Università degli Studi di Firenze
Comune di Firenze

 
GLI INSERIMENTI LAVORATIVI DEI MALATI PSICHIATRICI
NEL QUARTIERE 5 DI FIRENZE

 
Rete di Comunicazione
Nove da Firenze

 
CENNI CIRCA IL PERCORSO LEGISLATIVO DELL'ASSISTENZA PSICHIATRICA IN ITALIA


La legge 180
 
Negli ultimi decenni l'Italia ha vissuto una profonda trasformazione delle istituzioni e della cultura psichiatrica.
Il modello italiano esordì ufficialmente nel 1978 con la ormai famosa Legge 180 che inaugurò la riforma psichiatrica, determinando una profonda modifica culturale e organizzativa a tutti i livelli istituzionali.
Essa ha prodotto nuove modalità di approccio alla malattia mentale, ha modificato gli obiettivi fondamentali dell'intervento pubblico: dal controllo sociale alla promozione della salute,dal custodialismo ai bisogni e ai diritti dell'utente come cittadino. Ha indirizzato verso nuovi parametri di intervento: dal modello incentrato sul ricovero a quello sul territorio. Tutto il disegno strutturale e l'organizzazione del lavoro nei servizi hanno subito un percorso-processo di cambiamento radicale: basti pensare all'avvicinamento delle strutture per la diagnosi e cura dei pazienti psichiatrici ai luoghi di residenza e alla volontà di affiancare alle strutture ospedaliere altre strutture di tipo intermedio e residenziale.
Per comprendere il significato di questa trasformazione è necessario inserirla in un percorso storico.
Si parte da una prima legge organica approvata il 12 settembre 1904, che pose il manicomio come struttura cardine della assistenza ai malati psichiatrici e che resterà in vigore, seppure con qualche modifica, fino al 1978.
Con la prima normativa unitaria sulla follia si stabiliscono i principi decisivi. Recita l'articolo 1: "Devono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano rientrare, essere convenientemente custodite e curate fuorchè nei manicomi". L'internamento viene qui inteso come forma di prevenzione, tutti i malati di mente che non rappresentano un pericolo ne sono esclusi.
E' scritto all'Articolo 2: "L'ammissione degli alienati nei manicomi deve essere chiesta dai parenti, tutori o produttori, e può esserlo chiunque altro nell'interesse degli infermi e della società".
Dal 1904 in poi, ogni commissariato di pubblica sicurezza ha il potere di emettere ordinanze di ricovero sulla base di certificati medici che contengano almeno una sommaria dichiarazione di pericolosità. Non occorre la firma di uno specialista, basta la dichiarazione di un ortopedico o di un dentista. E' sufficiente avere un malessere in un luogo pubblico per essere spediti in manicomio; chi entra non può uscire di sua volontà, per tutti è prevista l'indelebile iscrizione al casellario giudiziario.
"La legge, così come era formulata, -scrive il giudice Romano Canosa nel 1979, -con i criteri restrittivi ed esclusivamente di pubblica sicurezza che la informavano, almeno per ciò che concerneva l'ammissione degli infermi, contribuiva a incrementare la follia, facendo sì che un numero non indifferente di epilettici, alcolisti, nevrastenici eccetera, non essendo pericolosi, rimanessero a "inquinare il consorzio civile", dall'altro che la stretta connessione tra ricovero in ospedale psichiatrico e formalità di polizia faceva sì che molti malati non venissero fatti ricoverare dalle famiglie per timore dello scandalo, con il rischio che la malattia, non curata, si aggravasse e diventasse cronica".
Durante il ventennio fascista il manicomio diventa strumento di lotta politica, mentre la strada delle terapie alternative viene ostacolata, la psicoanalisi viene censurata, tornano attuali le teorie organiciste, secondo le quali la malattia mentale è dovuta a fattori esterni alla persona oppure è ereditaria. L'Italia per anni è influenzata dalle idee naziste dello psichiatra tedesco Ernst Rudin, teorico della "razza pura". In Italia, due sono le scoperte della ricerca: l'elettroshock nel 1938 e alla pari di altri paesi europei, la diffusione degli psicofarmaci a cominciare dai primissimi anni cinquanta.
Dalla metà degli anni cinquanta fino alla metà degli anni sessanta si assiste allo sviluppo della psicoanalisi, rinasce l'interesse dentro e fuori dalle università, l'editoria psichiatrica conosce un vero e proprio boom.
