L'Ultimo Harem: il teatro che unisce i popoli

Storia di un successo tutto fiorentino

Nicola
Nicola Novelli
21 aprile 2014 17:36
L'Ultimo Harem: il teatro che unisce i popoli

L'Ultimo Harem è la produzione teatrale di maggior successo, realizzata a Firenze negli ultimi 70 anni; Angelo Savelli è l'autore fiorentino più prolifico del teatro contemporaneo (insieme forse a Ugo Chiti) e Serra Yilmaz, una delle maggiori interpreti della scena turca, da dieci anni a questa parte ha eletto la nostra città a sua seconda casa. Partendo da questi presupposti è naturale che la compagnia Pupi e Fresedde, dopo aver staccato 22.000 biglietti in un decennio di rappresentazioni, abbia deciso di autocelebrare L'Ultimo Harem con un libro, presentato festosamente nelle settimane scorse al Teatro di Rifredi.

La storia è nota. Lo spettacolo in due atti racconta in coppia vicende parallele, distanti un secolo l'una dall'altra. E lo spettatore viene coinvolto in continui richiami e rimandi tra l'harem della Istambul del 1909 e il claustrofobico tinello di una abitazione turca dei giorni nostri. Lungo questo percorso tra antico e moderno, Savelli rinviene tracce antropologiche della cultura orale tramandata di generazione in generazione, dell'eterna identità femminile, del misterioso fascino dell'abbandonarsi (ricordate Belle de Jour di Louis Buñuel) contrapposto all'istitiva voglia di autodeterminare se stessi.

Al centro della scena Serra Yilmaz, intorno a cui lo spettacolo fu costruito, ponte vivente tra culture differenti, anche grazie alla fortunata circostanza di aver imparato la nostra lingua da ragazzina a Istabul, grazie ai vicini di casa italiani. L'attrice è ormai una preziosa risorsa della scena culturale fiorentina, di cui la città deve essere grata a Savelli.

Angelo Savelli, casentinese di origine, è un figlio del contado come tanti intellettuali che da secoli fanno grande Firenze. “Vien dal contado? Ebbene? E che vuoi dire?” fa domandare a Rinuccio Giacchino Forzano, riferendosi a Gianni Schicchi, e poi prosegue “Firenze è come un albero fiorito, che in piazza dei Signori ha tronco e fronde, ma le radici forze nuove apportano dalle convalli limpide e feconde!”. Negli anni l'artista, partito dal suo fortino di Rifredi, ha messo in scena 150 spettacoli, muovendosi con disinvoltura nei teatri di tutta Europa.

Come ogni artista Savelli è alla continua ricerca del senso della vita, dell'essenza dell'umano da concentrare nel racconto scenico. Ma mentre i suoi predecessori, cinquant'anni fa, potevano sviluppare la ricerca antropologica nel proprio paese (pensate al lavoro di Pierpaolo Pasolini sul Meridione e le periferie urbane), nell'Italia di oggi la cultura rurale è stata sommersa dagli spessi strati, una “colata lavica”, dello sviluppo economico, sotto i quali è ben difficile rinvenirla.

Così Savelli si è diretto in Medio Oriente, grazie ai programmi di cooperazione culturare finanziati dalla UE, una risorsa poco sfruttata nel nostro paese. E ha scoperto la Turchia, un'antica cultura in impetuosa trasformazione in questi anni, ma che consente ancora, qua e là, di trovare tracce umane originali. Istambul è una metropoli circondata da una cintura di gru che costruiscono nuovi quartieri, eppure nei vicoli del Suq è ancora possibile imbattersi in frammenti di un mondo antico, dove l'ambulante fa leggere il tuo futuro a un coniglietto che corre lungo il tabellone della cabala.

Le grandi città turche sono un frullato di alto e basso, ricco e povero, ortodossia islamica e commercializzazione del sesso all'occidentale, una di fianco all'altra. In questo sta la grandezza dell'Ultimo Harem, che non è soltanto la testimonianza di un passato che fu, ma pure una bandiera sventolata in difesa della libertà individuale della laicità culturale, dell'eguaglianza tra i sessi, per sostenere la battaglia di quell'ambiente intellettuale e universitario minoritario persino a Istambul, Ankara e Izmir, ma in cui Savelli ha incontrato tanti amici. Così lo spettacolo nato a Firenze non è soltanto intrattenimento, ma pure militanza attiva.

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