Una storia del doping
Dall'antica Grecia alla nascita della Wada

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
25 dicembre 2008 11:05
Una storia del doping<BR>Dall'antica Grecia alla nascita della Wada

“Minozzi va alla finestra. Non ha il coraggio di guardare in faccia Dorando mentre gli dice: ‘Il giudice, signor Jack Andrew, ha accolto il reclamo degli americani... Sei stato squalificato per l’aiuto ricevuto dagli uomini che ti hanno sorretto negli ultimi trecento metri della corsa’.
‘Squalificato... Ma non è giusto! Quegli aiuti non li ho chiesti io. Ce l’avrei fatta anche da solo’.
Minozzi non ha il coraggio di dirgli che Andrew sostiene anche, con la testimonianza di alcuni corridori, che Dorando era drogato, che puzzava di stricnina.
Davvero puzzava, lo aveva constatato anche Minozzi, ma era odore di aceto balsamico misto a sudore”.

da Pederiali G.

Il sogno del maratoneta.
Milano: Garzanti, 2008: 91.


Dall’antica Grecia alla Grande Guerra
Sempre più spesso ascoltiamo rimpiangere quanto fosse pulito lo sport del passato. Eppure, scorrendo almanacchi dai fogli ingialliti, consunti articoli di quotidiani o pesanti volumi di storia dello sport, ben pochi sembrano essere gli indizi a riprova di questa romantica visione delle cose. Al contrario, sembra proprio che quella del doping sia una pratica vecchia quanto lo sport.
Certo, fa sorridere oggigiorno apprendere che gli atleti al tempo di Platone o Pausania, pur di vincere, si affidavano a diete ricche di carne, a pozioni ricavate dai funghi o, ancora, a unguenti e semi di sesamo1-3.

Per non parlare poi dei gladiatori dell’antica Roma che, prima dei combattimenti, tracannavano una “bevanda preparata con una miscela composta dal sudore dei colleghi risultati vincitori negli incontri del giorno precedente e dalla sabbia del campo da gioco che aveva accolto il sangue dei vinti”3.
Ciononostante, queste primordiali e colorite pratiche svelano un modus operandi che è possibile rintracciare anche in epoca contemporanea: ricorrere ad aiuti esogeni pur di superare i propri limiti e primeggiare sugli altri.
Ma quando si comincia a parlare di doping così come noi oggi lo conosciamo? Il termine, chiarisce la World Anti-Doping Agency (WADA), proveniente dalle colonie olandesi in Africa, si diffonde all’alba del secolo scorso soprattutto nell’ambito delle corse a cavallo (agli animali veniva somministrata una miscela di oppio, tabacco e narcotici).

Negli sport di durata, però, stricnina, caffeina, cocaina, utilizzate come stimolanti, e alcool, assunto per ridurre l’ansia e la tensione nervosa, sono già usati4
Ne sa qualcosa il povero maratoneta americano Thomas Hicks che ai Giochi di Saint Louis (1904) viene aiutato dal suo coach durante i quaranta chilometri di corsa con iniezioni di solfato di stricnina, sorsi e frizioni di cognac francese e un uovo crudo. Dopo circa tre ore e mezza di corsa, la medaglia d’oro è sua, ma il giro d’onore dello stadio sotto lo sguardo della figlia del presidente degli Stati Uniti d’America, Alice Roosevelt, lo farà privo di sensi e su un’automobile4-6

Dagli anni Venti alla metà del secolo
Così, sul finire degli anni Venti, arrivano il biasimo e i primi stop alle pratiche dopanti: l’International Association of Athletics Federations, IAAF, è stata infatti la prima federazione sportiva a mettere al bando il doping, esattamente ottanta anni fa4
Tuttavia, in mancanza di una prova che smascheri il trucco, i sospetti sono destinati a rimanere tali.