Tra il 1959 e il 1961 vengono pubblicate le opere degli psichiatri Ronald Laing e Thomas S.Szasz, che condannano l'uso del manicomio e la reclusione come forma di terapia, teoria che respinge in blocco tutto il sapere e la prassi medica fino a quel momento dominanti e che parte dallo studio del contesto esistenziale in cui vive l'individuo. Il manicomio viene considerato per la prima volta nella storia, un luogo dove l' individuo perde la propria identità, uno spazio in cui è negata la libertà, il folle è una vittima, capro espiatorio di tutti i mali della società.
Nel Marzo 1968, arriva la Legge 431, che riconosce il ricovero volontario, l'abolizione del annotazione al casellario giudiziario da parte del giudice (ex articolo 604 del codice di procedura penale), la creazione dei Centri di igiene mentale a livello provinciale ripartiti in divisioni con un massimo di 125 posti letto, il tetto massimo di 625 posti letto per ciascun ospedale psichiatrico. Si tratta di uno stralcio di un progetto di legge chiamato "Provvidenze per l'assistenza psichiatrica", facente parte di un disegno di riforma presentato nel 1967 dal ministro socialista della Sanità Luigi Mariotti.
Sulla spinta del movimento istituzionale e con la minaccia del referendum abrogativo, si arriva alla Legge 180;
"In realtà la vera ragione sussurrata era che, alla prova dei fatti, il referendum sarebbe stato sconfitto e il "manicomio" avrebbe riportato una maggioranza schiacciante."
Attraverso una serie di contrapposizioni cercherò di chiarire in che maniera la posizione centrale del manicomio sia venuta a decadere progressivamente fino al punto in cui l'aggettivo "manicomiale" assumerà un senso di infamia.
Una prima contrapposizione nel vecchio regime psichiatrico è quella tra pubblico e privato: i fondatori della psichiatria italiana, nonostante l'impronta laica, non riuscirono a realizzare il desiderio di far prevalere la struttura pubblica , il privato tenne dure le sue posizioni all'epoca come continua oggi.
Una seconda contrapposizione è quella tra ospedale ed università: non esisteva in Italia una tradizione ospedaliera di grande prestigio clinico e didattico. Il direttore dell'ospedale psichiatrico, tranne qualche eccezione, era uno degli Aiuti della clinica universitaria che lasciava la carriera universitaria con la benedizione del barone di turno. La clinica funzionava come un servizio di ammissione dell'ospedale con funzioni di filtro delle patologie: così si spiega la massiccia presenza negli ospedali di pazienti psicotici molto gravi giudicati irrecuperabili.
Una terza contrapposizione è quella tra centralismo e decentramento: L'antica tradizione italiana delle autonomie locali ha consentito alle province di ritagliarsi un grande margine di discrezionalità all'interno del quadro della Legge 36 del 1904 con posizioni più illuminate e altre decisamente più avare, che peseranno sull'assistenza e sul destino del manicomio. Ultima contrapposizione, quella tra neurologia e psichiatria: la posizione privilegiata della neurologia portò all'istituzione di divisioni neurologiche negli ospedali generali, la loro incidenza escluderà ancor più l'ospedale psichiatrico, divenuto ormai il luogo delle cronicità. In questo contesto si produsse "l'effetto Basaglia", che può essere riassunto in tre punti: Denuncia del manicomio come menzogna terapeutica che nascondeva un luogo di ghettizzazione sociale;
tentativo di una cultura alternativa tendente a riconoscere "l'altro" nell'"alius";
Politicizzazione e pubblicità strumentali alla lotta contro l'esclusione.
Il parlamento, pressato dai referendum si produsse in un'attività legislativa frenetica: fu in questo clima che nacque la legge 180, o la "quasi legge", una misura di tamponamento e nello stesso tempo una provocazione per il futuro.
Nei fatti, la Legge 180 non ha fondato un nuovo regime psichiatrico, né ha distrutto il vecchio: essa ne ha modificato il funzionamento,agendo su alcuni suoi nodi accelerando o invertendo i flussi preesistenti. Per esempio, ha esteso l'accesso dei malati acuti e dei malati cronici verso l'assistenza privata. Tuttavia non si può disconoscere ciò che la legge ha significato e non rilevare i suoi pregi.
