Slittano all'8-9 maggio i referendum per le fusioni di sei comuni toscani

Il presidente del Consiglio regionale Giani: “Auspico fusioni anche intorno a Firenze. Entro fine legislatura scendere a 270 Comuni”. Biffoni (Anci): "I Comuni devono essere protagonisti di ogni processo"

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 febbraio 2016 21:46
Slittano all'8-9 maggio i referendum per le fusioni di sei comuni toscani

FIRENZE- Il 17 aprile ci sarà il referendum nazionale sulle trivelle e i referendum consultivi sulle fusioni di comuni in Toscana – sei i territori chiamati alle urne – slittano dal 17 e 18 aprile all'8 e 9 maggio. Farli in contemporanea risultava infatti molto complicato: perché il referendum nazionale si svolgerà in un solo giorno e quelli locali in due, perché del primo la spesa è statale e del secondo regionale, perché diversa è anche la base elettorale, visto che sulle fusioni di comuni potranno esprimersi anche gli stranieri residenti da almeno cinque anni. Il presidente della Toscana Enrico Rossi ha firmato il decreto con la nuova data di convocazione al termine della scorsa settimana.

Manca solo la pubblicazione, che sarà nei prossimi giorni . Alle urne saranno chiamati i cittadini di San Marcello e Piteglio sulla montagna pistoiese, di Castellina Marittima e Riparbella in provincia di Pisa e di Capolona e Castiglion Fibocchi in provincia di Arezzo. In tutta la Toscana dal 2012 ad oggi sono stati diciassette i referendum che si sono svolti in comuni che avevano deciso di fondersi. Per nove è stata decisa la fusione, già nei fatti in otto casi con i Comuni passati da 287 a 279 in tutta la Regione.

Otto referendum non sono invece passati.

“Siete favorevoli all’istituzione del Comune di Castellina Riparbella per fusione dei due Comuni di Castellina Marittima e Riparbella?”. Sarà questo il quesito al quale gli elettori dei due comuni pisani dovranno rispondere nel corso del referendum consultivo sulla proposta di legge per la nascita del nuovo comune.

I referendum precedentiIl primo dei diciassette referendum che ci sono già stati è stato quello del 6-7 maggio 2012 in Casentino, che ha coinvolto tredici diversi comuni ma bocciò il comune unico. Il 21-22 aprile 2013 di referendum ce ne sono stati ben quattro: negli otto comuni dell'Elba vinsero i "no", mentre si sono fusi Figline e Incisa, Castelfranco e Piandiscò, Fabbriche di Vallico e Vergemoli. Il 16 giugno 2013 è stata la volta di Castel San Niccolò e Montemignaio, dove i cittadini hanno detto che la fusione non era da farsi. Altri nove referendum si sono svolti il 6-7 ottobre 2013.

Nel pisano i cittadini di Peccioli e Capannoli bocciarono la fusione con Palaia, dove avevano prevalso i "sì", mentre sono diventati un comune unico Lari-Casciana Terme e Lorenza-Crespina. Via libera anche al nuovo comune di Pratovecchio Stia e a quello di Scarperia e San Piero a Sieve nel Mugello, mentre un "no" è stato registrato per Suvereto e Campiglia e per la proposta di un comune unico di Villafranca e Bagnone. Saltata anche la fusione tra Aulla e Podenzana e Borgo a Mozzano e Pescaglia.

Il penultimo referendum si è tenuto il 26-27 ottobre 2014, con la nascita dal nuovo comune di Sillano Giuncugnano. Poi c'è stato il 29-30 novembre 2015 quello dell'Abetone e Cutigliano, con il via libera alla fusione ricevuto a gennaio dal Consiglio regionale.

Nelle settimane scorse si era espresso anche il presidente del Consiglio regionale della Toscana, Eugenio Giani, sulla questione: “In questa legislatura il Consiglio regionale deve arrivare a ridurre il numero dei Comuni toscani – ribadisce Giani –. Alcuni sono effettivamente troppo piccoli. Oggi sono 279, noi in modo molto ragionevole non dobbiamo certo arrivare ai 50 Comuni proposti dall’Irpet: sarebbe una violenza in molti territori. Dobbiamo però cercare di avvicinarci all’obiettivo di 250 Comuni in Toscana”.

Deve andare avanti, spiega il presidente, il processo avviato già dalla passata legislatura, con una quota-obiettivo per questi cinque anni: “Dobbiamo arrivare sotto i 270 Comuni. Deve avvenire con un processo volontario e infatti anche nel caso di Abetone-Cutigliano ci siamo ispirati a questo criterio. Dobbiamo darci un giusto metodo. Processo volontario significa che i due Comuni interessati, in altri casi saranno tre o quattro, dovranno vedere i rispettivi Consigli comunali concordi nell’approvazione della deliberazione”.

