Alla Pergola: La Bottega Del Caffè

Da martedì 8 a domenica 13 febbraio 2011. Compagnia del Teatro Carcano, Marina Bonfigli, Antonio Salines, Virgilio Zernitz, Massimo Loreto con l'opera di Carlo Goldoni. Musiche Giancarlo Chiaramello e regia Giuseppe Emiliani

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
04 febbraio 2011 15:00
Alla Pergola: La Bottega Del Caffè

La bottega del caffè di Carlo Goldoni al Teatro della Pergola, con la compagnia del Teatro Carcano diretta da Giuseppe Emiliani. Dopo i classici di Molière e Shakespeare rivisitati rispettivamente da Gabriele Lavia e Luigi De Filippo, Armando Pugliese e Umberto Orsini, in cartellone non potevano mancare le commedie nuove di Carlo Goldoni. Due le proposte alla Pergola tra febbraio e marzo, la prima classica e filologica del Teatro Carcano con La bottega del caffè, la seconda delle Belle Bandiere, la compagnia di Elena Bucci e Marco Sgrosso, affronta La locandiera con un’energica rilettura del testo tesa a comprendere la sua fortuna e la perplessità del pubblico che lo vide in scena la prima volta.

Il Teatro Carcano, è ad una nuova stagione e ad un nuovo debutto senza lo storico e amatissimo direttore artistico Giulio Bosetti. A più di un anno dallo scomparsa non manca di ricordarlo e di rendergli omaggio con la produzione della Bottega del Caffè di Goldoni che il maestro allestì con la regia di Gianfranco De Bosio nel 1989 al Teatro Romano di Verona. A quell'edizione si ispira Giuseppe Emiliani per la sua regia, così come lo scenografo e costumista Guido Fiorato, allievo di Emanuele Luzzati che firmava le scene dell'89, ne ripropone suggestioni e atmosfere.

Marina Bonfigli, Antonio Salines, Virgilio Zernitz, Massimo Loreto interpretano gli immortali caratteri goldoniani che hanno reso famosa la commedia. La bottega del caffè rimane, come la maggior parte del teatro di Goldoni, un eccezionale banco di prova per attori, registi, scenografi e costumisti e vale a dire per tutta la parte artistica. Come tutti i più grandi autori, Goldoni descrive, indaga e mostra allo spettatore, in forma imperfettibile l’agire degli esseri umani in un determinato contesto storico e in un continuum culturale che ancora oggi ci appartiene.

Invidia, amore, odio, brama di denaro, di potere, lotta per il benessere, per il cibo, sono forse cambiati, nella loro sostanza, da quando Goldoni ha scritto i suoi capolavori? No. Però Goldoni, che fa parte di quella ristrettissima cerchia di autori che hanno scritto sul palcoscenico e per il palcoscenico, secondo regole che sono ancora oggi insuperate poiché rappresentano un perfetto equilibrio fra la parola e l’azione scenica, li descrive in maniera ineguagliata. “Protagonista della commedia è l’occhialetto, diabolico strumento, col quale don Marzio, seduto al caffè, spia indiscretamente tutto e tutti, sforzandosi di vedere anche quello che effettivamente non è: “il mio occhialetto non isbaglia” - annota Giuseppe Emiliani.

Ciò che caratterizza questo capolavoro goldoniano è l’estrema concretezza con cui sono fuse l’evocazione dello sfondo ambientale, il dipanarsi dell’intreccio imperniato su pettegolezzi, manie, stravaganze, imbrogli e finzioni, e il disegno geniale d’un carattere, quello di don Marzio: “Eh! Io so tutto. Sono informato di tutto. So quando si va, quando esce. So quel che spende, quel che mangia, so tutto.” “La geniale costruzione drammaturgia della commedia lascia allo spettatore la sensazione di osservare i casi dell’esistenza attraverso l’occhialetto diabolico di un Maldicente che non tace mai e pretende sempre d’aver ragione.

Don Marzio, puntiglioso e insinuante, è sempre pronto a inforcare il suo occhialetto e puntarlo sui casi del “Mondo”. Nella sua mente si rincorrono ipotesi che le parole traducono frettolosamente in certezze. Ogni notizia si tramuta in maldicenza. Il suo sistema di giudizio, ne quale si intersecano personaggi e avvenimenti differenti, finisce per imporsi come una coscienza scomoda dell’esistenza. Le sue ultime battute celano a malapena l’amarezza e la malinconia per un’utopia che gli eventi vanificano.” Agli spettatori del Teatro Sant’Angelo, sul finire dell’autunno 1750, questa commedia, che ha come scena fissa una piazzetta veneziana en plein air, doveva apparire come un prolungamento della città lagunare, proprio mentre si popola con le prime maschere e con l’arrivo degli immancabili forestieri, attratti dal clima carnevalesco.

La scena è uno spazio quotidiano che ruota attorno ad un centro fortemente simbolico, rappresentato dalla bottega del caffè, un luogo dove si mescolano il consueto e l’imprevedibile: il punto ideale per osservare e giudicare il “Mondo”. Non doveva essere difficile per gli stessi spettatori riconoscere le figure che si agitavano nel cerchio della finzione. Ancora una volta la quotidianità s’intreccia dentro le pareti del Teatro, assecondando un sapiente intreccio d’invenzione comica e di verità. La realtà della Bottega del caffè è trascolorante: i limiti fra verità ed apparenza tendono a scomparire: Leandro non è che un finto conte; la pellegrina si scopre una moglie in cerca del marito nascosto sotto falso nome; Vittoria, per non essere riconosciuta, passeggia in maschera; nella bisca di Pandolfo si giuoca con le carte segnate e la casa della ballerina ha forse una porta di dietro.

“Flusso e riflusso, per porta di dietro”: ecco l’insinuante ritornello di don Marzio, spione che “ha saputo tutto” ma che in realtà non sa nulla. “Anderò via di questa città; partirò a mio dispetto, e per causa della mia trista lingua, mi priverò del paese, in cui tutti vivono bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento, quando sanno essere prudenti, cauti ed onorati”. Giuseppe Emiliani in foto il palco visto da Angelo Redaelli

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