Positivo è stato il passaggio dal custodialismo all'azione terapeutica, questa legge elimina la necessità della custodia per il malato di mente:
Positivo è stato il passaggio dal custodialismo all'azione terapeutica, questa legge elimina la necessità della custodia per il malato di mente:
"La novità della legge s'incentra, infatti, soprattutto sulla scomparsa del concetto giuridico di pericolosità del malato mentale, da cui si deduceva la necessità di custodirlo e quindi di violentarlo e reprimerlo; sull'opposizione- che da questa scomparsa deriva- alla creazione di nuove strutture segreganti; sul capovolgimento dell'ottica tradizionale della psichiatria che si trova per la prima volta in condizione di affrontare colui che soffre di disturbi psichici, senza lo schermo della pericolosità e della custodia".
Positiva l'importanza data alla tutela della salute mentale piuttosto che alla tutela dell'ordine pubblico e alla prevenzione piuttosto che alla repressione; positiva l'equiparazione della salute psichica alla salute fisica sul piano della tutela e l'affermazione sul piano giuridico dei diritti della personalità dei malati affetti da infermità mentale, da sempre considerati socialmente e giuridicamente diversi dagli altri cittadini; positiva la trasformazione dei modi di concepire e praticare il trattamento dei malati, basato, da un punto di vista medico, su nuove concezioni e da un punto di vista sociale sul riconoscimento di una doverosa necessità di intervento.
All'Atr. 1 della suddetta legge si stabiliscono i principi riguardanti gli interventi a scopo sanitario: "Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari. Nei casi in cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione(…). Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del Sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria locale, su proposta motivata di un medico"
Ogni intervento deve essere attuato rispettando la libertà di scelta sia del luogo di cura che del medico curante, e l'interessato deve essere messo in grado di conoscere tutte le informazioni necessarie per potersi autodeterminare.
"Laddove la scienza tradizionale e per essa il sistema manicomiale aveva posto il mistero, l'imprevedibilità dei comportamentie quindi la minaccia, i servizi che dovrebbero nascere con la riforma pongono la conoscibilità e la curabilità che possono realizzarsi all'interno di una situazione in cui sia promossa la più ampia esplicitazione della soggettività".
Accanto a questi aspetti positivi vi furono anche gravi lacune sia nella fase normativa sia in quella attuativa.
La legge, sul piano normativo, non definisce in concreto i modelli di intervento, abolisce la vecchia istituzione manicomiale ma non offre linee guida precise sulle misure alternative, affidando alle singole regioni il compito colossale di realizzarle, con conseguente disomogeneità di strutture sul territorio nazionale; non concilia l'esigenza di tutela del malato con quella dei suoi familiari; non prevede strutture per i lungodegenti o per i malati cronici o privi di supporto familiare, che necessitano di strutture residenziali con assistenza continua.
Sul piano dell'attuazione vennero lamentate, in particolar modo, la mancata o insufficiente realizzazione delle strutture extra-ospedaliere; l'inadeguatezza di queste ultime ai bisogni dei pazienti e alle differenti patologie psichiatriche; la mancata formazione del personale e la mancata programmazione di una seria educazione sanitaria e sociale, finalizzata a una reale prevenzione e ad un significativo consenso.
 
Il Progetto-obiettivo
 
La riforma psichiatrica varata nel 1978 poi travasata, nei contenuti sostanziali, negli articoli 33 e seguenti della legge di riforma sanitaria n. 833, ha aperto la via a profondi cambiamenti culturali e organizzativi.
"La scarsa articolazione dei servizi e il ritardo nel predisporre le strutture e gli interventi sul territorio complementari e alternativi alla degenza ospedaliera, avevano prodotto un inevitabile sovraccarico delle famiglie, tale da suscitare diffusi fenomeni di rigetto della stessa filosofia della Legge 180. Situazioni molto differenziate tra le regioni italiane, condussero alla realizzazione di un sistema di servizi disomogeneo nelle strutture e nelle modalità di intervento, suscitando reazioni negative e proteste".
Alcune regioni vararono, nell'ambito dei rispettivi piani sanitari, progetti-obiettivo, altre invece si limitarono ad adottare provvedimenti tendenti a colmare carenze immediate e specifiche, senza una visione organica della situazione.
Il risultato fu, in termini di rete di servizi attivi sul territorio e di dotazione di personale, al di sotto del fabbisogno, tale da giustificare l'esigenza di uno specifico Progetto-obiettivo da inserire all'interno della programmazione sanitaria nazionale, per imprimere una decisiva svolta al processo di realizzazione e di adeguamento di una moderna politica sanitaria nel campo della psichiatria.
Viene emanato con un Dpr il 7 Aprile 1994 il Progetto-obiettivo nazionale tutela della salute mentale, che diverrà la norma di riferimento delle leggi in materia di assistenza psichiatrica e che concluderà il processo di riorganizzazione dei servizi rimasto incompiuto dall'emanazione della Legge 180.