Poi, il referendum, nel quale “deve emergere la maggioranza dei cittadini: anche se nel singolo Comune ciò non arriva, si può verificare, come in questo caso, un clima generale che porta all’unione”. E in ragione di questo metodo, “la procedura per Abetone e Cutigliano andrà avanti. Ci impegneremo a fondo anche per considerare le altre proposte, dall’Aretino, dal territorio di Massa, dal territorio di Pisa, dove nelle singole comunità locali queste unioni stanno maturando. Auspicabile anche che ciò che abbiamo letto sulla stampa qualche giorno fa, riguardo alla possibilità di veder fondere Comuni dell’area fiorentina – è il caso di un’eventuale fusione tra Firenze, Scandicci e Bagno a Ripoli possa andare avanti.

Sarebbe un modo intelligente per affrontare i tanti problemi di integrazione territoriale”.

“Le fusioni tra Comuni possono essere una grande opportunità per i nostri territori. Ma ad una condizione: che le comunità locali siano assolute protagoniste di ogni processo. Per questo ANCI, pur condividendo i processi, non reputa utili nè giuste le ‘fusioni a freddo’ definite a tavolino: non funzionano”. E’ quanto afferma il presidente di Anci Toscana e sindaco di Prato Matteo Biffoni in merito alla questione dellefusioni tra comuni, in questo periodo particolarmente ‘calda’. “La posizione di Anci è chiara: i Comuni devono tornare al centro della riforma della pubblica amministrazione, perché sono i Comuni a dover ridisegnare il riassetto complessivo del governo locale, secondo le specificità dei territori”.

“Per tutti – continua Biffoni - la ‘stella polare’ deve essere chiara: offrire migliori servizi ai cittadini,ottimizzare i servizi, contenere le spese. Per questo è necessario un sistema di incentivi sia finanziari (ricordo che nella legge di stabilità i contributi per le fusioni sono raddoppiati) sia procedurali, con un sistema di premialità per l’accesso a contributi e bandi, e con una semplificazione amministrativa che eviti di duplicare gli adempimenti”. Proprio per supportare i territori sul tema delle fusioni, Anci Toscana ha ha costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare, per offrire agli amministratori un supporto operativo, oltre che politico e istituzionale.

Sul tema delle aggregazioni di Comuni in Toscana il quadro è in continua evoluzione. L’istantanea di oggi vede 149 amministrazioni in Unioni di comuni (oltre il 50%), 16 comuni già fusi e, complessivamente, 59 enti in cui si discute (o si è discusso) di comune unico. I Comuni toscani in condizioni più disagiate sono quelli montani di piccola, se non piccolissima, dimensione, che occupano i primi trenta posti nella specifica graduatoria regionale. Tutti hanno una popolazione inferiore ai tremila abitanti. Nella graduatoria, ben 115 comuni, dei 142 che nel 2015 risultano essere al di sotto della media regionale, hanno una popolazione inferiore ai cinquemila abitanti.

Una proposta di legge presentata alla commissione affari istituzionali della Camera da 20 parlamentari del PD stabilisce che "il limite minimo di abitanti perché possa esistere un comune è fissato nella soglia di 5.000 abitanti. Essa modifica pertanto il testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, introducendo un nuovo comma nell'articolo 13. Trascorsi poi ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le Regioni provvederanno con legge alla fusione obbligatoria di tutti i comuni la cui popolazione sia inferiore a 5.000 abitanti e che non abbiano già avviato di propria iniziativa procedimenti di fusione.

Quindi i comuni avranno due anni di tempo per procedere autonomamente, dal basso, e secondo criteri di omogeneità, maggiormente rispettosi delle caratteristiche fisiche dei territori o delle tradizioni loro proprie, a predisporre fusioni al fine di costituire comuni che abbiano almeno 5.000 abitanti. Qualora non lo facciano autonomamente nei primi due anni, in base all'articolo 2 della proposta di legge, saranno le regioni, con propria legge, a provvedere. In tal caso però i comuni perderanno il diritto a tutti i benefici previsti dalla legge per incentivare le fusioni di comuni".

E' questo in sintesi il senso della proposta di legge n. 3420 presentata a metà novembre e che sta suscitando forti reazioni contrarie negli amministratori dei piccoli Comuni d'Italia.

In evidenza