Picasso, Miró, Dalí, e la modernità che plasmò l’Europa

A Palazzo Strozzi, fino al 25 gennaio 2015, circa novanta opere provenienti dalle collezioni del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid, raccontano l’evoluzione di un pensiero artistico che rilegge la civiltà mediterranea in senso moderno. Tutte le informazioni su orari, biglietti e attività collaterali al sito www.palazzostrozzi.org.

18 settembre 2014 19:46
Picasso, Miró, Dalí, e la modernità che plasmò l’Europa

FIRENZE - Le radici dell’uomo fissate sulla tela, le sue ramificazioni mitologiche e filosofiche, alla base di un percorso artistico che ha in Picasso il suo fulcro ideale. Genio egotista, gaudente tombeur des femmes e intelligente innovatore, è lui la figura principale della stagione artistica moderna di un intero Paese, che ha influenzato non poco l’arte europea dell’epoca.

A questa vivace stagione rende omaggio la mostra Picasso e la modernità spagnola, promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, e curata da Eugenio Carmona, il quale ha portata a Firenze una selezione di opere in grado di ricostruire un percorso artistico lungo mezzo secolo, da quel 1910 quando ancora brillavano le ultime luci della Belle Époque, al 1963, l’anno dei Beatles, di John Kennedy e dell’incubo nucleare.

Cinque decenni durante i quali l’Europa e il mondo intero subirono cambiamenti radicali, anche a causa della tragedia di due guerre mondiali. La Spagna, apparentemente ai margini della storia, visse anch’essa un Novecento travagliato, fatto di colpi di Stato, dittature e guerre civili, un clima difficile che però non impedì il formarsi di un clima artistico particolarmente vivo, che rivoluzionerà la pittura mondiale, divergendo dal figurativo e aprendo la strada all’Astrattismo. Barcellona era il centro di quella corrente di pensiero, che prese le mosse dal Modernismo europeo; come nella migliore tradizione letteraria e artistica europea, le frequentazioni avvenivano al caffè, quell’Els quatre gats ubicato nel carrer Montsió al piano terra della Casa Martí, un edificio modernista opera di Josep Puig i Cadafalch.

Vi si respirava un’atmosfera caliente, dove agli spettacoli di flamenco cui partecipavano procaci ballerine, si alternavano a dibattiti e mostre d’arte. Notti frenetiche, sulla scorta di quanto a Parigi accadeva, ad esempio, al Chat Noir. Fu qui che Picasso espose per la prima volta, nel febbraio e nel luglio del 1900.

Protagonista principale della mostra, come da titolo, il controverso genio di Malaga, attorniato per l’occasione da, fra gli altri, Joan Miró, Salvador Dalí, Juan Gris, Maria Blanchard, Julio González, Martin Chirino e Aurelio Arteta. A distanza di un secolo, la modernità di Picasso è ormai un “classico”, e continua a parlarci attraverso la sua potenza visiva e concettuale, che l’artista seppe trovare grazie alla sua vasta cultura arcaica, da sempre insita nell’animo spagnolo, come testimonia l’alto numero di suoi colleghi protagonisti della modernità. Una mostra che s’insinua nel cuore del pensiero artistico del Novecento europeo, attraversato da numerose correnti avanguardiste, buona parte delle quali nate in Spagna, come il Cubismo (anche se con ramificazioni parigine), il Surrealismo, l’Ultraismo, il Neocubismo, il Vibrazionismo e l’Arte Nuevo, correnti che hanno indagato l’uomo e il suo immaginario,

La mostra è articolata in nove sezioni. Sin dalla prima, Riferimenti, si entra nella complessità, stilistica e di pensiero, dell’opera di Picasso, che si può parzialmente definire come ricerca dell’autentica bellezza, attraverso continue ricerche e riflessioni. Un concetto che si ritrova nel racconto breve di Honoré de Balzac Il capolavoro sconosciuto, dove già si parla concettualmente della distorsione della forma, e della difficoltà per il grande pubblico di comprendere il genio assoluto.

Un clima che a Picasso piaceva, tanto da indurlo a realizzare una serie di disegni tratti dal racconto, visibili in mostra accanto a una versione de Il pittore e la modella, che richiama il modus operandi e concettuale dell’artista. Una tela dai colori brillanti, che è metafora del processo creativo, e fa di Picasso la pietra miliare dell’arte moderna spagnola (e non solo). Una modernità pensata come naturale evoluzione della civiltà arcaica mediterranea.

