​Jacopo Ligozzi, pittore fra divino e naturale

Per la prima volta, una grande antologica dedicata all’artista di scuola veneta, dal 27 maggio al 28 settembre, alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti

26 maggio 2014 19:27
​Jacopo Ligozzi, pittore fra divino e naturale

FIRENZE  ­  Gli  anni  fra  il  secondo  Cinquecento  e  il  primo  Seicento  videro  l’Italia  sconvolta  nei  suoi equilibri politici, con la Francia che cedeva il passo alla Spagna quale nuova potenza influente sulle vicende della Penisola. Sulla ali della Storia, si affacciò anche il clima della Controriforma, che spense i bagliori del

Rinascimento per avvolgere  “il bel Paese ove il sì suona” in un nero sudario  chiesastico, dove il libero pensiero è sacrificato alla causa dei dogmi religiosi, in ossequio alla ferma volontà romana di riprendere ilcontrollo delle anime dei credenti, dopo la sferzata luterana. Un clima che ebbe ovvie ripercussioni anche in campo artistico, dove però, oltre a Caravaggio, si scorgono qua e là pittori non accademici; accanto a Pietro Testa, indiscutibile e inarrivabile ribelle, può collocarsi anche Jacopo Ligozzi da Verona.

Firenze omaggia questo pittore a torto poco frequentato dal grande pubblico con la mostra Jacopo Ligozzi "pittore universalissimo" (Verona 1549 c. ­ Firenze 1627) a cura di Alessandro Cecchi, Lucilla Conigliello,Marzia Faietti, che espone circa un centinaio di opere, con prestiti anche dal Metropolitan Museum di NewYork, dal British Museum di Londra, dall'Albertina di Vienna  e dal Musée du Louvre,  che  affiancano il nucleo di soggetti religiosi conservato alla Galleria Palatina, e il nucleo di disegni a soggetto naturale delGabinetto  Disegni e Stampe degli Uffizi.Una  mostra  che, come una preziosa  Wunderkammer, in sensoproprio e in senso ideale, racchiude una vasta selezione di curiosità naturali dell’epoca, dai volatili ai pesci,alle  specie botaniche, nonché apre gli orizzonti di una produzione artistica  quanto mai diversificata, sensibile alle questioni religiose e filosofiche del suo tempo.

“È del poeta il fin la meraviglia”, così scriveva il Cavalier Marino nella Murtoleide, una frase che racchiude tutta l’essenza del nuove sentire artistico del Barocco. E i quel suo essere universalissimo, ovvero aperto asvariati  generi  pittorici,  frequentati con sapiente e delicato equilibrio fra l’umano e il divino, suscita  lameraviglia dell’osservatore più attento, che muovendosi fra le sezioni della mostra (allestita con un’elegantepannellatura verde nella prima parte, blu nella seconda), scopre un artista che è attento osservatore dellanatura e dell’uomo.

Nato a Verona fra il 1547 e il 1549, figlio del pittore Giovanni Ermanno, respirò sin dall’infanzia il clima artistico dell’Italia Settentrionale e del Tirolo, dove il padre  ebbe modo di lavorare più volte per gli Asburgo. E non c’è dubbio che l’aria riformata che spirava da Vienna, abbia lasciata una seppur leggera impronta sul pensiero artistico di Ligozzi, che comunque fu uomo devotamente cattolico, anche se amico discienziati e letterati, fra cui il bolognese Ulisse Aldrovandi.

La sua attività giovanile rimane tutt’oggi poconota, ma sul finire degli anni Settanta del Cinquecento, Ligozzi si fa notare a Venezia quale mirabile pittoredel mondo animale. Il Granduca di Toscana Francesco I, appassionato studioso di scienze e d’alchimia ­ perle quali, al pari di altri sovrani europei, si fa realizzare un apposito edificio, ovvero gli Uffizi ­, lo chiama aFirenze  come pittore di animali, siano essi pesci, insetti, uccelli.  Caratterizzano  il suo stile colorazioni vistose, l’enfasi di certi particolari, effetti  di  colore  iridescenti, grazie ai quali la fredda descrizione scientifica lascia margine anche al gusto artistico narrativo.