Anzi, nel decennio che precede e nei due che seguono il secondo conflitto bellico mondiale si è spettatori inermi del dilagare delle amfetamine, utilizzate per ridurre la sensazione di fatica, aumentare la competitività e diminuire il peso corporeo.
Le prime voci su un loro impiego si hanno ai Giochi di Berlino nel 19365; tredici anni più tardi è a causa di questo prodotto che un ciclista italiano muore al termine di una nota competizione7; tracce di stimolanti sono riscontrate nel corpo senza vita dell’atleta danese Knud Enemark Jensen, ancora un ciclista, crollato a terra durante la cronometro a squadre nel primo giorno di gare ai Giochi olimpici di Roma (1960)3,4,6; infine, di metamfetamine si parla nel luglio del 1967, quando il britannico Tommy Simpson muore lungo i tornanti assolati del mont Ventoux nel corso della cinquantaquattresima Grande Boucle3,4
Episodi assordanti, sconfitte indelebili per lo sport ma, innanzitutto, per la vita.

E solo il caso, ricordando come “l’assunzione di droghe fosse anche considerata comune nella boxe professionistica e alcuni velocisti nel pattinaggio si fossero ammalati per iper-assunzione di amfetamina durante le Olimpiadi di Helsinki”3, vuole che accadano per la gran parte fra la popolazione degli atleti in bicicletta.
D’altronde anche il mondo del calcio non pare essere senza macchia: dalle amfetamine sono, infatti, causate le prime squalifiche nella Serie A italiana d’inizio anni Sessanta8, mentre in Francia questo prodotto trova menzione in un articolo sulla morte del diciottenne Jean-Louis Quadri durante un match (1968)5.

I primi test antidoping
Nel corso degli anni Sessanta fanno il loro esordio anche nelle più importanti competizioni sportive internazionali i controlli per rilevare l’uso di sostanze proibite.
Nel 1966 è la volta dei Campionati mondiali di calcio in Inghilterra e dei Mondiali di ciclismo in Germania4.

Nel 1967, il Comité International Olympique (CIO) stila per la prima volta la lista delle sostanze proibite4. Infine, nell’anno della contestazione e della ribellione giovanile, la ‘rivoluzione’ tocca anche le manifestazioni a cinque cerchi di Grenoble e Città del Messico, dove il pentatleta svedese Hans Gunnar Liljenwall “viene trovato positivo per alcool (un tasso di 0,81 grammi per litro [...])”6. A nulla valgono i tentativi di discolparsi additando le due birre bevute prima della gara di tiro come la causa della sua positività al controllo.

“Liljenwall otterrà il dubbio primato d’essere il primo squalificato per doping nella storia olimpica”6.
Manca però un metodo per scoprire l’impiego di steroidi anabolizzanti (utilizzati soprattutto negli sport di potenza per accrescere la forza), entrati nelle borse degli atleti fin dagli anni Cinquanta e nella lista delle sostanze proibite dal CIO a partire dal 19745.
Il test arriverà a Montreal due anni più tardi e, pur se sospendendo la ‘cura’ 15 giorni prima della gara un atleta poteva sperare di superare indenne i controlli5, si assisterà ad una crescita del numero degli sportivi dopati (su 11 ben 9 possono essere associati all’uso di anabolizzanti)5.
Ciononostante, come in una sorta di corsa a handicap, i ‘maghi’ del doping sono sempre due passi avanti rispetto a chi li insegue e, mentre nei laboratori si cercano le tracce lasciate dagli steroidi anabolizzanti, c’è già chi è passato all’autoemotrasfusione (pratica utilizzata per aumentare la disponibilità di ossigeno e quindi la resistenza fisica alla fatica)3.

Il doping di Stato e gli anni Ottanta
Gli anni Ottanta si aprono con le boicottate Olimpiadi di Mosca.

Ai ‘Giochi del farmacista’, come qualcuno le ribattezza, non un atleta cade nella rete dei controlli5 e le voci sull’esistenza di un doping di Stato “che alcuni paesi erano sospettati di praticare, sospetti che si sono dimostrati largamente fondati nel caso della Repubblica Democratica Tedesca”4, si fanno sempre più insistenti.
Nel 1986 il CIO mette al bando anche il doping ematico4.
Ma la battaglia è ancora lunga. Tanto è vero che nel marzo di due anni dopo si registra il primo caso di positività all’antidoping durante una competizione per club dell’Union of European Football Associations (UEFA); il governo europeo del calcio aveva introdotto i controlli nelle fasi finali delle sue manifestazioni otto anni prima.

