Il nuovo museo di arte sacra di Certaldo

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
29 giugno 2001 15:20
Il nuovo museo di arte sacra di Certaldo

29 giugno 2001 - Il Museo d’Arte Sacra a Certaldo nasce dalla convenzione tra il Comune e il Vicariato di Certaldo, con la collaborazione della Regione toscana, della Curia Arcivescovile di Firenze, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoantropologico, grazie ai finanziamenti della Regione Toscana, Amministrazione Provinciale di Firenze, Amministrazione Comunale di Certaldo, Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Questo museo fa parte di una fitta rete di musei diocesani sul territorio (San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle, San Martino a Gangaldi, Impruneta, Empoli, Montespertoli, Castelfiorentino) sorti in questi ultimi anni, che hanno sostituito il progetto di un unico museo d’arte sacra a Firenze, a favore di una politica di decentramento.

Tale programma, promosso dalla Curia fiorentina e appoggiato dalle Soprintendenze, ha consentito la realizzazione di piccole realtà autonome con il vantaggio di lasciare le opere d’arte legate al territorio di provenienza, di responsabilizzare la comunità nella salvaguardia e nella gestione del proprio patrimonio artistico, infine di consentire una più approfondita conoscenza dello stesso territorio.
Il Museo d’Arte Sacra di Certaldo ha il grande merito di presentare un aspetto meno conosciuto della cittadina di Boccaccio, famosa per aver dato i natali al celebre letterato e visitata soprattutto per il suo Palazzo Pretorio.
Certaldo è infatti anche la patria della Beata Giulia, che fa parte delle sante romite della Valdelsa (Verdiana a Castelfiorentino, Fina a Siena), le cui spoglie mortali riposano nella chiesa dei Santi Jacopo e Filippo dove si trova il cenotafio di Boccaccio.
Il territorio di Certaldo era popolato da grandi fattorie (Santa Maria Novella, San Martino a Maiano, Sciano) dove le nobili famiglie dei Gianfigliazzi, Capponi, Guicciardini, che furono committenti di importanti opere d’arte, investivano per migliorare le colture, ma anche per costruire imponenti edifici, al tempo stesso ville-fattorie, che videro affermarsi la mezzadria.
La maggior parte delle chiese dell’attuale Vicariato di Certaldo faceva parte del piviere di San Lazzaro a Lucardo, la cui pieve matrice, già menzionata nel secolo X, accrebbe la sua importanza e ricchezza nel corso dei secoli sotto il munifico patronato dei Gianfigliazzi.
Sede del Museo è il complesso agostiniano dei Santi Jacopo e Filippo, situato nella via che conduce dalla Casa del Boccaccio al Palazzo Pretorio, che diviene così il degno completamento delle memorie storiche e artistiche di Certaldo.
Il Museo, che è corredato da un catalogo edito da Becocci-Scala curato da Rosanna Caterina Proto Pisani, è stato ordinato dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoantropologico e allestito da Cristina Valenti, della stessa Soprintendenza, Paolo Frullini e Carlo Viliani.
Nell’ordinamento del ricco patrimonio storico-artistico del Vicariato di Certaldo, i criteri seguiti hanno privilegiato l’esposizione delle diverse tipologie di oggetti in sezioni specifiche.
Il Salone è infatti destinato ai dipinti più antichi: sulle sue pareti si susseguono tavole del Duecento (Madonna col Bambino e Santi del Maestro del Bigallo, Madonna col Bambino e Angeli di Meliore), preziosi polittici del Trecento (Madonna col Bambino tra i Santi Pietro e Romolo di Ugolino di Nerio, Madonna col Bambino e Santi di Puccio di Simone), in una costruttiva dialettica fra pittura senese e fiorentina, ben giustificata dalla posizione geografica di Certaldo, posta tra le due capitali dell’arte figurativa nel Medio Evo.

