La Firenze Laica non si ricorda più del Vescovo di Prato

Paragone tra la reazione civile, cinquant'anni fa, alla vicenda dei Concubini pratesi e il sostanziale disinteresse oggi per la sorte riservata dalla Curia fiorentina ad Alessandro Santoro

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
29 ottobre 2009 14:59
La Firenze Laica non si ricorda più del Vescovo di Prato

di Nicola Novelli FIRENZE- 1956: il vescovo di Prato, Pietro Fiordelli, definisce 'Pubblici concubini e peccatori' Mauro Bellandi e Loriana Nunziati per essersi sposati con il solo rito civile. Il fatto diventa subito di dominio nazionale e presto esce anche dai confini italiani, perché la coppia decide di denunciare il vescovo per diffamazione. In primo grado il vescovo viene condannato dalla magistratura ordinaria alla pena pecuniaria di lire 40.000, ma alla fine del processo viene assolto.

L'Italia dell'opinione pubblica si spacca in due. A rimetterci la coppia che si vede costretta a cambiare città. All'epoca gli "sposi di Prato" diventarono comunque il simbolo della protesta laica contro le ingerenze sempre più marcate della chiesa di Roma. E il processo che ne seguì riaprì questioni che si ritenevano risolte. Oggi invece non pare scuotere granché l'opinione pubblica la vicenda di Alessandro Santoro, sospeso dal Vescovo di Firenze, dall'incarico di parroco nel quartiere periferico delle Piagge per la colpa di aver officiato con rito religioso il matrimonio di una donna nata uomo, ma rettificata all'anagrafe dal 1982. Ironia della sorte, il matrimonio è stato officiato proprio domenica scorsa, mentre il principale partito dello schieramento progressista celebrava il rito delle primarie.

Tra i contendenti anche una lista "laica", guidata dal medico romano Ignazio Marino, che anche in Toscana aveva candidati e rappresentanti. Non uno di essi si è visto dalle parti della parrocchia di Don Santoro per testimoniare la vigilanza laica sui temi dei diritti civili. Perché nell'atteggiamento della Curia fiorentina facilmente si potrebbe ravvisare un intento discriminatorio, e indifendibile a norma di legge, nei confronti di una cittadina che si identifica donna in quanto titolare di una posizione anagrafica regolare.

Con quale motivazione la Curia non riconosce l'accesso della cittadina ai propri sacramenti? Ha il diritto, supra lege, la Chiesa Cattolica di dicriminare i cittadini per sesso, o per orientamento sessuale? Che differenza c'è tra Sandra Alvino e una qualunque credente fiorentina? E perché la sinistra fiorentina e in particolare un partito che si auto-qualifica come Democratico non ha il coraggio di chiederne conto al Vescovo Giuseppe Betori? Perché nessuno in città sente il dovere civile di promuove una raccolta di firme, o una sottoscrizione, per sostenere un procedimento giudiziario a tutela dei diritti individuali (umani e civili) di Sandra Alvino e Fortunato Talotta, impunemente calpestati dal Vaticano?

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