E invero si rimane affascinati dalla delicatezzadei colori del piumaggio del Cavaliere d’Italia o del Parrocchetto dal collare, dai toni pastello di ramoscelli fioriti e frutti dei quali quasi sembra di cogliere il profumo. Parimenti, Ligozzi raffigura le specie botaniche (Clitoria ternatea, Agave americana,  ecc.), con attento  naturalismo, non scevro della  poetica tipica  dei sempliciari medievali. Le sue tavole, pur realizzate con intento scientifico, non prescindono dall’elementomagico e leggendario del passato, lasciando intendere come il pittore guardi con reverente meraviglia allabellezza del creato, concepito come naturale estensione della mente di Dio, un Dio che sublima nell’esteticail suo lato materno, e in ciò si può leggere un sottile richiamo  concettuale  al Michelangelo  del Giudizio Universale.

Tesi forse ardite per quei tempi, ma che pure venivano più o meno consapevolmente accettate,se è vero che il Cardinale Dal Monte, mecenate di Caravaggio, era un appassionato collezionista delle opere del Ligozzi.

Acuto  anche lo sguardo antropologico del Ligozzi, che raffigura una serie  di  personaggi del mondo ottomano, all’epoca ancora guardato come un misterioso Altrove, terra “d’infedeli” dai diversissimi usi ecostumi.  Sorprende  il  Muftì,  descritto  come  il  “Papa  dei  Turchi”, ingenuo  tentativo  di spiegare  l’Islamsecondo  i canoni cattolici. Commuove  invece il tono fiabesco medievale  con cui immortala le donneorientali nelle loro vesti elegantemente semplici, colte in momenti di vista quotidiana.

Del  lungo soggiorno fiorentino, oltre a una serie di  studi e allegorie, anche alcune  opere a soggetto religioso, quali il Sacrificio d’Isacco e il San Girolamo penitente, i cui scuri fondali e la tensione fisica deicorpi anticipano in parte quello che sarà il caravaggismo. Lasciata la corte medicea sul finire del secolo,visse da artista indipendente, grazie alle numerose committenze religiose pubbliche e private che otteneva nell’Italia Settentrionale. Per un breve periodo soggiornò a Mantova, dove realizzò lo splendido ritratto diMargherita  Gonzaga, visibile per la prima volta  in  Italia in occasione della mostra. Infine, ritornò  inToscana sotto Cosimo II, e scomparve a Firenze nel 1627.

Il misticismo e la sensibilità religiosa dell’artista trovano riscontro nelle numerose pale d’altare e allegorie macabre. Il Ligozzi pittore devoto, segue attentamente le interpretazioni dottrinarie di matrice gesuitica, ne è un esempio il San Gerolamo  sorretto da un angelo, che rimanda  allo studio teologico delle figureangeliche  intese  come  demiurghi e intermediari con il divino, intrapreso dalla Compagnia sul finire del Cinquecento. Ma la pittura del Ligozzi  guarda  anche all’antico, come  la  Giuditta  del  1602, che si rifà all’analogo dipinto da Raffaello circa un secolo e mezzo prima.

Elementi che pongono il Ligozzi a metà fral’antico e il moderno, con nell’anima quel tormento della morte fermò sulla tela in svariate allegorie. Teleche ci restituiscono un uomo a disagio fra le tenebre di un secolo controverso, dove la Natura sembra dare maggiori risposte di quanto non possa fare la bizzarria dell’uomo, dilaniato dalle guerre di religione e dallavanità del potere. Ligozzi, a suo modo, lo comprese, e cercò rifugio nella scienza, nella bellezza muliebre, nella religione, mediata dalla poesia dell’arte.

Ulteriori informazioni su orari e biglietti, al sito www.unannoadarte.it.

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