Opere di Cenni di Francesco, loquace divulgatore nel territorio delle novità tardogotiche fiorentine e alcuni dipinti cinquecenteschi concludono l’esposizione della prima sala.
Le oreficerie esposte nelle piccole sale adiacenti presentano oggetti molto antichi, come il turibolo di San Gaudenzio a Ruballa del secolo XIII, le croci astili databili tra il secolo XIII e il secolo XV, e importanti arredi rinascimentali (ostensorio, calice, pisside della chiesa di San Lazzaro a Lucardo). Le oreficerie baroche, molte delle quali provenienti dalla pieve di San Lazzaro, sono legate alla committenza dei Gianfigliazzi: vi sono inoltre numerose argenterie eseguite dagli orafi fiorentini più accreditati del momento (Raffaello Falconi, Bernardo Holzmann, Antonio Mazzi).
La sezione dei tessuti espone paramenti sacri di diverse tipologie (un parato in quarto, pianete, banda processionale, veli da calice, omerali, etc.).

Nella Cappella, oltre a dipinti seicenteschi, è sistemata la sezione delle sculture, con le importanti statue dei Santi Nicola da Tolentino e Giovanni di San Facondo, di un ignoto scultore della metà del secolo XVII.
L’ultima sala del Museo è dedicata al Crocifisso di Petrognano, un unicum della scultura medievale, che costituisce il capolavoro di questo piccolo, ma preziosissimo museo.

Il Crocifisso di Petrognano
Il Crocifisso di Petrognano presenta il Cristo secondo l’iconografia del Christus triumphans, cioè il Cristo vivo, con gli occhi spalancati e vittorioso sulla morte.

Il Cristo è appoggiato su una croce dipinta dalla cromia dai toni scuri, ma vivificata da una fascia decorativa dai colori intensi (rosso, blu, verde) simile a quelle delle croci dipinte.
Il Crocifisso proviene dalla chiesetta di San Pietro a Petrognano dove rimase fino al 1933, quanto fu portato a Firenze in occasione della mostra d’Arte Sacra e quindi collocato nella pieve di San Giovanni Battista in Jerusalem a San Donnino.
Fin dall’Ottocento le imponenti dimensioni dell’opera e le drastiche riduzioni operate sulla croce hanno fatto giustamente ritenere che il piccolo oratorio di San Pietro non fosse il luogo originario del Crocifisso che, per la sua maestosità, suggerirebbe piuttosto la provenienza da un complesso abbaziale della zona o da una chiesa importante di un centro cittadino.
Ancora misteriosa rimane la provenienza dell’opera, così come non sono ancora stati risolti i problemi di appartenenza dell’opera ad una scuola e la sua datazione precisa.

Il Crocifisso, eseguito probabilmente verso il 1240-1250 con una finezza pittorica che ha tangenze con dipinti pisani influenzati da Berlinghiero, è un unicum nel campo della scultura medievale per l’evidente naturalismo del corpo, il potente classicismo e soprattutto l’alta qualità poetica e figurativa.

Le oreficerie
Nelle salette adiacenti al Salone sono sistemate le argenterie provenienti dalle chiese del Vicariato di Certaldo.
Nella prima saletta è esposto un nutrito gruppo di croci astili, delle quali la più antica risale al secolo XIII, la croce di Santa Maria a Casale (n.38); altri esemplari sono stati eseguiti tra la fine del secolo XIV e l’inizio del secolo XV (croci di San Lazzaro a Lucardo, n.39, e di San Tommaso a Certaldo, n.40) e nel pieno Quattrocento, le croci di Santa Maria a Bagnano (n.41), di San Martino a Pastine (n.42) e di Sant’Andrea a Vico d’Elsa (n.43).
Tra gli oggetti di oreficeria più antica si segnalano il turibolo di San Gaudenzio a Ruballa del secolo XIII un turibolo e una navicella (nn.65, 66) trecenteschi della chiesa di Santa Maria a Bagnano.
La pieve di San Lazzaro a Lucardo possiede un notevole patrimonio di argenterie rinascimentali: ostensorio (n.46), pace (n.47) e calice poi trasformato in pisside del 1496 (n.48).

