Università degli Studi di Firenze
Comune di Firenze

 
GLI INSERIMENTI LAVORATIVI DEI MALATI PSICHIATRICI
NEL QUARTIERE 5 DI FIRENZE

 
Rete di Comunicazione
Nove da Firenze

 
CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE


Premessa
 
I dati analizzati in questa parte della ricerca sono relativi alle variabili socio-demografiche che riguardano l'utenza: età, stato civile, luogo di nascita e residenza, livello di scolarizzazione, condizione professionale, professione svolta, eventuali inserimenti socio-terapeutici o assistenziali, tipologia della famiglia di origine, situazioni di solitudine, dichiarazione di handicap, percentuale di invalidità riconosciuta.
 
Si tratta di variabili descrittive che non creano particolari difficoltà in sede di raccolta dei dati, salvo i casi in cui è stato difficile reperire sul territorio le cartelle sociali, che non si trovano in un unico archivio, come già accennato nella premessa metodologica. E' stata svolta un'analisi incrociata di alcune di queste variabili con l'obiettivo di individuare eventuali correlazioni significative.
 
Stato civile ed età
 
Per la scelta dell'età degli utenti da far rientrare nel campione, si è cercato di tener presente il criterio fondante l'idea della ricerca: un'utenza, almeno potenzialmente in grado di essere inserita su luoghi di lavoro, che rientri, cioè, nei criteri della domanda e dell'offerta del mercato del lavoro.
 
Non fanno parte del campione analizzato le persone che hanno età inferiore ai ventuno anni, considerate in una fase di formazione scolastica o professionale, e le persone con un'età superiore ai quarantacinque anni, uscite dal mercato del lavoro o per situazioni cliniche difficili, dovute a precedenti di istituzionalizzazione, che hanno compromesso capacità residuali connesse ad attività lavorative, o perché in pensione, e quindi non alla ricerca di un lavoro che permetta loro sussistenza ed autonomia.
 
La maggior parte delle persone analizzate, si colloca nella fascia di età compresa tra i 31 ed i 35 anni: sono utenti giovani, in carico al Dipartimento di Salute Mentale ed in rapporto con il Servizio Sociale attraverso il Gruppo Interdisciplinare di Salute Mentale del quartiere. Persone che fanno parte o hanno fatto parte di programmi di inserimento sociale attraverso progetti di avviamento al lavoro, inserimenti socio-terapeutici, e socio-assistenziali, così come le politiche sociali del dopo riforma e i Progetti-Obiettivo prevedono.
 
La fascia di età compresa tra i 36 ed i 40 anni è quella che nel 1980, anno della riforma Basaglia, aveva 16- 20 anni, e che nel 1987, anno in cui a Firenze è stato definitivamente chiuso l'Ospedale psichiatrico di S. Salvi, aveva 22-26 anni. Sono pazienti del Dipartimento di Salute Mentale e del Servizio Sociale, delle innovazioni culturali, sociali, organizzative e territoriali in materia di malattia mentale.
 
Questi pazienti non hanno conosciuto la realtà dell'internamento, se non per periodi brevi ed in un clima di riforma che già prima del 1980 si respirava in Italia ed in Europa. Seguono i pazienti in età comprese tra i 41-45 e 26-30 anni. Molti di questi rientrano in una tipologia, che si rivolge al Servizio sociale, non tanto per la ricerca immediata di un lavoro, quanto per la risoluzione di problemi pratici, aiuti economici o per cercare un legame di fiducia che sia al di fuori di quello tra psichiatra e paziente, che permetta loro di avere un contatto col mondo al di fuori di sé, attraverso l'assistente sociale. Nel complesso, si ha un numero consistente di pazienti giovani, in età compresa tra i 21 ed i 40 anni, di cui 109 su 180 di età inferiore ai 35 anni.
 
