In Italia un far west per le trivellazioni

Nuovo dossier WWF alla vigilia della manifestazione in Puglia per dire no alle trivellazioni in Adriatico. Anche in Toscana sono 5 le istanze di permesso di ricerca e permessi di ricerca in terra e due le istanze di coltivazione e coltivazione in terra

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 gennaio 2012 18:11
In Italia un far west per le trivellazioni

“Milioni di regali - Italia: Far West delle trivelle”, è questa la denuncia e il titolo del dossier del WWF Italia che viene reso noto alla vigilia della manifestazione “Più verde, meno nero” che si svolgerà domani, 21 gennaio, a Monopoli, che oltre a coinvolgere la Puglia, interessa i cittadini e le istituzioni di molte regioni del Meridione, ma non solo. Il WWF saluta l’importante convergenza di intenti tra le amministrazioni e le comunità locali in difesa oggi del bene comune, costituito dal nostro patrimonio naturale che contribuisce alla ricchezza del Paese, per un futuro sostenibile, che abbia al centro le energie pulite e lo sviluppo eco-compatibile del turismo e della filiera agroalimentare. Nel dossier del WWF si rileva che su 136 concessioni di coltivazione in terra di idrocarburi liquidi e gassosi attive in Italia nel 2010, solo 21 hanno pagato le royalty alle amministrazioni pubbliche italiane, su 70 coltivazioni a mare, solo 28 le hanno pagate.

Su 59 società che nel 2010 operano in Italia solo 5 pagano le royalty (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi). Grazie a questo amplissimo sistema di esenzioni, di aliquote sul prodotto e di canoni di concessione bassissimi ed una serie di agevolazioni e incentivi la nostra Penisola e le sue acque sono oggetto di una ricerca sovradimensionata di oro nero o di gas. Questo nonostante il petrolio, ad esempio, sia notoriamente poco e di scarsa qualità (la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese è al 49o posto tra i produttori).

Il petrolio inoltre è localizzato in territorio densamente urbanizzati e nei nostri mari, vicino a coste e specchi d’acqua marina di alto pregio ambientale con il rischio che al momento in cui si verifichi un incidente, come è avvenuto nel golfo del Messico nell’aprile 2010, anche infinitamente meno grave, date le diversità, gli impatti per l’ambiente dureranno per decenni se non centinaia di anni con conseguenze teratogene, mutagene e cancerogene sugli essere viventi. Purtroppo la corsa all’oro nero non si ferma: se pensiamo che al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare (74 dei quali nelle regioni del Centro-Sud, 39 nella sola Sicilia) presentati al Ministero dello Sviluppo economico.

Sono invece 204 le istanze di ricerca e i permessi di ricerca in terra (89 al Nord pari al 44%, 61 al Sud, pari al 30% e 54 nel Centro Italia, pari al 26%; tra cui spiccano nelle diverse aree geografiche: le 52 tra istanze e permessi presentati in Emilia Romagna che vanta il primato del Nord, i 22 in Abruzzo, prima nel Centro, e i 27 nella già colonizzata Basilicata, che ha il primato del Mezzogiorno, seguita dalla Sicilia, con 16). Anche in TOSCANA: 5 le istanze di permesso di ricerca + permessi di ricerca in terra e 2 le istanze di coltivazione + coltivazione in terra Ma il sistema Italia, denuncia il WWF nel suo dossier, garantisce maglie troppo larghe alle istanze e ai permessi di ricerca e di coltivazione di idrocarburi, con incomprensibili agevolazioni verso le coltivazioni marginali -di piccola entità- secondo il WWF, e non fa i conti con la ricchezza che deriva al Paese dal ricchissimo patrimonio naturalistico che l’Italia può vantare (il nostro Paese è primo in Europa per biodiversità), e con lo sviluppo sostenibile di settori quali il turismo e l’agroalimentare.