Il Pon indicava per il triennio 1994-1996 quattro obiettivi fondamentali:
Realizzazione del modello organizzativo del Dipartimento di salute mentale su tutto il territorio nazionale.
Costituzione in tutte le Usl di una rete di strutture.
Superamento del residuo manicomiale.
Promozione e diversificazione delle competenze professionali e degli operatori, attraverso progetti di formazione e di aggiornamento.
Altre priorità riguardavano:
La formazione di un sistema informativo, con particolare riferimento al monitoraggio della spesa;
l'individuazione di un sistema di indicatori di qualità dell'assistenza psichiatrica. Il Pon, oltre a definire le competenze e le funzioni del Dipartimento di salute mentale, ne ha approfondito il modello organizzativo, prevedendo l'articolazione in moduli dipartimentali, costituiti da Centri di salute mentale, Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, Strutture intermedie semiresidenziali (Day hospital, Centri diurni ), Strutture intermedie residenziali. Si venne così a strutturare un nuovo modello di governo della Psichiatria, che prevedeva l'attuazione, a livello delle singole realtà regionali, di un progetto globale con la razionalizzazione delle risorse impiegate, l'eliminazione di "diseconomie", l'attivazione di meccanismi di controllo (Conferenza permanente Stato-Regioni, Commissioni parlamentari, Osservatori).
Complessivamente il Progetto-obiettivo aveva rappresentato un grosso sforzo innovativo rispetto alla disciplina precedente, cercando di individuare ed omogeneizzare, per la prima volta a livello nazionale, i Servizi e di definirne i parametri e gli standard.
Le regioni, a seguito dell'emanazione del Pon, sono state chiamate a recepirlo nella loro normativa. Pertanto i Consigli regionali hanno attuato una serie di atti normativi di revisione del proprio assetto organizzativo dei Servizi di salute mentale.
Il processo è coinciso con la riforma dell'Assistenza sanitaria, che ha obbligato le regioni ad esaminare i problemi legati alle diverse modalità di finanziamento e alla collocazione dei servizi psichiatrici all'interno delle istituende Aziende ospedaliere.
In sintesi nei sedici anni intercorsi tra la Legge 180 ed il Progetto obiettivo nazionale, le regioni hanno adottato soluzioni differenti per regolamentare l'organizzazione dell'assistenza psichiatrica nel loro territorio.
I modelli articolati e complessi delle singole realtà regionali, se hanno costituito da un lato la base dalla quale hanno attinto lo stesso Pon, dall'altro hanno condotto a rallentamenti e differenziazioni nella pragmatica attuazione del progetto stesso.
La realizzazione del Dipartimento di salute mentale su tutto il territorio nazionale è stata prevista per un bacino d'utenza non superiore ai 150.000 abitanti.
Le denominazioni sono diverse da regione a regione: Unità modulari in Piemonte, Unità operative in Lombardia, Veneto, Toscana e Campania, Unità territoriali psichiatriche in Sardegna.
Al 30 giugno 1996, data dell'ultima indagine condotta dall'Istituto italiano di medicina sociale (Iims), il numero dei moduli dipartimentali stabiliti complessivamente dalle regioni è di 458, a fronte dei 381 auspicati dal Pon; la maggior parte dello scostamento è attribuibile alle regioni del sud.
Il Centro di salute mentale (Csm) costituisce l'asse portante del Progetto obiettivo.Tutte le legislazioni regionali lo prevedono, anche se vengono utilizzate denominazioni diverse (in Lombardia. Centri psico-sociali; in Emilia Romagna: Servizi di salute mentale ecc.).
"Complessivamente, il numero dei Csm previsti dalle regioni è superiore del 60% rispetto a quello fissato dal Pon (1,95 ogni 150.000 abit.), con 1008 punti ambulatoriali che spesso vicariato la mancanza di una struttura specifica, sede organizzativa del dipartimento."
Le strutture semiresidenziali pubbliche e private, attraverso le due tipologie e le due funzioni riabilitative e clinico-terapeutiche del Centro diurno (Cd) e del Day Hospital (Dh), assicurano un'offerta fondamentale nell'ambito dell'assistenza psichiatrica, sono rappresentate da 621 unità con 7.783 posti ospite (po). In sintesi la crescita delle strutture semiresidenziali è stata esponenziale. Dalle 131 unità censite nel 1984 si è passati alle 621 del 1994, con un aumento percentuale del 374%.
