Luca Alinari a Palazzo Pitti

Nel saloncino delle statue della Galleria d'arte Moderna l'artista fiorentino espone l'alfa e l'omega di una ricerca che si è sviluppata nel corso di quasi cinquanta anni. Un labirinto d'immagini e l'enigma di una pittura d'inarrestabile tensione creativa.

Alessandro
Alessandro Lazzeri
27 giugno 2016 11:44
Luca Alinari a Palazzo Pitti

Al centro della Galleria d'arte Moderna di Palazzo Pitti, nel magnifico Saloncino delle Statue, si può visitare, sino al 24 luglio una mostra particolarmente significativa di Luca Alinari che espone un nucleo di opere degli anni Settanta insieme con alcune degli ultimi anni. E' una scelta che evidenzia esemplarmente l'infaticabile tensione creativa di un artista che si rinnova nel tempo e che continua a sorprendere. Alinari esordisce sul finire degli anni Sessanta, con riferimenti stilistici legati alla corrente “Neo Dada” e utilizza le tecniche più diverse quali il disegno con uso di colori fluorescenti, la decalcomania, il collage e le trasposizioni fotografiche, evidenziando un personalissimo stile con suggestioni fantastiche e oniriche.

Negli anni Ottanta approda alla formulazione di paesaggi immaginari e diventa presto uno degli autori più interessanti dell’arte contemporanea, quasi il punto di raccordo fra la generazione del post Pop Art e le sperimentazioni neo-figurative di quel periodo. Molto attivo negli anni Settanta e Ottanta, Luca Alinari avvia una profonda riflessione, un processo di disincanto, di disillusione rispetto alle finalità dell'avanguardia. Nel profondo sbandamento generazionale che travolge il mondo dell'arte e della cultura Alinari, attivo negli anni dell’impegno, come testimoniato da numerose opere della fine degli Anni Sessanta, non si abbandona al riflusso, ma trasferisce la sua utopia nella pittura, creando realtà che potrebbero essere sogni e sogni che si vorrebbero reali.

In questa vita liquida dove, per citare una straordinaria lettura dei nostri tempi del sociologo Zygmunt Bauman, la perdita del senso del tempo ci condanna a vivere in un’incertezza permanente, Alinari prova a compiere un'attività decisamente solida come la pittura.

Nelle sue opere, dove s'intrecciano astrazione e figurazione, si avverte la concretezza di un impianto disegnativo, che lascia emergere immagini e colori fantastici che occupano tutto lo spazio. In una realtà fluida la consistenza delle sue opere “chiuse” si caratterizza in una superficie uniforme che per Alinari, deriva da una lettura attenta degli artisti Macchiaioli. Al Signorini dell''Alzaia”, al Fattori della “Rotonda Palmieri “, al Silvestro Lega della “visita”, Luca Alinari ha rivelato più volte di aver guardato con attenzione, cogliendone l'aspetto innovativo in quella superficie uniforme che ha influenzato anche De Chirico. Un altro riferimento formale per Alinari è l' astrattismo di Magnelli. Sono questi alcuni riferimenti più volte sottolineati dall' artista che, però, sfugge naturalmente a quelle definizioni precise che servono a classificarlo e, per certi versi, a limitarne originalità e individualità.

Si è parlato per Alinari di Pop Art, di Surrealismo, di Realismo magico, di Metafisica. Definizioni del tutto inadeguate per descrivere la creatività di un artista complesso ed enigmatico come Alinari. Se si cercano i riferimenti artistici della sua pittura, nella pretesa d'inserirla in una facile e tranquilla classificazione non si deve ignorare, infatti, nemmeno di Luca Alinari la formazione letteraria che emerge, come per incanto, dalle sue opere. Sono titoli e scritte che pur componenti iconiche delle opere spesso aggiungono enigmi alla sua pittura.

Se ogni artista, per dirla con Merleau Ponty, non conosce la legge organizzativa dei suoi atti, la critica ha il compito forse impossibile di cogliere il senso del fare arte. Quando si legge un libro, si entra in contatto con la vita e il pensiero dello scrittore, invece quando si guarda, un quadro non è sufficiente la sola lettura formale. La pittura di Luca Alinari regala letture e suggestioni diverse, segni di una personalità complessa e non facilmente conoscibile. L'uso della scrittura nei suoi dipinti rivela un'evidente vocazione dell'artista all'affabulazione. I titoli dei suoi quadri sono tracce che rinviano ad altro. Il pittore inserisce nelle opere parole, numeri e frasi compiute che sono, forse, più che indicazioni per la lettura dell'opera, epifanie di una personalità complessa.

