientifiche effettuate dal Laboratorio scientifico dell'Opificio, dal CNR opere d'arte, dal Centro di Restauro Archeologico di Firenze e dall'ENEA, e da ricerche che hanno contribuito a chiarire le vicende storiche dell'opera.