Passando a considerare lo stato civile e confrontandolo con l'età, si osserva un'alta percentuale di utenti conviventi o coniugati. Sembra che il disagio psichico non sia in relazione con la sussistenza di rapporti stabili, ma che tali pazienti si rivolgono al Servizio sociale in relazione all' assunzione di responsabilità nei confronti di altre persone o situazioni quali la convivenza o il matrimonio, desiderio di prendere e mantenere i contatti con la vita concreta di tutti i giorni o per la difficoltà di far fronte, da soli, a necessità familiari.
 
Dei 180 casi analizzati, 86 sono coniugati o conviventi, 49 sono separati o divorziati, 42 sono "single", e solo 3 vedovi. Sembra che il disagio psichico sia in modo molto evidente, legato a situazioni di mancanza di relazioni stabili. Durkeim, ipotizza l'esistenza di "…quel che potremmo definire la selezione matrimoniale. Il matrimonio, infatti, opera meccanicamente una specie di cernita sull'insieme della popolazione. Non si sposa chiunque lo voglia. Si hanno poche probabilità di riuscire a fondare una famiglia se non si posseggono certi requisiti di salute, di ricchezza e di moralità. Chi non li ha, a meno di un eccezionale concorso di circostanze favorevoli, volente o nolente viene respinto nella categoria dei celibi, che finisce così per raccogliere tutto lo scarto del paese. E' là che si trovano gli infermi, gli incurabili, le persone troppo povere o palesemente tarate".
 
Le ipotesi di Durkeim risultano in parte tutt'oggi valide, ad eccezione di una certa quota di persone che fanno una scelta di vita, o per mutati stereotipi sociali e culturali, o legata ad esigenze di carriera, esiste un'alta percentuale di persone "sole", che subiscono questa condizione per questioni legate a quella che Durkeim chiama "selezione matrimoniale". I dati di questa ricerca, sebbene ristretti allo studio di un caso particolare e quindi nell'impossibilità di generalizzare, sembrano confermarlo.
 
Un'ulteriore osservazione va fatta a proposito dei separati, divorziati e vedovi, che risultano essere 52 su 180, un numero piuttosto alto rispetto alla totalità del campione. Sembra che tutte quelle problematiche legate alla disgregazione familiare confermino il nesso tra queste ultime, disagio psichico e difficoltà di integrazione sociale.
 

 

Famiglia di origine e solitudine
 
Osservando i dati, si può notare come prevalga la famiglia nucleare naturale nel 20% dei casi, sia evidente la mancanza di un genitore nel 27% dei casi, generalmente per morte prematura dell'altro, e la famiglia ricostituita nel 23% dei casi. Per famiglia ricostituita si intende rientro in famiglia di origine da parte della persona con disagio psichico, per cause diverse, quali separazioni, divorzi, fallimenti di progetti di vita autonoma o lavorativa, aggravarsi della malattia. Sono presenti anche altre situazioni, quali la mancanza di entrambi i genitori, nel 13% dei casi, per morte di entrambi, e presenza nel 3% dei casi di genitori adottivi, da considerarsi marginale, solo 6 casi su 180. Molto forte risulta essere il legame familiare, che conferma un'utenza appoggiata alla famiglia, presente e necessaria alle esigenze quotidiane del malato.
Incrociando la variabile relativa a situazioni di solitudine con lo stato civile, risulta che la maggior parte dei celibi vive ancora con i genitori o con altri membri della famiglia d'origine. Vi è, però, anche un 14% di persone che vivono da sole per assenza di nucleo familiare, con cui si intende spesso abbandono da parte di genitori alla nascita, o affidamento del bambino ad altri.
 