Un quadro come “Il teatro degli Artigianelli” è espressione della suggestione che Alinari coglie dalla nota poesia di Umberto Saba.” Falce martello e la stella d’Italia ornano nuovi la sala. Ma quanto dolore per quel segno su quel muro”. La lirica che descrive una rappresentazione nel teatro fiorentino degli Artigianelli e l’atmosfera della riconquistata libertà dal nazismo, per Alinari diviene icona di una nostalgica memoria popolare.

“Avvicinamento ad Almotasin”, titolo di un'opera del 1973 è, invece un evidente riferimento a uno “pseudosaggio”, scritto da Jorge Luis Borges nel 1935 che rimanda a un libro inventato da Borges e attribuito a uno scrittore immaginario. Forse potrebbe essere un segno di amore per l'invenzione, il desiderio di Alinari di creare qualcosa che non esiste, ma potrebbe esistere come i ricordi e i sogni che affiorano nelle opere dell'artista.

Un ricordo e sogno è “il talismano di Pinin”, romanzo per ragazzi scritto da Maria Pia Sorrentino, e illustrato da Bruno Angoletta. Un'opera che ha per l'artista i colori e i ricordi della sua infanzia e corrisponde, forse, al desiderio espresso da Alinari di recuperare aspetti della nostra cultura popolare, quel grande deposito di memorie e di cose che l'artista ama definire come pop art italiana.

“1942” ha una data in bianco su un fondo nero. Se formalmente l'opera può ricordare il “Quadrato nero” di Malevich, la data intende una riflessione sull'anno prima della nascita del pittore, il non esistente prima della vita. Una suggestione ispirata, come ci ha rivelato Alinari, anche dalla lettura di un famoso sonetto di Gioacchino Belli “Er cimiterio” che affermando che “tutti sono stati morti”sottilinea un'amara e realistica considerazione sull'esistere.

Come rileva Cristina Acidini nell'ampio ed esaustivo saggio che introduce la mostra, “fra i quadri convocati a Pitti, riconosciamo i capostipiti o almeno le prime apparizioni di motivi che sarebbero divenuti familiari ad Alinari e per i quali Alinari è divenuto famoso”.

In diverse opere è presente il motivo delle stelline, uno dei temi che ha reso famoso l'artista. Un firmamento fantastico, cosmico e affascinante che è icona del mondo favoloso di Luca Alinari. In altre opere come “Distruzione di se” si avvertono suggestioni alla Hopper: una serie di oggetti domestici in un interno che nell'apparente casualità delle immagini rivelano un'assenza e la sospensione della vita quotidiana. In “Perimetro” del 1974, compaiono orologi e oggetti desueti che appartengono al novero delle “buone cose di pessimo gusto “che l'artista ha spesso inserito nei suoi lavori.

Attraverso l'attenta lettura dei dipinti si coglie il senso della scelta. Le opere sono vere e proprie icone, sono l'alfabeto di un linguaggio che Alinari articola nei discorsi sempre nuovi e originali che caratterizzano la sua ricerca artistica. Gli ultimi quadri, le due tele che hanno per titolo “Come doveva essere Londra “ (2015) poggiano su una texture vibrante e mossa, su tagli tirati lungo diagonali prospettiche. Entrambe le opere vogliono essere uno studio e uno sviluppo da un dipinto del 1972. L'immagine abbandona l'immutabilità dell'illustrazione, per proporre in una lettura quasi “radiografica”, una visione incompiuta, forse, la scomposizione di un sogno che suggerisce il senso della circolarità del tempo.

Delle diciotto opere in mostra, due sono di proprietà delle Gallerie degli Uffizi: ”Autoritratto” e “la coperta di Girolamo Induno” che partecipò al Premio del Fiorino del 1971.

La mostra, visitabile negli orari di apertura della Galleria d'arte Moderna, è organizzata dall’accademia delle Arti del Disegno in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi. Il catalogo”Labirinto Alinari”, edito da Giorgio Mondadori, è a cura di Cristina Acidini.

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