La Spagna, e la Catalogna in particolare, è terra ricca di spunti innovativi, nati in un clima artistico particolarmente fervido, quale fu quello della prima metà del Novecento. Un popolo, quello iberico, profondamente mediterraneo, sospeso fra Oriente e Occidente, fra misticismo e pragmatismo, fatalista quanto basta a mantenere una vaga aura romantica mista a nostalgia. Forse inconsciamente, forse no, la ricerca artistica si spinge fino alle radici della civiltà mediterranea, fondata sugli antichi miti del classicismo greco.

Un classicismo che però aveva la contaminazione quale imprescindibile meta; lo si comprende la meglio nella sezione Variazioni, che include opere rappresentative di tutti i suoi principali momenti artistici. Vi spicca quel Ritratto di Dora Maar (forse la più amata e più soffocata delle sue muse), accanto a opere quali Busto e tavolozza, I gronghi, Testa di donna. Il segno primitivo comincia a farsi da parte per divenire completa ricerca dell’essenzialità, di fatto aprendo la strada al Cubismo.

L’analisi della forma e della sua concretezza ha,oltre Picasso, illustri esponenti in Spagna, che la sezione Idea e Forma - con opere quali Arlecchino con violino di Juan Gris, Donna con chitarra di María Blanchard, Tempo sereno di Pablo Palazuelo -, presenta in modo esaustivo. In un significativo gioco di forme, il figurativo convive con le prime avvisaglie dell’Astrattismo.

Tuttavia, l’interesse manifestato da Miró per la poesia, attorno al 1923, fu determinante per mantenere l’arte spagnola all’interno di una dialettica con il segno, la superficie e lo spazio, e lo stesso Picasso cominciò a gettare le basi per una nuova evoluzione pittorica basata sulla spontaneità, più o meno in contemporanea con altri colleghi quali Bores, Gargallo e lo stesso Miró. Ne scaturisce una produzione artistica caratterizzata da un segno particolarmente pregno di significato, lontano però dal mero realismo.

Questo trova spazio nella sezione Realtà e sopra-realtà, nella peculiare declinazione dell’arte spagnola delle poetiche e delle forme del Surrealismo, incarnati - oltre che da Picasso e Dalí - anche da artisti quali José Gutiérrez Solana o Antonio López.

Centrale, nella mostra, la sezione Verso Guernica, suddivisa tra Il Mostro e La Tragedia; Picasso rilegge la mitologia classica alla luce della Spagna del 1937: Scena bacchica con il Minotauro, Donna torero, il Toro alato e il Minotauro cieco. Da queste acqueforti prende le mosse Guernica, l’enorme tela che denuncia la tragedia della guerra, per adesso limitata alla Spagna, ma che di lì a poco scoppierà in Europa e nel resto del mondo. L’archetipo del mostro, la lotta contro di esso, divengono i simboli di una drammatica realtà: il nuovo Minotauro da abbattere sarà, per la Spagna democratica, la dittatura franchista, mentre il resto dell’Europa dovrà vedersela con i regimi totalitari. Evidente, anche all’interno di un ragionamento non soltanto artistico ma anche politico, il retaggio dell’antica civiltà classica.

Analogamente posta sul piano del collegamento all’era arcaica, la concezione della natura nella modernità spagnola. Benjamín Palencia, Oscar Domínguez, Alberto Sanchez, così come Picasso e Dalí, con le loro opere che richiamano il legno, la pietra, le forme primitive, suggeriscono un paesaggio ancestrale, fatto di silenzio e incommensurabili spazi interiori.

Chiude la mostra la sezione Verso un’altra modernità, relativa alle nuove ricerche che il mondo artistico spagnolo avviò sul finire degli anni Quaranta. Il clima interno si era fatto pesante, e il soggettivismo senza arbitrarietà tipico di esperienze quali l’astrattismo di Paul Klee, o di Jackson Pollock, o ancora il Raggismo di matrice russa. Picasso restava quale simbolo di un passato a tratti anche scomodo, espressione di una bellezza plastica che il secondo dopoguerra non vedeva troppo di buon occhio. Tàpies, Vicente, Saura, Millares, hanno il merito di aver ampliata la ricerca artistica spagnola, privandola però, forse, di quell’anima mediterranea, fortemente connessa all’uomo, che era stata il concetto basilare della prima modernità iberica.

Opinioni a parte, si tratta di una mostra concettualmente profonda e raffinata, forse di lettura non immediata per il pubblico meno preparato, ma caratterizzata da un elegante allestimento minimalista, che esalta la bellezza di opere non comuni in Italia. Perdersi nelle vasta sale di Palazzo Strozzi, respirando i colori della creatività spagnola, significa almeno per un attimo riprendere possesso delle nostre radici antropologiche, interpretate secondo il corso del difficile Novecento europeo.

Nella foto: Picasso, Ritratto di Dora Maar, 1939, collezione del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid

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