Per quanto riguarda la presenza di conflittualità familiare, nel campione analizzato, è stata individuata, nella scheda di rilevamento dei dati, una variabile denominata "segnalazione di conflittualità familiare", le cui modalità valutano le relazioni sia all'interno della famiglia di origine che dentro la famiglia acquisita. I casi sono assegnati alle varie categorie in base ai racconti anamnestico e sociale, che generalmente forniscono informazioni precise circa la consapevolezza, da parte del paziente, della presenza di conflitto nelle proprie relazioni familiari. La variabile quindi misura sia la percezione cosciente del conflitto (cartella clinica), sia la situazione esaminata e valutata dall'assistente sociale (cartella sociale) attraverso i colloqui con l'utente e con i familiari.
I pazienti psichiatrici, soffrono di conflitti interiori di carattere emotivo, che si manifestano nella vita quotidiana attraverso scontri con le persone loro più vicine. Anche per chi convive con il malato mentale, l'accettazione delle complicate logiche della follia e dei comportamenti irrazionali, delle crisi, l'atavica paura della malattia mentale, la stanchezza, i sensi di colpa, il disagio e la solitudine provocati dal pregiudizio, rendono pesante il quotidiano.
La rete relazionale di un soggetto, sia istituzionale che informale, ci permette non solo di averne una visione dinamica e di valutare gli elementi di sviluppo della sua storia, ma anche di riuscire a dettagliare nel modo più preciso possibile gli intrecci che ne derivano. In questo modo si evidenziano connessioni che permettono di affrontare la complessità del soggetto in senso globale e partecipativo: "…la persona è incapace di cogliere la complessità degli elementi in grado di ridare respiro alla propria esperienza quotidiana. Le origini del percorso che porta al disagio vengono ridotte su pochi elementi, talvolta uno solo, spesso individuato esterno da sé…Anche il recupero di un lavoro viene visto come elemento base del proprio benessere svincolato da ogni aspetto che tocchi il mondo delle "emozioni" e dei "vissuti". La semplificazione si riflette anche in ambito relazionale affettivo, con pochi o nulli agganci significativi, intrecci strumentali o, in numerose situazioni, forme di dipendenza dal partner o dalla figura materna. In entrambe le condizioni sono comuni l'incapacità di attribuire fiducia e referenzialità ad altri e la disponibilità solo a legami incanalati entro rigidi binari".
Del campione, il 17% presenta conflitti tra fratelli, il 15% con un parente convivente ed il 14% con un parente non convivente. Il rapporto con i fratelli è compromesso dalle gelosie dovute il più delle volte alle attenzioni che i genitori rivolgono maggiormente al figlio che ha più bisogno o all'invidia per una "normalità" che si palesa ogni giorno e che è sempre più irraggiungibile: la malattia mentale monopolizza la vita quotidiana di tutti i membri della famiglia e viene loro richiesto di adeguarsi ai ritmi, alle abitudini ed alle esigenze continue che la persona con disagio richiede.
L'11% degli utenti analizzati segnala liti familiari o tra matrigna /patrigno, queste nascono da senso di inadeguatezza, ma anche dal senso di colpa costante che incombe sui membri della famiglia: "…io mi ricordo sempre che sono stata io a dare a mio figlio questa malattia, la colpa è mia…e non lo so aiutare..." , oppure: " non è mio figlio, io non ce la faccio a sopportare che lei passi tutto il tempo con le medicine e con l'assistente sociale e qui e lì..."
 

Il 24% delle persone facenti parte del campione non vivono da sole, la maggior parte, anche se coniugata o con un convivente, vive nella famiglia di origine che si fa carico dei problemi della malattia e spesso anche di quelli di un nuovo nucleo familiare, nipoti compresi. Il 48% vive da solo per incompatibilità con i familiari. Rientrano in questa variabile le persone che vengono allontanate dalla famiglia su consiglio dello psichiatra e con l'intervento dell'assistente sociale, per favorire il decorso clinico della malattia, per un percorso socio-terapeutico mirato ad una maggiore autonomia, ma anche per esigenze espresse dal paziente stesso.
 

