DOSSIER

Il Petrolchimico di Brindisi (1969-1972)

di Tatiana Schirinzi

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1. Preambolo: cenni sulla storia della Montecatini/Edison e sulla politica dei "poli di sviluppo"

L'impianto venne costituito alla fine degli anni cinquanta dalla Montecatini. Questa azienda era da oltre settant'anni un colosso della chimica italiana, ma a partire dal dopoguerra si era trovata davanti tutta una serie di situazioni problematiche: il contesto internazionale era fortemente mutato, la concorrenza era enorme, esistevano una grande varietà di processi produttivi e prodotti nuovi, i brevetti perdevano la loro efficacia e i livelli dell'economia di scala necessari ad assicurarsi il vantaggio competitivo tendevano ad innalzarsi sempre di più.

La Montecatini non seppe invece adeguarsi alla nuova situazione e ricostruì gli impianti prebellici ricalcandone le dimensioni e le localizzazioni, realizzando così impianti eccessivamente concentrati su alcuni prodotti della chimica di base piuttosto che su altri più moderni.

Nel realizzare poi di Brindisi commise inoltre errori di previsione riguardo a tempi e costi di costruzione ed errori di tipo tecnico, che segnarono la fabbrica nel corso di tutta la sua vita, creando problemi legati ad una nocività maggiore di quella "necessaria"4.

La Montecatini si fuse nel 1965 con il gigante ex-elettrico Edison, che aveva un andamento piuttosto positivo, migliore rispetto al proprio. I meccanismi della fusione, a cui sovrintesero Mediobanca di Enrico Cuccia e la Banca d'Italia guidata da Guido Carli, furono tuttavia poco trasparenti e alla fusione stessa mancò qualsiasi tipo di vaglio, fosse esso dello Stato, degli azionisti o degli investitori.

Il corso azionario dell'impresa nel suo complesso precipitò in pochissimi anni ed intervenne così il tanto discusso sostegno dell'ENI, presieduto da Eugenio Cefis: la Montedison divenne allora un'azienda a partecipazione statale e nel 1971 Cefis stesso ne assunse il controllo. La presidenza di Cefis fu densa di ombre e più voci inquadrano quella scalata alla Montedison come un'operazione finalizzata ad estendere il potere personale di Cefis e non a favorire lo sviluppo della chimica italiana.

è dunque in questo quadro poco limpido che dobbiamo inserire le strategie dell'azienda, le sue crisi, le sue problematiche5. La localizzazione dell'impianto a Brindisi era legata innanzitutto alle caratteristiche fisiche del territorio - dotato di un’area di notevoli dimensioni che si affacciava per un lungo tratto sul mare aperto, con fondali profondi6 - ma era inserita anche nel quadro della creazione dei cosiddetti "poli di sviluppo", stabilita dai governi italiani nel corso degli anni cinquanta7.

Una legge del 1957 - da inquadrare nella più ampia serie di interventi a favore del Mezzogiorno, tra i quali si annovera pure la famigerata Cassa per il Mezzogiorno, già istituita nel 1950 - stabiliva infatti che avrebbero dovuto essere largamente incentivati gli investimenti industriali nel Meridione da parte di privati, nonché avviati investimenti pubblici. Generose concessioni finanziarie ­da parte dello Stato, che potevano arrivare a coprire l'intero ammontare dell'investimento, avrebbero dovuto portare alla costruzione di veri e propri "poli" in alcune aeree scelte del Mezzogiorno - Brindisi ma anche Cagliari, Taranto, Salerno - ed altri minori "nuclei di industrializzazione", per dare un forte impulso occupazionale e creare un indotto che generasse grande sviluppo8.

Di fatto gli investimenti si rivolsero in gran parte a strutture ad alta intensità di capitale piuttosto che di lavoro, si portarono dietro pressioni clientelari e condussero al rigonfiamento di un notabilato locale mosso da interessi poco trasparenti. Inoltre, talvolta, queste grosse imprese distrussero tessuti industriali preesistenti formati da piccole aziende e non riuscirono mai a creare un vero e proprio indotto: i "poli di sviluppo" ben presto vennero soprannominati allora "cattedrali nel deserto"9.



4. Cfr. A. Marchi, R. Marchionnati, Montedison 1966-1989, Milano, Franco Angeli, 1992.

5. Cfr. per questa parte E. Scalari, G. Turani, Razza padrona, Milano, Feltrinelli, 1974 e A. Marchi, R. Marchionnati, Montedison, cit.

6. Cfr. C. Aymonino, Origini e sviluppo della città moderna, Padova, Marsilio Editori, 1972, p. 89.

7. Cfr. per questa parte P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 2006 (1989), pp. 309-313.

8. E. Scalari, G. Turani, Razza Padrona, cit., p. 372, cit. anche in P. Ginsborg, Storia d'Italia, cit., p. 311.

9. Cfr. anche F. Barca, Il capitalismo italiano: storia di un compromesso senza riforme, Roma, Donzelli, 1999.


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