Nove da Firenze: il giornalismo locale on line al tempo di Facebook

Una riflessione sui pericoli dell'interazione tra social network e notizie digitali

Nicola
Nicola Novelli
06 gennaio 2016 22:05
Nove da Firenze: il giornalismo locale on line al tempo di Facebook

A 19 anni dalla fondazione di ‘’Nove da Firenze’’ stiamo tracciando in questi giorni un bilancio della nostra esperienza editoriale. La testata è su Facebook e Twitter, anche se abbiamo puntato sempre di più sulla costruzione di una rete di relazioni di fiducia con gli interlocutori fisici.

Siamo ben consapevoli che i lettori accedono all'informazione attraverso i canali più disparati, da Facebook a WhatsApp e che si prevede che questa abitudine crescerà ulteriormente nei prossimi anni. Sul giornalismo dei social media pullulano i consulenti e gli esperti, anche se nessuno conosce i fattori che condizionano davvero l'algoritmo delle principali piattaforme. Parametri che cambiano tra l'altro continuamente.

Le redazioni sanno bene che chi pubblica su Facebook una notizia raccappricciante di cronaca nera può sperare in tante visualizzazioni, ma di quale natura? Occorre una riflessione sugli obiettivi che tante testate perseguono: vale la pena di accettare ogni compromesso pur di conquistare i click dei lettori? O per essere costruttivi è meglio rinunciare a visite potenziali?

E non si creda che sia più semplice per una testata specializzata, o locale. L'alimentazione della comunità dei lettori è un problema anche per testate generaliste, ma legate a un territorio, come Nove da Firenze, nonostante la scelta di specializzarsi in inchieste e di slegarsi dall'urgenza dell'ultima notizia. Perché così si rinuncia proprio a un pubblico vasto ed eterogeneo. E perché pagine di approfondimento, o schede informative sono proprio le più difficili da promuovere sui social-network e da posizionare nei motori di ricerca.

Ormai una bella fetta del giornalismo on line punta tutto su contenuti virali, senza prendersi la briga di verificare e di fare buona informazione. Le dichiarazioni devono essere eclatanti, le notizie si pubblicano vere, o false che siano. Ricordate la polemica dei mesi scorsi suelle fotografie di minori profughi morti pubblicate su Facebook? Il fenomeno di distorsione si manifesta su larga scala in molti ambiti di contenuto ed è provocato dalle stesse testate giornalistiche, che con il rilancio sulle piattaforme di socializzazione intendono aumentare il numero delle letture dei propri siti internet.

L'estate scorsa l'esperto informatico Massimo Mantellini in un articolo sul Post.it ha stigmatizzato la pubblicazione su Repubblica.it e La Stampa.it del video terribile dell’assassino dei due giornalisti in Virginia, materiale che i maggiori siti giornalistici USA avevano omesso di pubblicare. E raccogliendo una battuta di un lettore, Mantellini ha definito il Corriere.it “Il più grande archivio online di video di squali”.

Gli episodi che ho raccolto personalmente in questi ultimi mesi sono numerosi. A luglio scorso un sito metereologico aveva diffuso una prima frammentaria notizia di una scossa di terremoto sull'Appennino Tosco-Emiliano titolando "Scossa superiore al 4° Richter", rettificando poi con ulteriori notizie sino al 3.7° effettivo (10.000 volte meno potente di quanto annunciato nel primo lancio). Tuttavia, avendo promosso la notizia iniziale sulla propria pagina Facebook, l'informazione inesatta, ma più eclatante per i lettori, ha continuato a circolare per ore condivisa da centinaia di utenti del Socialnetwork.

Nello stesso periodo il Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, sezione di Napoli dell’INGV, ha dovuto smentire con un comunicato di una pagina un'imminente eruzione ai Campi Flegrei. Nei giorni precedenti numerosi cittadini avevano telefonato alla Sala Monitoraggio, turbati da quanto appreso a causa di notizie allarmanti sui vulcani dell'area diffuse da testate giornalistiche on line e TV.

