La filosofia dei piedi: da Platone a Totti

Heidegger era un’ottima ala sinistra, Derrida un buon centravanti, Camus giocava in porta, come Giovanni Paolo II e un numero non piccolo di filosofi ha utilizzato il calcio per fare filosofia.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
15 giugno 2010 15:47
La filosofia dei piedi: da Platone a Totti

Il pallone dei mondiali si chiama jabulani, ovvero "festeggiare" e il libro di Giancristiano Desiderio edito da Vallecchi dal titolo "Il divino pallone. Filosofia dei piedi da Platone a Totti", da alcuni giorni disponibile in libreria, ci illustra sul perché il pallone, al di là del suo peso, è sempre parzialmente controllabile. Il pallone è divino e proprio per questo che è possibile giocare. Jabulani - festeggiare, celebrare, divinizzare - è il vero protagonista in campo: i giocatori non ne sono i padroni, ma i pastori o servitori: essi stessi sono una creazione del divino pallone. L’opera Heidegger era un’ottima ala sinistra, Derrida un buon centravanti, Camus giocava in porta, come Giovanni Paolo II e un numero non piccolo di filosofi ha utilizzato il calcio per fare filosofia.

Sartre amava dire che il calcio è una metafora della vita, Wittgenstein giunse alla svolta del suo pensiero guardando una partita di calcio, Marleau-Ponty spiegava la fenomenologia parlando di calcio. Come mai? Il calcio si basa su un principio: il controllo di palla. Ma il principio non può essere finalizzato a se stesso. Per giocare bisogna necessariamente abbandonare la palla e “metterla in gioco”. Controllo e abbandono sono i due principi del calcio e della vita. La filosofia, come gioco della vita, si basa su regole calcistiche: per filosofare bisogna saper mettere la vita in gioco.

È per questo motivo che nel Divino Pallone si spiega l’Idea di Platone con Pelé, la contraddizione del non-essere con Garrincha, la virtù e la bellezza con Platini, ma anche l’inverso: il genio di Maradona con la “logica poetica” di Vico, la visione di gioco di Falcao con il mito della Caverna, il cucchiaio di Totti con la metafisica di Aristotele. E tanto altro ancora. Il calcio, infatti, non è solo una metafora, ma un paradigma cognitivo che dà scacco matto perfino al fenomeno politico più drammatico della modernità: il totalitarismo.

Hitler e Stalin pretesero di controllare tutto e ci riuscirono. Pretesero di controllare anche il pallone. E persero. Il calcio ci fornisce il modello per non ricadere più nel totalitarismo. L’autore Giancristiano Desiderio, giornalista e saggista, ha pubblicato libri sul rapporto tra pensiero e libertà. Lavora con il quotidiano Liberal e collabora con il Corriere del Mezzogiorno. È stato cronista parlamentare di Libero e vicedirettore dell’Indipendente, ha fondato la rivista CroceVia e la Biblioteca Michele Melenzio.

Vive a Sant’Agata dei Goti scrivendo, leggendo, insegnando e, naturalmente, giocando.

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