Scolarizzazione
 
Per quanto riguarda il livello di istruzione, le persone che rientrano nel campione analizzato, rispondono ad un livello medio-basso di scolarità, nonostante la giovane età (ricordiamo a tal proposito che l'età presa in considerazione va dai 21 ai 45 anni.), addirittura il 13% degli utenti viene indicato come privo di titolo di studio, tale percentuale comprende sia coloro che sono del tutto analfabeti che coloro che sono alfabeti senza titolo.
Il 35% delle persone possiede un titolo di studio elementare, solo il 13% ha completato la scuola dell'obbligo con un titolo di scuola media inferiore, l'8% arriva a completare gli studi superiori, il 7% termina gli studi universitari (è curioso come per questi ultimi i corsi di laurea prevalenti siano quello in filosofia e lettere, qualche volta conseguiti entrambi, come risulta da racconti dei pazienti stessi e dei loro familiari.). Il dato del campione supera la media nazionale dei laureati . Ciò si giustifica col fatto che le risorse culturali facilitano l'accesso ai progetti di inserimento lavorativo.
Se si considera il rapporto tra livello di istruzione e anno di nascita, si vede con chiarezza che l'utenza più giovane è quella con un più alto livello d'istruzione. Molte sono le persone orientate a corsi professionali, il 24% del campione ha frequentato uno o più corsi professionali, spinto dalla famiglia d'origine, da un coniuge o convivente, per scelta, o attraverso il Servizio sociale. Si potrebbe dedurre che, per la persona con disagio mentale, ma anche per la famiglia che la sostiene e per l'Istituzione, i percorsi che permettono un inserimento lavorativo in tempi brevi sono quelli ritenuti più idonei o più accessibili rispetto a percorsi di studio più lunghi ed impegnativi.
 

 

 

Mondo del lavoro
 
Considerando il rapporto tra titolo di studio e condizione lavorativa, si nota una forte percentuale di disoccupati, il 30% e lavoratori precari, il 27%, con una percentuale piuttosto bassa di stabilità lavorativa, rivelando una problematica di sottoccupazione e dequalificazione di quel 15% di persone con un titolo di studio superiore o universitario. Si osserva una forte componente di operai generici che rappresentano il 36% del totale dei casi e quelli specializzati l'8%. Sono presenti anche altre categorie, per esempio gli impiegati nel 10% dei casi e lavoratori autonomi o imprenditori in percentuali assolutamente trascurabili. La predominanza della componente operaia è probabilmente legata alla presenza nel Quartiere 5 di grossi poli industriali (Pignone), ma anche la disoccupazione, che per gli operai è più forte che per altre categorie di lavoratori, è probabilmente legata alla forte crisi industriale degli ultimi venti anni. Gli operai, sia generici che specializzati, tendono a diminuire tra gli utenti più giovani, tra i quali aumenta la percentuale di tecnici, impiegati, artigiani, professioni di ceto medio.
Nonostante la prevalenza di precarietà, si potrebbe rilevare la tendenza all'affermazione di un tipo di utenza nuova, giovane, appartenente al ceto medio, inserita nel mondo del lavoro con modalità nuove, sempre meno identificabile con le caratteristiche di emarginazione sociale che avevano riguardato la popolazione psichiatrica all'epoca dei manicomi. Questa tipologia di utenza rappresenta un cambiamento rispetto al tradizionale nesso tra psichiatria ed esclusione lavorativa e costituisce il polo di una nuova domanda che si afferma sempre più come richiesta di prestazioni al Servizio Sociale e di un alto livello di competenza.
Il 46% degli utenti svolge attività definite "altro", nelle quali si fa rientrare qualunque occupazione di manovalanza, lavoretti occasionali legati all'attività della famiglia, lavoretti svolti per i vicini di casa o amici di famiglia e retribuiti una tantum e a nero, ma anche attività artigianali o commerciali.
Solo il 2% delle persone facenti parte del campione analizzato risulta non aver mai usufruito di inserimenti socio-terapeutici o socio-assistenziali, di tentativi di realizzare progetti di inserimento sociale e di costruzione di autonomia attraverso attività di avviamento al lavoro, presso cooperative sociali, misericordia, volontariato, Enti privati o pubblici.
Il 29% del campione svolge o ha svolto attività lavorativa attraverso inserimenti socio-terapeutici a lungo termine, che si protraggono il più delle volte per anni, senza mai evolvere in contratti lavorativi veri e propri. Solo l' 11% ha usufruito o usufruisce di facilitazioni socio-assistenziali di tipo formativo/professionale, mentre il 41% ha bisogno di aiuti prevalentemente economici e di inserimenti in centri diurni e di tipo residenziale, perché incapace di sostenersi da solo per mancanza di lavoro, di una casa, indigenza, solitudine, incapacità della famiglia a gestire il problema.
 