E, come se tutto ciò non bastasse, ai Giochi di Seoul, in Corea del Sud, si registra quello che mediaticamente è forse il più famoso caso di doping fino ad oggi vissuto. Al termine di una finale dei cento metri maschili corsa in nove secondi e settantanove centesimi lo sprinter canadese Ben Johnson è trovato positivo allo stanozololo, uno steroide anabolizzante3-5,9.

False illusioni e nuove ‘invisibili’ sostanze
Alle Olimpiadi di Atlanta del 1996 solo 2 atlete furono trovate positive ad anabolizzanti5 e poi squalificate, mentre non furono resi pubblici i risultati positivi al test antidoping di altri 4 sportivi3.
Inoltre, com’è facile apprendere dalle cronache, non solo sportive, dei maggiori quotidiani italiani e stranieri, da un paio di lustri l’eritropoietina (EPO) e l’ormone della crescita (GH) hanno fatto il loro ingresso fra le sostanze utilizzate per scrivere nuovi record.

La prima è utilizzata soprattutto da chi deve affrontare gare che richiedono sforzi prolungati, per aumentare il trasporto di ossigeno ai tessuti. La seconda è utilizzata a scopo anabolizzante e quindi per potenziare la forza muscolare. Rilevarle è il problema maggiore per chi deve vigilare sulla regolarità di concorrenti e gare.

Gli ultimi anni del Novecento e la nascita della WADA
Difficile dimenticare l’estate del 1998. Di qua dalle Alpi tengono banco le dichiarazioni dell’allenatore di calcio Zdenek Zeman10, di là, in Francia, il mondo delle due ruote finisce nuovamente nel mezzo della tempesta.

Alla frontiera franco-belga, infatti, la vettura di una squadra partecipante al Tour viene trovata piena di prodotti dopanti durante un controllo di routine.
È allora che il CIO prende l’iniziativa di convocare la Conferenza Mondiale sul Doping nello Sport, svoltasi a Losanna nel febbraio del 1999. “L’Agenzia mondiale antidoping (WADA), la cui creazione è stata proposta in occasione di questa Conferenza, è stata istituita a Losanna il 10 novembre 1999”4.

Bibliografia
1.

Merola M, Mariani LD. La prima medaglia d’oro italiana. Focus 2008; 190: 26-32.
2. La storia del doping, tratto da www.runners.it (accesso verificato il 31/10/2008).
3. Tavella S. Giganti con i piedi nell’argilla. Bologna: ciPsPsia, 2007.
4. www.wada-ama.org (accesso verificato il 31/10/2008).
5. De Modernand JP. Dictionnaire du dopage. Paris: Masson, 2004.
6. Trifari E (a cura di). L’enciclopedia delle olimpiadi. Milano: RCS Quotidiani, 2008, vol 1.
7. Dotto G.

I dannati del doping. La Stampa, 29 marzo 2008.
8. Calzia F, Castellani M. Palla avvelenata. Torino: Bradipolibri editore, 2003.
9. Trifari E (a cura di). L’enciclopedia delle olimpiadi. Milano: RCS Quotidiani, 2008, vol 2.
10. Calcio e doping: la cronologia di cinque mesi di inchieste, tratto da www.sportpro.it (accesso verificato il 31/10/2008).


L'articolo parzialmente riprodotto in questa pagina è stato pubblicato sul Bif, Bollettino d'Informazione sui Farmaci, rivista dell'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), n°5/2008.
L'immagine, puramente indicativa, è stata realizzata da Norma Morandi, la vincitrice del concorso grafico riservato alle classi terze della scuola media statale “Leonardo da Vinci” di Lastra a Signa nell'anno scolastico 2007/2008.

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