Dai colleghi dell'ufficio stampa della Giunta regionale Toscana ho appreso che spesso sono costretti a ridimensionare allerte meteo diffuse da siti internet che collegandosi al sito del Lamma regionale raccolgono tutti i comunicati metereologici e li diffondo on line come se si trattasse sempre di allarmanti previsioni, anche se i documenti del Consorzio meteorologico annunciano soltanto il transito di perturbazioni piovose.

Tuttavia non si pensi che questo proliferare di procurato allarme e immagini impresentabili sul web produca automaticamente proventi economici/pubblicitari per i siti che violano la deontologia, né che le notizie infondate e le immagini discutibili vengano promosse sempre dalle redazioni giornalistiche. L'esperienza di Nove da Firenze lo può certificare.

Negli ultimi tre anni le nostre pagine più lette, quelle che hanno sfondato il tetto delle 50.000 letture singole, sono due notizie su cui onestamente non avremmo puntato, che non ritenevamo rilevanti al momento della pubblicazione, ma che hanno messo in moto meccanismi di attenzione distorti e probabilmente non per nostra iniziativa. E a trarre vantaggio autentico dalle condivisioni su Facebook è stata la piattaforma social, piuttosto che il nostro giornale. Provo a spiegarmi.

A fine agosto gli accessi di Nove da Firenze hanno subito un'impennata, a causa dell'improvvisa attenzione a una notizia da noi pubblicata nel 2013 e all'epoca letta da poche centinaia di persone. Si trattava di una sintesi di una ricerca del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze dell’Università di Siena sul contributo terapeutico della Vitamina C nella cura del retinoblastoma. Per iniziativa di chissà chi e chissà perché due anni e mezzo dopo la sua pubblicazione, la notizia ha ripreso a circolare su Facebook.

Nei post di FB il nostro titolo, privato del sommario e del corpo testo suonava un po' come “Con la vitamina C si cura il cancro”. Nel giro di poche ore 30.000 condivisioni del post e oltre 50.000 letture della notizia. Mi sono immediatamente attivato per modificare il titolo, in maniera che i successivi post rendessero più evidente il ruolo della vitamina soltanto in relazione a una particolarissima forma di cancro oculare e questo ha rallentato notevolmente la diffusione del “virus informativo”.

Ma è interessante notare anche quanto un così intenso traffico di letture avesse prodotto in termini di click sui banner pubblicitari per Nove da Firenze: poco più di € 2,00. La ragione è che la notizia sensazionalistica, o scabrosa spesso non fa parte dell'abituale impasto informativo della testata che la pubblica e questo penalizza la “conversione” pubblicitaria di quei contenuti.

Vengo dunque ad alcune conclusioni della mia riflessione:

1. le testate on line che si abbandonano a pratiche non etiche possono così facendo aumentare il traffico di letture, ma difficilmente vedono crescere gli introiti pubblicitari;

2. non sempre l'epidemia di immagini scabrose, o notizie sensazionalistiche sono ascrivibili a pratiche scorrette. Talvolta ciò si verifica per iniziativa di altri soggetti -diversi dalle redazioni- che decidono di diffondere sui social contenuti digitali, spesso alterati rispetto alle fonti originarie;

3. chi trae vantaggio da questo proliferare di cattiva informazione, di allarmismo, di solleticazioni dei bassi istinti, sono certamente le multinazionali oligopoliste della rete (Google, Facebook, ecc.). Queste sì nella logica della larga scala e della “coda lunga”, drogano con simili attività la navigazione degli utenti e aumentano il tempo di permanenza del pubblico sulle loro piattaforme, con immaginabili ricadute in termini di introiti pubblicitari, per loro sì, significativi.

La consapevolezza su questi temi dell'opinione pubblica italiana e -in buona parte- anche degli addetti ai lavori è ancora piuttosto scarsa. Invece le redazioni dovrebbero dotarsi di esperti di verifica delle fonti e definire procedure standard di gestione degli errori e delle relative rettifiche. Abituandosi ad esempio a cancellare post e tweet rivelatisi imprecisi, o non veritieri. Pena la perdita nel lungo termine di ogni credibilità agli occhi dei lettori. Perciò ho recentemente formulato e proposto anche la modifica allo specifico articolo, con cui il Codice Deotologico dell'Ordine dei Giornalisti norma il dovere di rettifica.

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