Il teatro di Massimo Bono

Un evento che ha cambiato la vita di un uomo e ha scoperto un attore

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 aprile 2016 16:00
Il teatro di Massimo Bono

Alcune storie nascono dalla creatività di uno scrittore, altre da chi sa guardare profondamente la propria storia.

Questo è successo a Massimo Bono, di origini sarde, arrivato in Toscana a dodici anni, e coinvolto in una serie di spiacevoli eventi che lo hanno portato, sei anni fa, nella casa di reclusione di Sollicciano.

Casualmente ha scoperto il teatro e attualmente è impegnato nelle repliche di uno spettacolo dal titolo “Malesigu”, dove, nelle vesti del protagonista, racconta la sua infanzia.

Massimo, come ha iniziato a fare teatro, interesse o casualità?

Casualità.

Sono entrato in carcere a Sollicciano nel 2010. Dopo circa due mesi che ero in carcere, dalla mia sezione passa un ragazzo, Jacopo, che lavora in biblioteca portando dei libri per chi voleva leggere. Presi dei libri, e chiesi a Jacopo che cosa c’era da fare in carcere. Lui mi ha informato di un corso di teatro dove si fanno gli spettacoli.

Decido di fare una richiesta e dopo una settimana vengo chiamato da Elisa Taddei, la regista che mi fa il provino.

Dopo il provino Elisa mi dice che posso frequentare il corso.

Il primo spettacolo che ho fatto era l’Ulisse, nel 2011. Ulisse emigrato clandestino, perché Elisa ha rivisitato il suo lavoro riferendolo al tema dell’emigrazione. Le mie parti, erano piccole battute, ma dall’inizio alla fine.

L’anno dopo invece ho fatto un monologo.

Elisa mi scelse dopo aver fatto provare la parte a tutti i ragazzi del corso. Quando è stato il mio turno di prova, tutti dissero che era parte giusta per me. Parlava della violenza sulle donne. Era un bel monologo. Dovevo fare 3 parti, da narratore, dalla donna e dal marito geloso che picchiava la moglie. Mi rimase impresso.

Poi abbiamo fatto il Frankenstein con il tema della chirurgia estetica. In quello spettacolo facevo il dottor Frankenstein.

Sempre parti da protagonista?

Si, ho avuto dei ruoli via via sempre più impegnativi.

Malesigu è uno spettacolo tutto tuo?

Si, parlo della mia vita, della mia infanzia. Abbiamo deciso questo progetto lì per lì.

Chi l’ha scritto?

Io insieme a Elisa. Siamo stati gli autori.

Il teatro Everest chiese a Elisa uno spettacolo con Massimo Bono. Era il mese di novembre. A marzo si andava in scena. Elisa mi chiese se potevo parlare di me. Io sono orgoglioso della mia infanzia e della mia vita. Tutti possiamo sbagliare. Io posso avere sbagliato e riconosco dove ho sbagliato. Ho iniziato a parlare di me, dei miei genitori, della mia famiglia, quando sono nato. Queste cose le so perché mio padre e mia nonna me le raccontavano, siamo in cinque in famiglia. Poi ho iniziato a ricordare, dall’asilo in poi. Ovviamente il tutto non poteva entrare in un’ora, i particolari erano tanti.

Comunque abbiamo messo le musiche, la ballerina ed è nato questo spettacolo. Sono molto soddisfatto.

Hai scelto di dire alcune cose e non altre?

Quello che non dico di me è perché non c’era il tempo per poterlo dire.

Dall’età di quattro anni fino ai diciotto ho cercato di raccontare tutto il possibile.

Dalla Sardegna fino all’arrivo, a dodici anni, in Toscana. Sono sempre molto legato a quell’isola. Mi pongo spesso una domanda: “Perché io ho mantenuto un accento sardo mentre i miei fratelli, più grandi di me, no”. Forse perché facevo parte di un gruppo di amici, dove si prendeva le legnate però si condivideva tutto.

Quanto ti ha aiutato in carcere fare l’attore?

Le diversità ci sono. Prima di tutto le pene dovrebbero rieducare, ma il carcere così com’è strutturato oggi non permette una rieducazione, a cominciare dal lavoro. Non ci sono corsi di formazione o un insegnare un mestiere. All’uscita dal carcere, non ci sono prospettive nuove.

Eppure il detenuto pensa, nonostante tutto e potrebbe migliorarsi se gli fossero date delle possibilità.

Il diploma che non ho preso a diciotto anni lo prendo adesso.

Ora studio, lavoro e faccio teatro e uso le macchine agricole.

Dove?

In carcere a Sollicciano. Mi è stato negato di uscire fuori a tagliare l’erba perché sono uno pericoloso.

Cosa farai dopo, quando uscirai?

Ora prenderò il diploma, poi continuerò a fare teatro e a lavorare.

Tra un paio di anni uscirò in maniera alternativa.

Mi dispiace per le persone che mi aspettano, ma fortunatamente io ho una famiglia. Mi dedicherò sempre a quello che ho lasciato: la campagna. E se mi capiterà farò l’attore. Anche se per essere professionali si deve fare formazione, corsi. Ma ora ci sto veramente pensando.

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