Riguardo alle strutture residenziali pubbliche e private, la regolamentazione è affidata quasi integralmente ai legislatori regionali. Ciò si è tradotto in una poco chiara definizione delle loro funzioni, in una mancanza di uniformità di denominazione, che ha comportato confusione (28 denominazioni diverse), con riflessi negativi specie nella rilevazione dei dati.
Anche nei casi di comune denominazione (comunità protette e comunità alloggio), non sempre c'è concordanza di funzioni tra regioni, viceversa, strutture con la stessa denominazione svolgono il medesimo tipo di attività.
Lo standard assistenziale è riportato solo in alcune legislazioni regionali, mentre in altre non ne è indicato alcuno. Manca un Osservatorio nazionale che organizzi le conoscenze circa le modalità di funzionamento, gli standard, i risultati.
"Nel complesso risultati importanti sono stati raggiunti, ma permangono ancora forti discordanze circa il completamento dei sevizi, la capacità di funzionare in modo integrato, la dotazione di risorse umane."
Il Progetto-obiettivo "Tutela della Salute mentale1998-2000", sottolinea come il processo irreversibile di superamento degli ex Ospedali psichiatrici pubblici e privati convenzionati, possa ritenersi avviato a conclusione, anche se con tempi e modalità differenti da regione a regione; ricorda tuttavia la presenza di situazioni di "istituzionalizzazione", che non sono state toccate dal processo di superamento degli ex Oopp: si riferisce in particolare alla istituzionalizzazione di pazienti in età evolutiva e alla realtà degli Ospedali psichiatrici giudiziari.
Il Piano sanitario nazionale 1998-2000, approvato con Dpr 23 luglio 1998, colloca la salute mentale tra le numerose tematiche ad elevata complessità, per le quali si rendono necessari indirizzi programmatori specifici. Il nuovo progetto-obiettivo contiene obiettivi specifici di salute da perseguire anche ben al di là del suo termine di validità nominale: obiettivi di prevenzione, cura e riabilitazione.
Le strutture del Dipartimento di Salute mentalevengono riconfermate nel loro assetto e negli standard previsti, così come riportato nel precedente Pon, in particolare:
Il Centro di salute mentale si occupa del coordinamento degli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale dei pazienti nel territorio di competenza; esamina la domanda di accoglienza e le attività diagnostico-terapeutica eventualmente svolta sul paziente; Definisce le modalità di approccio integrato, inserendole nella strategia di comunità terapeutica, i sistemi di raccordi con i medici di base e le consulenze secialistiche.
Il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura è ubicato nel contesto di aziende ospedaliere o presidi ospedalieri di Aziende Usl con area di emergenza funzionante 24 ore su 24 o presidi universitari convenzionati.In esso si esplicano trattamenti psichiatrici volontari ed obbligatori in condizioni di ricovero. Di norma è dotato di non più di 16 posti letto e di adeguati spazi per attività comuni.
Il Day Hospital costituisce un'area di assistenza semiresidenziale per prestazioni diagnostiche e terapeutico-riabilitative a breve e medio termine. Si colloca in strutture ospedaliere o in strutture esterne all'ospedale ma collegate con il Csm; ha la funzione di permettere l'effettuazione coordinata di accertamenti diagnostici complessi, di effettuare interventi farmacologici e psicoterapeutici riabilitativi e di ridurre il ricorso al ricovero vero e proprio o di limitarne la durata.
Il Centro diurno è una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative, aperto almeno 8 ore al giorno per sei giorni la settimana. Dispone di locali idonei ed attrezzati e si avvale di una propria équipe ed eventualmente degli operatori delle cooperative sociali e delle organizzazioni di volontariato. I suoi compiti sono volti a consentire la sperimentazione nell'ambito dei progetti terapeutico-riabilitativi, di abilità nella cura di sé e nelle quotidiane relazioni interpersonali.
Le strutture residenziali non sono soluzioni abitative ma sede dello svolgimento dei programmi terapeutico-riabilitativi per utenti di esclusiva competenza psichiatrica. E' esclusa, nella loro funzione, l'attivazione di qualsiasi forma di isolamento degli utenti e per questo sono da collocarsi in località urbanizzate e facilmente accessibili. L'accesso e la dimissione dei pazienti avvengono in conformità ai programmi personalizzati e viene previsto uno standard di un posto letto per 10.000 abitanti, con possibilità di una quota aggiuntiva di un altro posto letto per specifiche situazioni locali, legate alla chiusura degli ospedali psichiatrici.

 
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