In Basilicata, che contribuisce per il 6% al fabbisogno nazionale di petrolio, il 60% del territorio è interessato da attività di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi, il parco nazionale dell’Appennino lucano, Val D’Agri e Lagongerse è assediato dalle attività di perforazione con gravi conseguenze di inquinamento delle acque e del suolo e rischi per la salute della popolazione. Per quanto riguarda e attività in mare, c’è da ricordare che l’oro nero lo sta già avvelenando: il Mediterraneo, che costituisce lo 0,7% delle acque del globo ma da cu passa il 25% del traffico petrolifero mondiale, vanta il primato mondiale per la concentrazione di catrame in mare aperto (pelagico): 38 mg/m2 di 3 volte superiore a quello registrato nel Mar dei Sargassi, 10 mg/m2. Non possiamo dissipare così il nostro patrimonio ambientale e la nostra salute, eppure le nostre leggi fanno dell’Italia uno dei Paesi in cui vigono le regole più vantaggiose per le aziende che ricercano ed estraggono gli idrocarburi.

Il WWF nel dossier ne fa una sintetica rassegna: 1. le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma e le prima 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, come i primi 25 milioni di smc di gas in terra e i primi 80 milioni di smc in mare sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato; 2. l’aliquota oscilla tra il 7% e il 4%, a seconda che si tratti di idrocarburi gassosi o liquidi estratti in mare, mentre in terraferma sale al 10% sia per gli idrocarburi liquidi che quelli gassosi, mentre la media delle aliquote applicate da altri Paesi al mondo oscilla tra il 20 e l’80% del valore del prodotto estratto; 3: anche le concessioni di coltivazione, sia pur adeguate nel tempo, partono, a valori 1996, dalle 5 mila lire a Kmq per i permessi i prospezione, alle 10 mila lire a Kmq per i permessi di ricerca, alle 80 mila lire a kmq per i permessi di coltivazione.

Ma non è finita qui e in occasione dell’Offshore Mediterranean Conference svoltasi a Ravenna nel 2004, non a caso viene menzionata la favorevole legislazione italiana per le compagnie petrolifere, dato l’ampio spettro di incentivi e agevolazioni: incentivi per le ricerche di prospezione e per la coltivazione dei cosiddetti giacimenti marginali; agevolazioni sul gasolio utilizzato nelle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Su tutti questi punti il WWF presenterà al Governo e al Parlamento un pacchetto di proposte che vanno dall’eliminazione delle esenzioni dal pagamento dell’aliquota, all’adeguamento al 50% dell’aliquota sul valore del prodotto, all’adeguamento del valore dei canoni annuali per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione. Infine, per quanto riguarda la regolazione di questo settore dal punto di vista ambientale il WWF valuta positivamente la presentazione in Parlamento della proposta di legge, approvata lo scorso agosto dal consiglio regionale della Puglia, che chiede di interdire nuove attività di prospezione, ricerca e coltivazione in Adriatico.

Il WWF, nel dossier segnala, la necessitò di difendere l’importante modifica del Codice dell’ambiente voluta dal Parlamento nel giugno 2010 che introduce: a) il divieto di prospezione, ricerca, coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare nelle aree tutelate dalla normativa italiana, comunitaria e nazionale (e quindi SIC e ZPS, aree umide protette dalla Convenzione di Ramsar, parchi terrestri e marini nazionali regionali) e in un raggio di 12 miglia da queste stesse aree (norma che pare messa a rischio proprio in questi giorni dal decreto Liberalizzazioni); b) il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione entro le cinque miglia dalle aree di base costiere (una linea continua che ricomprende i golfi e le insenature) in tutta la Penisola. In conclusione è con regole rigorose in campo ambientale che facciano valere il principio di precauzione e una modifica sostanziale del regime fiscale ed economico del settore, che rispetti le regole di mercato della leale concorrenza, che secondo il WWF si può fare in modo che l’Italia non sia più un Far West per le trivelle.

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