Teatro della Pergola: Gleijeses dirige e interpreta "L'importanza di chiamarsi Ernesto"

Con Marianella Bargilli e Lucia Poli, da martedì 1° aprile

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
29 marzo 2014 21:29
Teatro della Pergola: Gleijeses dirige e interpreta

Geppy Gleijeses dirige e interpreta L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde, conMarianella Bargilli e Lucia Poli, alla Pergola da martedì 1° aprile.

L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde è stata definita come la più bella commedia di tutti i tempi e l’edizione del Teatro Stabile di Calabria nelle stagioni 2001/2002 e 2003 ha totalizzato il record di pubblico in molti teatri italiani. Geppy Gleijeses, interprete e regista, la ripropone oggi in un nuovo allestimento a più di dieci anni da quello strepitoso successo insieme a Marianella Bargilli nel ruolo en travesti di Algernon e con la splendida Lady Bracknell di Lucia Poli.

La commedia è la conclusione del ciclo dei “Drammi di società” dei quali fa parte con Il ventaglio diLady Windermere, Una donna senza importanza e Un marito ideale. Quando debutta a Londra nel febbraio 1895, anticipa di poco le accuse di immoralità che travolsero carriera e vita di Wilde.L’importanza di chiamarsi Ernesto, o di essere “serio” come talora si traduce giocando allo stesso modo dell’idioma inglese sulla parola “earnest” che compone il titolo originale, ha provocato molte congetture sul corso che l'evoluzione del drammaturgo e di conseguenza, forse, di tutto il teatro inglese, avrebbe potuto prendere senza l'intervento della magistratura.

Approfondimenti

Per Masolino D’Amico, oltre ad essere la commedia più rappresentata in assoluto, di certo esprime la quintessenza del teatro di Wilde: l’eleganza formale, lo straripare fulmineo dei dialoghi, il susseguirsi serrato di battute, il costante affacciarsi sul nonsense. La vicenda di John Worthing, messo sotto esame dalla terribile Lady Bracknell che intende valutarne le doti di futuro marito della figlia, risponde ai criteri di un vero e proprio atto di fondazione del “teatro dell’assurdo”, incarnato cinquant’anni dopo da Eugène Ionesco. Perché costruito su uno spettacolare castello di finzioni (John e l’amico Algernon si inventano una vita e una famiglia che non hanno), e su un puro gioco nominale: se Giulietta dietro ispirazione del Bardo era disposta a sposare Romeo quale che fosse il suo nome, Gwendolen e Cecily pretendono un Ernesto. Questo obbliga Wilde ad una spettacolare agnizione finale, che trasformi le finzioni in realtà.

Reinterpretare Wilde e la sua Importanza tredici anni dopo – racconta Gleijeses - ti consente di leggere in modo più articolato quella che passa per essere la ‘commedia perfetta’. La competizione può scattare con Le nozze di Figaro di Beaumarchais, altro gioiello insuperabile. Ma qui, attraverso un’implacabile lente deformante, si legge tutto il marciume mal celato dell’Età vittoriana, quel moralismo omofobo e d’accatto che Wilde profondamente detestava e che lo avrebbe condotto alla rovina.

Sembra assurdo, ma questa è la sua ultima commedia, la ‘commedia perfetta’, si cammina incoscienti, felici e ridenti sull’orlo dell’abisso. Il nostro compito era quello di continuare a giocare e far funzionare la macchina, ma, in tralice, il ridente parco della Manor House è un bosco in movimento e un po’ inquietante (fotografato impagabilmente da Teresa Emanuele) e nella casa di Algernon campeggia un martirio di San Sebastiano di Guido Reni, un meraviglioso esempio di estetica trafitta dai dardi del destino.

Come un destino crudele trafisse Oscar Wilde. E il suo personaggio, quello a cui egli affida le sue battute più pungenti e geniali, è Algernon, lo specchio del suo autore. E Algernon è interpretato qui da Marianella Bargilli, attrice deliziosa e androgina, con capello corto e riccioli ribelli, proprio come Alfred Douglas, l’uomo per cui Wilde perse la testa, poi l’onore e infine la vita. Anche se non dimentichiamo che il personaggio che l’autore avrebbe voluto interpretare è Lady Bracknell che ricorda la regina Vittoria ed è una delle parti più scintillanti mai scritte per il teatro.

Mi correggo: ho detto parte. No, è un monumento ed ora come tredici anni fa quel monumento è Lucia Poli. Credo che forse Wilde l’abbia scritto per lei.”

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