 

 

Il 71% della popolazione presa in esame usufruisce di contributi economici: gettone di presenza per inserimenti socio-terapeutici 30%, retta per centri diurni 18%, sussidi mensili10%, sussidi economici alla famiglia 7%, affitti 6%.
Senza calcolare i contributi una tantum per pagamenti di bollette dell'elettricità, del gas o spese impreviste e non sostenibili.
 

Le categorie diagnostiche in cui sono suddivisi i 180 pazienti che costituiscono i casi della ricerca, sono una elaborazione concordata con l'aiuto del Primario del Dipartimento di Salute mentale del Quartiere 5 di Firenze. Se tali categorie così identificate, da un lato risultano piuttosto generali, dall'altro, consentono di contenere un numero consistente di patologie, permettendo di facilitare la lettura dei dati ed allo stesso tempo di specificarli. E'possibile così evitare conclusioni improprie e rappresentare ciascuna una tipologia di disturbi ben distinta dalle altre.
L'attribuzione dei casi alle categorie diagnostiche è stata facilitata dalla diagnosi presente nelle cartelle cliniche. Si è attribuito un importante significato alla comprensione ed allo studio delle patologie e delle categorie alle quali esse vengono ricondotte, poiché il momento della diagnosi ha un'importanza cruciale nella biografia e nel percorso evolutivo non solo clinico ma sociale del malato mentale.
Le patologie prevalenti sono i disturbi psicotici nel 35% dei casi, tra questi un posto a parte occupa la schizofrenia nel 18% dei casi, seguono le nevrosi nel 29% dei casi ed i disturbi del comportamento e dell'umore nel 18% dei casi. Questi gruppi diagnostici tendono ad includere una percentuale sempre maggiore di casi, così anche altre categorie nosografiche quali "disturbi d'ansia", "disturbi somatoformi", disturbi della personalità", "disturbi diagnosticati per la prima volta nell'infanzia", "disturbi cognitivi, delirium, demenza" e "disturbi dell'adattamento".
Nonostante questa tendenziale semplificazione, per l'importanza che riveste nella definizione dell'identità personale e sociale dell'individuo sofferente di disturbi psichici, la variabile "diagnosi" è stata incrociata con le altre, con l'intento di rilevare possibili correlazioni.
 