Molti tra gli arredi barocchi di San Lazzaro furono donati dai Gianfigliazzi, munifici patroni della pieve, come la navicella (n.49) eseguita dalla bottega fiorentina all’insegna del Sole nel 1644 circa, la pisside (n.50) donata dal canonico Gino Gianfigliazzi, la teca per l’olio santo (n.57), che porta sul coperchio lo stemma del Gianfigliazzi, la palmatoria (n.59) donata nel 1733 dal canonico Jacopo Gianfigliazzi.
La chiesa di San Tommaso a Certaldo, oltre a interessanti oggetti barocchi (mestolo battesimale, n.73, ostensorio dal 1675, n.

75, calici, (nn.76-77), possiede un nucleo di oggetti ottocenteschi (turibolo e navicella del 1827, nn.86-87, palmatorie, nn.98-99) e di gusto neo-gotico, da collegare alla costruzione della nuova chiesa di San Tommaso nella parte bassa della cittadina. Si segnalano la pisside (n.93) eseguita nel 1934 e i calici (nn.96-97) del 1924 e del 1928.
Nella vetrina destinata all’esposizione di questi oggetti più recenti, oltre ad un turibolo e a una navicella (nn.100-101) della chiesa dei Santi Jacopo e Filippo e a un ostensorio (n.102) della chiesa di San Martino a Pastine, vi è anche un messale del 1862 (n.144), il cui frontespizio di gusto neo-gotico fu inciso dalla litografia fiorentina Ballagny.
Nella terza ed ultima sala destinata alle argenterie, il fulcro dell’esposizione è costituito dal Busto reliquiario della Beata Giulia (n.135).

Il busto reliquiario, destinato a contenere la testa della beata trafugata nel 1479 durante il sacco di Certaldo e restituita nel 1486 dal re di Napoli, fu eseguito dall’orafo fiorentino Paolo Laurentini nel 1652-1653, come risulta dai documenti d’archivio. La forte caratterizzazione ritrattistica del volto suggerisce che l’orafo si fosse ispirato ad un’immagine della beata oggi scomparsa.
In questa sala sono riunite inoltre le argenterie provenienti dalla chiese di San Martino a Pastine, Santa Maria a Poneta, Sant’Andrea a Vico d’Elsa, chiese che facevano parte del piviere di Sant’Appiano, tra le cui opere si segnalano la pisside di Raffaello Falconi (n.104) e la pisside di Bernardo Holzmann (n.

107), e il calice di Antonio Mazzi (n. 114).
In una vetrina sono esposte alcune corone, tra le quali una di Jacopo Mari (n.127) e un’altra di bottega genovese (n.129), quindi una serie di lampade sei-settecentesche della chiesa di San Lazzaro a Lucardo (nn.130-131) e della chiesa dei Santi Jacopo e Filippo (nn.133-134).
Infine, nella parete di fondo, in una vetrina-armadio, sono raccolti reliquiari settecenteschi e statue-reliquiari di Madonne (nn.23-24) e di santi, come quello di San Lazzaro (n.25), esemplificato sui modelli berniniani, e di San Godenzo (n.26).

I tessuti
Nella sala destinata ai tessuti sono esposte diverse tipologie di paramenti.
Dalla chiesa di Santa Maria a Bagnano provengono due pianete: una della prima metà del secolo XVII (n.

137), in broccatello a fondo avorio dalla tipologia decorativa a maglie chiuse e arabeschi; l’altra (n. 138) del terzo quarto del secolo XVIII, in gros di Tours con ricami riportati nel secolo XX sul fondo attuale. Il ricamo eseguito a punto floscio in vari colori sviluppa rami frondosi con fiori dall’aspetto esotico sui quali poggiano volatili, tra i quali un pavone dalla lunga coda, estremente decorativo. Una banda processionale (n.139), proveniente dalla chiesa di San Lazzaro a Lucardo, dei primi decenni del Settecento, in broccatello a motivi di inflorescenze stilizzate, presenta al centro un medaglione applicato raffigurante la Madonna del Rosario, dichiarando l’appartenenza della bandinella ad una Confraternita.
Il parato in quarto (n.

