On Dog: Metastasio Jazz si apre all’Europa contemporanea

Prosegue Metastasio Jazz, sull’onda delle atmosfere sperimentali delle sonorità europee emergenti. Sul palco On Dog, progetto italo-danese nato da un’idea di Francesco Bigoni, in un concerto realizzato con il sostegno del Danish Arts Council e di JazzDanmark.

17 febbraio 2015 11:28
On Dog: Metastasio Jazz si apre all’Europa contemporanea

PRATO - Dopo l’esplosivo jazz americano della scorsa settimana, Metastasio Jazz si sposta al Teatro Fabbricone per virare sull’avanguardia europea, nello specifico italo-danese, nelle sonorità del quintetto On Dog, un progetto nato dall’esigenza di rispondere alla sparizione di tanti jazz club, che ha a sua volta impedito crescita, dialogo e maturazione dei jazzisti italiani. I quali, armati di entusiasmo e buona volontà, hanno varcato i confini nazionali per aprirsi a reti flessibili di incontri e performance di gruppo.

Questa la genesi di On Dog, una formazione che gioca molto sul contrappunto e la polifonia, e dà vita a un interessante jazz progressivo, caratterizzato dall'utilizzo di tempi dispari e inconsueti, frequenti cambi di tempo, e variazioni di intensità e velocità. Un jazz che richiede tutta la maestria di Piero Bittolo Bon (sax alto, clarinetto basso, flauto), Francesco Bigoni (sax tenore, clarinetto), Beppe Scardino (sax baritono, clarinetto basso), Mark Solborg (chitarra, elettronica), e Mark Lohr (batteria, elettronica).

Il concerto si apre con un trittico, White Horse, Sloeblack e Der nimmersatt, caratterizzato da atmosfere meditative, oniriche, sullo stile di Houses of the Holy, l’album del 1973 che è una pietra miliare nella carriera dei Led Zeppelin, il più sperimentale e il più affascinante fra quelli incisi dal gruppo, che strizza l’occhio a Miles Davis, in particolare nell’estesa improvvisazione di No Quarter.

White Horse è caratterizzato in apertura da un a solo di chitarra - sullo stile del primissimo Jimmy Page -, ogni singola nota del quale è una goccia di pioggia, ben supportato dalla batteria che sembra la galoppata di una divinità vedica in una nuvola tempestosa. Portare il brano su atmosfere più meditative è compito dei fiati, sommessi, ossessivi, che ricreano musicalmente il surreale volo pittorico dell’ape immaginato da Salvador Dalì, per poi tornare a una frase monocolore, sulla falsariga delle improvvisazioni di Coleman Hawkins.

Ne scaturisce un jazz che sviscera il concetto stesso di suono, insistendo su motivi di una o due note, estrapolandone tutte le sfumature possibili, esplorandone i confini e le possibilità.

Sloeblack, a seguire, è una stratificazione dei sax sulle note acute, con la batteria di supporto Virtuosismi di Piero Bittolo Bon, che in certe cadenze ricorda Darius Jones, seguito dall’a solo lunare di Beppe Scardino, vicinissimo a Roscoe Mitchell. Ma com’è ormai nel clima del concerto, e nello stile della band, il brano prosegue su un’atmosfera a metà fra il grunge e il jazz manouche, con evidenti richiami alle improvvisazioni di Django Reinhardt, e con la potenza della batteria a corroborare le derive cool dei fiati distorti che si arrampicano sui toni acuti. Solborg, alla chitarra, spinge al massimo la distorsione, quasi un segnale radio disturbato, un pizzicare le corde che diventa un’estrarre chirurgicamente ogni singola nota. L’atmosfera onirica creata dai sax, in questo frangente assume sapori africani, come se i fiati venissero utilizzati per scavare una tomba, quasi un rito di rievocazione degli antenati.

On dog è forse il più americano dei brani in scaletta, sonorità spigolosa dell’underground di Chicago e un assolo di chitarra che è un’incursione nel blues. Vi si innesta magistralmente il caldo sax di Bittolo Bon, accompagnato da Bigoni e Scardino. Da notare il ruolo discreto, atipico, che l’a solo ricopre in questa formazione, molto legata all’espressione collettiva: non è mai, infatti, un elemento risolutore dei brani, ma dà risalto all’affiatamento degli strumentisti.

Interessante e dinamico il brano Bat and ball, dall’atmosfera rarefatta; esordisce sommesso, soltanto con il sax e la batteria, che nel proseguimento del brano guadagnano intensità, in particolare i tre sax sui toni acuti, ai quali si aggiunge la chitarra con una sequenza su tre note; ne risulta un’architettura sonora che sfiora la musica concreta di Cage e Stockhausen.

Più classica J’accuse Mancoose, un brano dall’ atmosfera travolgente di jazz virato sul rock, che è una risposta artistica al compositore Mancuso, e caratterizzato da una batteria cadenzata e tre sax “arrabbiati”, con Bittolo Bon particolarmente scatenato, mentre Solborg alla chitarra ricorda il Keith Richards di Monekey Man.

In chiusura, l’unico bis The cat takes revenge and..., un brano onirico e oscuro, dall’atmosfera della psichedelia inglese, caratterizzato dai fiati suonati sulla lunga nota di bordone di un organo vittoriano.

Un jazz meno concettuale di quello ascoltato lunedì scorso, e più interessato alla sperimentazione tecnica, ma che ha comunque meritati gli applausi dell’attento pubblico di appassionati.

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