Le diagnosi "psicosi" e "schizofrenia", comprendono i pazienti con le seguenti patologie: "schizofrenia", "disturbo schizofreniforme", "disturbo schizoaffettivo", "disturbo delirante", "disturbo psicotico breve".
Di tutti gli schizofrenici presi in esame il 10% ha meno di 35 anni, e l'8% va dai 36 ai 40 anni. Si può ipotizzare un miglioramento nell'interpretare la malattia e nell'eseguire diagnosi psichiatriche più precocemente ed in maniera più precisa che non in passato, giustificando così anche l'alta percentuale di utenza giovanile con disturbi gravi quali quelli schizofrenici. In questa sede non è stato approfondito lo studio di casi di disturbi schizofrenici in cui una delle cause è attribuibile all'uso massiccio di sostanze stupefacenti, soprattutto di "nuova generazione".
Riguardo allo stato civile risalta l'alta percentuale dei pazienti coniugati e conviventi 48%, mentre tra i pazienti celibi/nubili, la maggior parte risulta essere affetto da "disturbi psicotici" o "schizofrenia", 15% su un totale del 23%. La quasi totalità dei pazienti vive con i familiari, riconfermando il ruolo determinante di accoglienza ed assistenza della famiglia. A conferma di ciò, tra i pazienti con questo tipo di diagnosi, quelli che vivono soli, sono privi di nucleo familiare 14%. Di tutti i pazienti con il diploma di scuola superiore, la maturità o la laurea, il 50% è diagnosticato nelle categorie "psicosi", "schizofrenia". Rispetto alla condizione professionale, alto è il numero degli "schizofrenici" disoccupati, il 20% su un totale del 30% e questo può essere imputato sia all'alta percentuale di utenti giovani, sia al fatto che la famiglia tende a proteggere e a chiudersi a riccio in casi di malattia mentale grave con periodi di crisi profonde e a volte incontrollabili. Nel complesso l'utenza con diagnosi di "schizofrenia" o "psicosi", è un'utenza giovane, che vive in famiglia, con un buon livello di istruzione ma con basse qualifiche professionali, interessata da sottoccupazione, con alti indici di disoccupazione in parte arginata dal fatto di usufruire di pensioni di invalidità.
Si intravede un elemento di esclusione sociale a carico di questi pazienti, nonostante gli obiettivi di miglioramento degli standard di vita sociale attraverso la progettazione, il lavoro degli operatori in equipe ed il lavoro di rete per il superamento di stereotipi e pregiudizi.
Consideriamo ora la categoria dei "disturbi del comportamento e dell'umore": questi sono maggiormente presenti dai 41 ai 45 anni di età, 12% su un totale del 18% dei casi. Sono compresi in questa denominazione diagnostica pazienti con le seguenti patologie: "disturbo depressivo maggiore", "disturbo distimico" e "disturbo bipolare". Sono prevalentemente coniugati, ma è proprio tra questi pazienti che ritroviamo un'alta percentuale di separati e ciò denota la forte correlazione tra instabilità coniugale e questo tipo di disturbi. Per quanto riguarda le situazioni di solitudine di questi pazienti, 25 persone su 32 vivono sole per diversi motivi, tra cui prevale la mancanza di un nucleo familiare, questa alta percentuale può essere ritenuta indicativa dell'importanza che riveste l'assenza di relazioni familiari significative nell'insorgenza, ma anche nella persistenza di questi disturbi. Riguardo al titolo di studio, sussiste un'alta percentuale di diplomati, 16 persone su 27 hanno compiuto studi superiori e 5 su 11 sono in possesso di titolo universitario.
Rispetto alla professione si nota la rilevanza della condizione di pensionato per cause di invalidità: questa, come si deduce dalle storie anamnestiche e dalle cartelle sociali dei pazienti, è spesso causa di aumento dei comportamenti depressivi, comporta perdita di mansioni e diminuzione delle responsabilità sui luoghi di lavoro, con conseguente perdita di ruolo e di identità sociale.
Nel complesso la patologia depressiva colpisce un tipo di utenza in età matura, per la maggior parte coniugata, ma anche in situazioni familiari complesse, con una certa stabilità occupazionale, con un livello di istruzione medio. Si può constatare un andamento positivo nella capacità del sistema terapeutico e del Servizio sociale di gestire questa tipologia di disagio mentale, attraverso una progettazione mirata al recupero di abilità e capacità di azione, fiducia, consapevolezza delle proprie potenzialità, recupero di legami e relazioni. L'aspetto relazionale ed esistenziale è fortemente presente nella genesi e nell'evoluzione di questa malattia: nell'analisi complessiva, sia dei dati che delle storie di queste persone, risalta l'importanza delle situazioni di conflittualità e di incompatibilità familiare come quelle di solitudine o di insoddisfazione lavorativa e la conseguente perdita di un ruolo professionale attivo.

 
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