140) del secolo XVI, composto da piviale, tonacelle e pianeta, proveniente dalla chiesa di San Tommaso, è di manifattura fiorentina: in velluto cesellato, presenta il motivo del fiore di cardo racchiuso in maglie ogivali, estremamente diffuso in Toscana.
Il velo da calice, (n.141), la borsa per il corporale (n.142) e il velo omerale (n. 143) in taffetas di seta marezzato di color rosso, della chiesa di San Tommaso, sono stati eseguiti da una manifattura fiorentina nel secolo XVIII. I ricami finissimi li rendono notevoli esemplari del patrimonio tessile, per la preziosità dei materiali impiegati, ma anche per le soluzioni decorative che presentano, accanto a elementi floreali naturalistici, motivi più insoliti e di gusto esotico.
Infine, accompagnano l’esposizione dei parati altri arredi, collocati nell’armadio, come le paci cinquecentesche (n.20) in legno intagliato e dorato e due angiolini in argento meccato (n.

2), che portano sulla base, accanto allo stemma dei Gianfigliazzi, che dichiara la provenienza dalla chiesa di San Lazzaro a Lucardo, lo stemma dei Medici.

La Compagnia
La Compagnia dedicata alla Santissima Annunziata e poi al Preziosissimo Sangue di Gesù, fu completamente riedificata nel 1620, come si legge nell’iscrizione in latino sull’architrave della porta.
La Compagnia della Santissima Annunziata, di antica datazione precedente all’istituzione dei Capitoli nel 1513, pur non essendo una vera e propria compagnia di Morte, come la Compagnia della Croce al Tempio di Firenze, aveva tra i suoi compiti quello di prestare la propria assistenza ai condannati a morte.
Sull’altare della Compagnia è stata ricollocata la tela, che si trovava prima dei lavori di restauro del Museo, rappresentante la Madonna col Bambino e Santi (n.13), tra i quali i santi Agostiniani Agostino, Nicola da Tolentino e Monica.
Commissionato dalla stessa Compagnia è il dipinto di scuola fiorentina rappresentante l’Annunciazione (n.12), eseguito probabilmente nel 1620, in concomitanza con i lavori dell’oratorio, e menzionato nei documenti d’archivio sull’altare maggiore.

La tela, che è stata ridotta nelle sue dimensioni, è attualmente esposta sulla parete sinistra della Compagnia. In quest’ambiente sono state raccolte diverse tele del Seicento che continuano cronologicamente l’esposizione dei dipinti nel Salone: la Madonna del Rosario e Santi (n.11), opera firmata da Bernardino Monaldi, allievo del Poccetti e collaboratore di Girolamo Macchietti, datata 1611, e i dipinti provenienti dalla Campagnia di Sant’Antonio della Chiesa di San Martino a Maiano.
La Compagnia espone inoltre alcuni arredi, collocati ai lati dell’altare in maniera culturale, come le due lampade di Adriano Haffner (n.132) e due angeli cerofori (n.

28) della pieve di San Lazzaro a Lucardo.
In quest’ambiente è sistemata anche la sezione delle sculture: la Madonna col Bambino (n.22) proveniente da Santa Maria a Bagnano, ispirata a celebri prototipi sansovineschi e due importanti statue di uno scultore senese della metà del XVII secolo rappresentanti San Nicola da Tolentino e San Giovanni di San Facondo, santi agostiniani che testimoniano lo strettissimo rapporto tra la stessa compagnia e gli agostiniani che ebbero la loro sede nel complesso dei Santi Jacopo e Filippo in Certaldo Alto.

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